La giustizia di Renzi: vendi la pistola, comprati la bara

per Gabriella

Anna Lombroso per il Simplicissimus

Nella mia occasionale esperienza professionale di consulente per la comunicazione mi è capitato di imbattermi in un cliente old style, vecchio e baldanzoso imprenditore, riluttante ad apprezzare modi e strumenti “nuovi”. E che, in occasione della presentazione del programma di attività, si fece per una volta convertire, ma con una certa ritrosia: “e va bene dottoressa, faccia un po’ di quei pupazzi sul muro così gliela diamo a bere meglio”.

A pensarci aveva ragione: forme, bella presenza, lucidi creativi, slide perentorie sono un’attrezzatura necessaria soprattutto in occasione di scarsi contenuti, di aria fritta, come in quei piatti di Adrià confezionati con il sifone e lo spray.

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Verrebbe da ridere di fronte alla “riforma” della giustizia, presentata il 30 giugno, in perfetto tempismo secondo il cronogramma dei furbetti di Palazzo Chigi. Verrebbe da ridere per l’ardita sperimentazione di montare la cacca come fosse panna. Verrebbe da ridere di un gruppo di cretinetti che pensa che i cretini siamo noi spacciando per riforma 12 pupazzi sul muro, che macinano alcuni indiscutibili luoghi comuni, talmente comuni da essere largamente condivisi, anzi già così solidi che basterebbe applicare le norme vigenti per raggiungere gli agognati risultati.

Ma i 12 pensierini – ma potrebbero essere dieci come i comandamenti o 44 come i gatti di mago Zurlì che probabilmente è una figura influente del panteon di Renzi – hanno un intento dichiarato, riconfermare, insieme alla rivisitazione del Senato, l’alleanza di ferro con il condannato, dimostrare simbolicamente ubbidienza alla cerchia padronale, al monarca e agli imperatori, darcela a bere con qualche bolla di sapone, che viene usato solo per quello e non certo per far pulizia.

E non a caso la puntualità con la quale è stata officiata l’ostensione dei 12 proverbi di saggezza popolare, dettati dal padre indovino di Arcore e passati attraverso le moderne e dinamiche tecnologie, casca a ridosso di una trascurata intervista del garante della Privacy che lancia un allarme – lo stesso che era stato ossessivamente ripetuto negli ultimi 5 anni di non occulto regime berlusconiano – contro l’abuso, il perverso uso, l’aberrante uso, insomma l’uso tout court delle intercettazione, così tanto per preparare il terreno all’agognata stretta che non può che far piacere a tutto il strascorso, attuale e futuro ceto dirigente. C’è da scommettere che in tempo di scandali con attori bipartisan – alcune vecchie star e alcune nuove stelline – tutti ugualmente talmente pervasi dalla hybris dell’inviolabilità, dell’immunità, della superiorità da continuare imperterriti a raccontarsi ridacchiando prodezze e nefandezze, una “regolamentazione” delle intercettazioni verrà integrato negli slogan dei pubblicitari in erba, quelli “di metti un po’ di Cantone nei tuoi appalti”, quelli dell’anticorruzione Light, quelli che il taglio del Welfare fa bene alla linea, più della dieta mediterranea.

E infatti lo spazio c’è, anzi l’hanno già trovato: “nessuno vuole bloccare le intercettazioni dei magistrati”, ha detto saggiamente il premier, ma bisogna valutarne anche “con i direttori dei quotidiani” l’utilizzo, in modo da salvaguardare il diritto all’informazione e al tempo stesso la tutela della privacy, un principio originale insomma, nuovo, così sensato e accettabile che è già ampiamente previsto delle norme vigenti e disattese come ormai avviene a gran parte delle leggi.

E proprio per questo servirebbe una riforma della giustizia, per l’attuazione e applicazione di regole, da anni eluse, somministrate, eccessive, inadeguate, ridondanti, o, negli ultimi vent’anni, maneggiate come roba loro, monopolio di pochi, oltraggiate da molti, derise, comprate e vendute.

Ma ci pensa lui con le 12 massime che sembrano prese dall’Oracolo delle Dame, determinato a far presto, che è nella sua indole, a semplificare, che è il suo istinto, a vendere fuffa, che è il suo segreto, che l’’obiettivo dell’esecutivo è velocizzare il processo civile “con il passaggio dai tribunali pieni di scartoffie alla rivoluzione tecnologica”. Consola pensare che le aule sorde e grigie, siano sostituite dalla rete, le comparse dai twit, le giurie dai gruppi di Facebook, l’escussione delle da qualche opportuno selfie, che in fondo sono capisaldi di una rivoluzione molto sentita anche dall’opposizione. E poi “il processo civile in un anno per il primo grado”, per dimezzare l’arretrato della giustizia civile, e per “rendere più veloci i procedimenti si parte da separazioni e divorzi, che se sono consensuali non servirà più andare davanti al giudice”.

Peccato che la separazione da questo governo di nominati, nella prospettiva di altri matrimoni per procura nei quali ci troveremo sposati a partner sgraditi, non sia consensuale, e che l‘indesiderabile prospettiva sia di una obbligatoria indissolubilità. Sarà meglio andare a lezione da Barbablù.

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