Fonte: formiche.net
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Il cielo sopra Berlino è fosco in queste ore e a rabbuiarlo c’è qualcosa a cui il ceto politico e l’opinione pubblica di quel Paese non erano abituati: il presidente del Consiglio italiano, Matteo Renzi, ha esplicitato in maniera pubblica, chiara e netta tutti i dossier su cui Italia e Germania non sono d’accordo, non senza accenti polemici: dalle sanzioni alla Russia ai gasdotti che collegano il Vecchio continente a Mosca, passando per il surplus commerciale tedesco e i niet sulla Bad bank auspicata da Palazzo Chigi per alleggerire gli istituti italiani dai crediti deteriorati.
Come mai, in questo momento, il premier italiano ha deciso di affrontare a muso duro lo strapotere tedesco in Europa?
Formiche.net l’ha chiesto a Giulio Sapelli, storico ed economista, dal 1994 ricercatore emerito presso la Fondazione Eni Enrico Mattei e autore del pamphlet “Dove va il mondo” (edizione Guerini).
Professore, Renzi sta usando contro la Germania toni non uditi di recente da nessun presidente del Consiglio, come ha sottolineato Formiche.net. Si tratta di un ribaltamento dell’impostazione tenuta da due ex premier come Mario Monti ed Enrico Letta e persino da Silvio Berlusconi, forse frenato dall’appartenenza alla famiglia comune del Ppe?
Decisamente sì. Renzi ha aperto un fronte per certi versi nuovo nella breve storia dell’Unione europea. E a mio parere ha fatto bene a farlo, per smuovere le acque. Ha rivendicato il rispetto delle regole europee, un tema a cui i tedeschi sono sensibili perché ne hanno fatto un mantra. Lo ha fatto sul surplus commerciale, vietato tanto quanto lo sforamento del debito. Così conta di spaccare anche il fronte dei falchi filo tedeschi dell’Est Europa, tra i più danneggiati dalle politiche di export di Berlino. Ma il premier ha detto la sua anche su altri temi.
Perché ha deciso di farlo?
Essenzialmente per una ragione. A differenza dell’ottimismo che sprizza, anche sui dati economici, si rende conto che la situazione non è buona come potrebbe apparire o come vorrebbe far credere.
Questo cosa c’entra con le tensioni con Berlino?
C’è bisogno di maggiori investimenti, ora impossibili da compiere a causa delle politiche di austerità dell’Unione volute proprio dalla Germania. Se a questo si somma l’egemonia tedesca su molte altre questioni, compresa quella energetica esplosa con la decisione di potenziare North Stream e di penalizzare il South Stream in cui era impegnata la nostra Eni, è facile capire il clima odierno. Alzando i toni Renzi spera che qualcosa cambi.
Ma South Stream non è stato accantonato a causa delle sanzioni per la crisi ucraina? Su questo tema Roma si è dimostrata molto più filo russa di Berlino.
Vero, ma la Storia ci viene in soccorso per comprendere cosa accade oggi. Negli Anni ’30, sfidando il Trattato di Versailles, la Germania ricostituì la Wehrmacht, le sue forze armate, con un accordo segreto con Stalin. Come allora, Berlino ha un atteggiamento subdolo, che è insito nel suo dna politico. Da un lato si mostra ostile nei confronti della Russia in sede europea, dall’altro negozia bilateralmente i suoi affari con Mosca. Il caso Volkswagen è paradigmatico di questo suo atteggiamento dissimulatorio, che si sta riscontrando anche nel dossier banche.
Non è l’intera Commissione di Bruxelles ad opporsi alla Bad bank per alleggerire gli istituti italiani dai crediti deteriorati?
Si sta replicando il modello tedesco già adottato nella situazione greco-cipriota. L’Europa, su spinta tedesca, dice no alla Bad bank perché vuole costringere l’Italia ad utilizzare il Fondo salva Stati, ma solo per legare il nostro Paese ai vincoli e al controllo della Troika, come si può evincere anche da una recente intervista di uno dei saggi del governo tedesco. Berlino ha compreso che questo è l’unico modo per mettere all’angolo Renzi, hanno tutto l’interesse politico ad eliminarlo, in un momento in cui anche Parigi vive una crisi terribile sia politica sia economica. Il nostro Paese, invece, tutto sommato tiene e questo dà molto fastidio, anche perché le banche tedesche sono tutt’altro che solide, come ha ricordato lo stesso presidente del Consiglio.
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