La fonderia o la pasticceria?

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti
Fonte: facebook

di Alfredo Morganti – 28 agosto 2014

 

Quando si tratta di progetti e idee non si lesinano le metafore. Si tratta quasi sempre di immagini ‘laboriose’: fabbrica, cantiere, officina, laboratorio appunto. Danno la sensazione che si stia lavorando a qualcosa, che si metta mano agli ingranaggi del pensiero, che ci si sporchi di grasso o si impugnino gli attrezzi del mestiere. Si opera, si lavora come faceva la vecchia classe operaia, anche se oggi è stata sostituita nell’immaginario sociologico dai precari e dal popolo delle partite IVA. Altri tempi. Nonostante ciò la catena di montaggio e il laboratorio restano metafore chiave anche per la nostra postdemocrazia postpolitica di genere postideologico.

fonderia

Se non che si esagera. Leggo che Pina Picierno, quella che con 80 euro ci sfama una cooperativa a olivette e acqua di rubinetto, ha in mente una “Fonderia della idee” per le prossime regionali campane, una kermesse sul modello della Leopolda, dove la nuova (nuovissima, appena sorta, quasi nata, praticamente embrionale e non ancora esistente) classe dirigente meridionale dovrebbe prendere corpo e rivelarsi all’elettorato piddino, nonché alle intere popolazioni campane. Tutto molto bello. Ma quel nome (‘fonderia’) non mette bene in luce l’operazione. Già ‘Leopolda’ non era un granché (meglio Poldina, un vezzeggiativo), così pure ‘Lingotto’ (roba da Paperone e Banda Bassotti). Per non parlare di ‘Cantiere’ (ricordate Capannelle, quando si rivolge al Pantera che si sta avvicinando pericolosamente al cantiere, appunto, e gli dice: “Peppe, vien via, che lì ti fanno lavorare…”). O addirittura ‘fabbrica’, dove in realtà la catena di montaggio non lasciava agli operai nemmeno il tempo di pensare. ‘Fonderia’ a me appare davvero eccessivo. Non solo perché evoca il ricordo di un lavoro difficile, intenso, faticoso, che poco ha a che fare con i salotti intellettuali o le kermesse elettorali. Ma perché ‘Fonderia delle idee’ fa immaginare una grande ‘fusione’ di riflessioni e progetti in un malloppone informe da pensiero unico, oppure, più realisticamente, la veloce confluenza di presunte idee alla rinfusa (tra un I like e l’altro) in un (o più!) hashtag alla Renzi, magari del genere ‘mattutino’.

Insomma, non solo dire ‘Fonderia’ creerebbe qualche apprensione negli invitati (ai quali toccherà assicurare che è solo una metafora, che nessuno ha in mente di farli lavorare sul serio, con conseguenti sospiri di sollievo del trentenne aspirante ministro di turno), ma lascia intendere che tutte le chiacchiere sono destinate a ‘fondersi’, squagliarsi, impastoiarsi, ammallopparsi più di quanto già non siano. E guardate, sono davvero buono, perché dò per scontato (e non è così facile) che vi siano idee in circolazione nel grande orologio renziano (dalla prima all’ultima ora) e che dunque vi sia materiale per la fusione a freddo picerniana. Mi aspetto, in realtà, un grande salottone, dove ci si vede, ci si relaziona, ci si scambia il biglietto da visita (anzi, l’indirizzo mail), si loda Renzi, si sberleffano i comunisti con grasse risate e ci si dà appuntamento al giorno del trionfo elettorale per i dovuti incarichi istituzionali. Della ‘Fonderia’ presto nessuno si ricorderà più, gli altiforni della Picierno saranno chiusi a data da destinarsi, le officine sonnecchieranno, le fabbriche sbarreranno i cancelli, nessuno evocherà più quella cosa pericolosa e ingestibile che sono le idee. Basterà dosare e distribuire hashtag al popolo della rete per illudersi che circoli cultura. Per il resto abbiate pazienza. Ci sarà un’altra fonderia, o un cantiere, o una falegnameria, a tempo debito. Nel frattempo un hashtag non si nega a nessuno. Tranquilli.

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