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di Rhett Jones – 26 giugno 2018, traduzione di Giacomo Piacentini
Siamo spiacenti di informarvi che la situazione di Internet è di nuovo preoccupante. Mercoledì scorso la Commissione Europea ha votato a favore dell’adozione di alcune generiche misure che sconvolgeranno Internet per come lo conosciamo. Dai meme a Wikipedia, dalle opere d’arte alla privacy fino alla creatività degli utenti, tutto ciò rischia di essere distrutto o azzoppato.
Lo scorso mercoledì, per l’appunto, la Commissione Europea ha approvato la forma finale della Direttiva Europea sulla Privacy – il primo grande aggiornamento della legge europea sul copyright dal 2001. Buona parte del contenuto della norma ha riscontrato un largo apprezzamento, ma gli articoli 11 e 13 sono stati considerati disastrosi da alcuni dei più importanti esperti di tecnologia del mondo.
Spiegare nel dettaglio che cosa non vada bene in questi due articoli è piuttosto difficile perché gli articoli stessi sono piuttosto vaghi, il che è la prima delle istanze a favore dei critici. Entrambi danno vita a richieste senza precedenti nei confronti di chiunque gestisca un sito web popolare affinché monitori il materiale protetto da copyright e paghi delle percentuali ai notiziari quando si serve dei loro link per condividere informazioni. I difensori di questi articoli dicono che le critiche sono esagerate in quanto considerano anche delle supposizioni su come la norme sarà, eventualmente, implementata. I critici, come uno dei “padri fondatori di Internet”, Vint Cerf, nonché l’inventore del World Wide Web, Tim Berners-Lee, dicono che i rischi sorpassano di molto i benefici. A chi è meglio credere?
Osserviamo che cosa dicono dunque questi articoli:
Articolo 13:
Questa sezione della direttiva riconfigurerà completamente le responsabilità dei siti web nel momento in cui si tratterà di violazioni del copyright. Ad oggi, la cosiddetta direttiva sull’E-commerce ha dato alle piattaforme online una vasta protezione dalle sanzioni sul copyright quando hanno semplicemente svolto la funzione di strumento conduttore per ciò che i loro utenti caricavano sul web. È molto simile alla legge che, negli USA, esenta Youtube dalle sanzioni fintanto che fa tutto il possibile per cancellare il materiale che trasgredisce il copyright una volta segnalato. Youtube usa un sistema di riconoscimento dei contenuti automatizzato insieme ad un’armata di esseri umani che osservano i contenuti caricati dagli utenti. Tutto ciò costa alla compagnia milioni di dollari. I critici dell’articolo 13 dicono che ogni piattaforma popolare – ovvero circa il 20% di quelle esistenti – che permette agli utenti di postare testi, audio, codici, immagini fisse in movimento avrà bisogno di dotarsi di uno di questi costosissimi sistemi.
La scorsa settimana (due settimane fa rispetto al momenti di questa traduzione), 70 tra le persone più influenti al mondo nel campo della tecnologia hanno firmato una lettera di opposizione all’articolo 13. Ai pionieri del web come Cerf e Berners-Lee si sono aggiunti esperti da ogni parte del pianeta nel dire che questa legge andrebbe a danneggiare la libertà d’espressione, educazione, d’opinione e anche i le piccole piattaforme, dando invece un grande vantaggio a quelle grandi piattaforme che già possono permettersi di monitorare il proprio servizio.
L’attivista, autore e speciale consigliere per la Electronic Freedom Foundation Cory Doctorow ha messo per iscritto in maniera esaustiva le potenziali implicazioni dell’articolo 13 da quanto si è iniziato a discuterne qualche mese fa. Ha poi asserito, per via telefonica, che per il modo in cui è scritta, questa norma costerà “centinaia di milioni” di dollari in penali per quelle piattaforme che non possono permettersi i costosi sistemi di monitoraggio ed è convinto che solo le compagnie come Google o Facebook saranno in grado di sopravvivere.
La grande domanda riguardo l’articolo 13 è la sua vaga richiesta che i siti usino misure “appropriate” per impedire che il materiale coperto da copyright appaia sulle loro piattaforme. Suggerisce l’utilizzo di “efficaci tecnologie di riconoscimento dei contenuti” senza spiegare cosa ciò voglia dire, come funzionerebbe, quali file verrebbero classificati come protetti da copyright o comunque senza dare qualsiasi riferimento pratico. Per i critici come Doctorow, la naturale conseguenza sarà che le grandi piattaforme useranno i sistemi che già possiedono, mentre gli altri avranno bisogno di una sorta di sistema centralizzato. Dato che non è stato delineato alcun contorno sull’effettivo funzionamento del sistema, non sono previste sanzioni per chi falsamente reclama la proprietà sul contenuto. Nel caso in cui una persona dovesse caricare una citazione di un’opera di Shakespeare – che è di dominio pubblico – una piattaforma dovrebbe decidere in autonomia se vale la pena assumersi il rischio di lasciare che qualcuno pubblichi le parole del grande bardo. Se la piattaforma non vuole assumersi il rischio, qualcuno potrebbe dover andare in tribunale se gli venisse contestato il copyright.
Come possiamo vedere sempre più spesso, gli algoritmi delle più ricche compagnie al mondo sono davvero terribili nello svolgere il loro compito. Questa settimana, abbiamo visto Youtube bloccare dei video educativi del MIT e della Blender Foundation perché erano stati erroneamente indicati come file piratati. In passato abbiamo osservato come, completamente a caso (qui l’autore originale è in realtà ben più volgare), siano stati indicati come file pirata video sui cinguettii degli uccelli o immagini di case innevate.
Inoltre, ciò che è probabilmente il problema più importante dell’articolo 13 è che non considera alcuna eccezione per il fair use, l’utilizzo imparziale e corretto che è uno degli elementi fondanti di internet e un essenziale caveat della legge che permette di rimescolare i lavori coperti da copyright.
Articolo 11
L’articolo 11 è stato chiamato anche la tassa sui link o la tassa sui ritagli. Designato per combattere il potere su chi pubblica contenuti che Google e Facebook hanno ammassato nell’ultimo decennio, esso codifica una regola sul copyright per il rinvio dei link delle organizzazioni d’informazione e per le citazioni dei testi. Le piattaforme online saranno costrette a pagare per avere una licenza per rinviare i link a coloro che pubblicano le notizie e questo sarà teoricamente utile a supportare le organizzazioni che sono vitali per l’informazione pubblica e portare gli utenti direttamente alle loro homepage.
Tutto ciò suona bene in linea di principio, ma l’articolo 11 non si disturba proprio a dare la definizione di link. Ognuno dei singoli 28 Paesi membri potrà decidere di darne una propria, il che apre la porta ad un abuso politico di come si lascia che le notizie si diffondano in ogni singolo Paese, ovvero l’opposto dell’effetto desiderato.
Google può permettersi una licenza, ma non c’è nessuna garanzia che le organizzazioni più piccole possano fare altrettanto. Julia Reda, membro del Parlamento Europeo, è fortemente contraria agli articoli 11 e 13. Ha recentemente scritto sul suo sito web: “Invece che un’unica legge per tutta l’Europa, ne avremo 28, facendo sì che l’estremo diventi, de facto, standard: per evitare di essere multate, le piattaforme web internazionali sarebbero motivate a osservare la versione più stringente tra le 28 attuate”. In risposta alla difesa dell’articolo 11 da parte del suo collega Alex Voss, Reda ha fornito al sito “The Next Web” una descrizione di come le differenze tra le varie nazioni potrebbe configurarsi:
“La frase <<Angela Merkel incontra Theresa May>>, che potrebbe essere il titolo di un articolo, non può essere protetta da copyright, perché è la mera affermazione di un fatto e non una creazione originale. Il signor Voss ha più volte detto che vorrebbe che queste pure affermazioni fattuali rientrassero nell’area d’azione dell’articolo 11, ovvero che la protezione garantita a chi pubblica notizie sarà dunque ben più ampia di quella che i giornalisti stessi ottengono”.
Reda ha anche fatto notare che egregi esempi di furto su larga scala del contenuto delle notizie sono già illegali con l’attuale legge sul copyright. Non c’è nessuna possibilità che Facebook, con la sua bella licenza per i link, possa mai incontrare delle sanzioni perché i suoi utenti postano un intero articolo al suo interno. Ma quando Facebook decide che non approva la tua particolare visione politica, sarà molto più difficile poter creare una propria piattaforma per poterla esprimere.
Le conseguenze degli articoli 11 e 13 rimangono preda delle speculazioni, ma la natura della direttiva – sia il modo in cui è concepita sia la sua vaghezza che la rende pronta agli abusi – lascia pensare che lasceranno Internet pressoché distrutto con il loro arrivo. Ecco qui una serie di possibili vittime:
Meme
Anche se si ritenesse che chi scarica musica gratis andrebbe fucilato e che tutte le organizzazioni legate al mondo dell’informazione meritano di chiudere, probabilmente, soprattutto tra i giovani, nessuno avrebbe nulla da ridire sui meme. Beh, chiunque abbia scattato quella famosa foto di un ragazzo che, invece che guardare la propria fidanzata, si lascia scappare uno sguardo ad un’altra ragazza di passaggio, potrebbe passare intere sue giornate a riempire moduli di denuncia per tutti i siti che la hanno utilizzata senza il suo permesso. È solo un esempio, l’autore di quella foto in realtà l’ha venduta a IStock, un ente sussidiario di Getty Images. Ad ogni modo, l’assenza di fair use significa che ognuno dovrà andare a scattare le proprie foto su cui inserire le descrizioni e dovrà dichiarare in modo esplicito che autorizza chiunque ad utilizzare quell’immagine per creare un meme.
Artisti
I remix e i mashup sono fregati. Ogni artista che si basava sul fair use per creare opere originali è fregato, così come chiunque cerchi di caricare un video che lo ritrae nel divertirsi con gli amici mentre una canzone nota, magari perché passata in radio, si sente in sottofondo. Avete caricato un’immagine profilo in cui indossate una maglietta della vostra serie preferita? Ci spiace, ma l’algoritmo l’ha eliminata per violazione del copyright.
Politica
A parte il fatto che, potenzialmente, ogni singolo paese europeo potrà decidere cosa è e cosa non è una notizia, la difesa del copyright potrebbe essere utilizzata per sopprimere materiale con scopi politici. Doctorow ci ha dato l’esempio di un video particolarmente sensibile dal punto di vista politico caricato su una piattaforma qualche giorno prima di un’elezione. Se il soggetto ripreso nel video fosse venuto a sapere che il video stava per essere pubblicato, avrebbe potuto ottenere che il video venisse caricato invece nell’apposito sistema di valutazione della violazione del copyright, restando magari dei giorni in attesa di una risposta definitiva. Le elezioni potrebbero benissimo essersi svolte e concluse prima che la battaglia legale sulla regolarità del video fosse portata a termine e quest’ultimo, eventualmente, pubblicato.
C’è poi il problema della sorveglianza. Già accettiamo che compagnie come Facebook assumano persone che navigano nel mezzo delle nostre informazioni cercando di individuare contenuti che infrangono le norme. L’UE sta cercando di costringere molte più compagnie a incaricare un branco di investigatori, sia umani sia algoritmici, espandendo questo stato di sorveglianza-ombra che monitora tutto ciò che postiamo su internet. Come dice Doctorow: “Nel mondo moderno, ogni tipo di censura si basa sula sorveglianza”.
Infine, vi sono numerosi altri elementi negativi che sono stati fatti notare dagli attivisti, dagli accademici, dai gruppi per la difesa dei diritti umani e dalle attività online. Non si è qui nemmeno discusso l’articolo 3, il quale farà sudare freddo l’intelligenza artificiale delle startup. Non si sa se tutto ciò avrà l’effetto a catena visto con le GDPR privacy rules negli USA che stanno lentamente venendo prese come modello standard in tutto il mondo, ma Doctorow ha affermato che l’implementazione della direttiva sul copyright sarà molto simile al caos portato dalle GDPR lo scorso mese: “Tutto quanti non faranno altro che dimenticarsene nel periodo intermedio in cui la legge viene implementata, dopodiché, tra un paio di anni, se ne accorgeranno di nuovo e se ne lamenteranno, ma sarà troppo tardi”.