Circa 20 anni fa il giurista canadese Michael Mandel scrisse un curioso saggio: Come l’America la fa franca con la giustizia internazionale. E definirlo “curioso” è un eufemismo.

Mandel è noto per aver presentato nel 1999, con altri giuristi, una pesante denuncia al Tribunale penale internazionale per la ex-Jugoslavia. I ricorrenti segnalavano i crimini commessi dalla Nato durante i 78 giorni di bombardamenti della Repubblica jugoslava. La denuncia fu immediatamente archiviata dall’allora procuratore generale Carla del Ponte, che si rifiutò persino di avviare un’inchiesta, dimostrando la sua totale dipendenza dai voleri della Nato e degli Stati Uniti.

Tornando al saggio di Mandel, si analizzava la “guerra umanitaria” per il Kosovo del 1999, l’attacco all’Afghanistan dopo l’11 settembre e l’aggressione cosiddetta ‘preventiva’ all’Iraq.

Tutti casi che riportavano una vistosa lacuna nell’ordinamento internazionale: l’assenza (di fatto e di diritto) di strumenti sanzionatori contro il “crimine internazionale supremo“, cioè la guerra di aggressione. Fu il Tribunale di Norimberga, ispirandosi al trattato Briand-Kellogg, a formulare il principio per cui la guerra non è mai legittima espressione della sovranità degli Stati, ma deve essere concepita come un crimine internazionale. Crimine di cui dovevano ritenersi penalmente responsabili sia gli Stati sia i singoli cittadini coinvolti negli illeciti.

La sola eccezione poteva essere l’uso della forza con finalità strettamente difensive, in presenza cioè di un attacco militare di uno Stato contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di un altro Stato.

Nonostante l’autorità normativa della sentenza di Norimberga, assunta nel 1946 dall’Assemblea Generale ONU come vincolante per il diritto internazionale, il crimine di aggressione è rimasto del tutto disapplicato.

Addirittura, negli Statuti dei Tribunali penali internazionali per ex-Jugoslavia e Ruanda, il crimine di aggressione (o crimine contro la pace) non esiste. Anche nello Statuto di Roma, istitutivo della Corte Penale Internazionale, i crimini contro la pace sono esclusi dalla competenza della Corte stessa. Quindi, sosteneva Mandel, siamo di fronte ad una gravissima anomalia che dissocia lo jus ad bellum dallo jus in bello.

Perfino le Convenzioni di Ginevra del ’49 da una parte disciplinano il trattamento dei prigionieri, dei civili, dei malati, e sanzionano i comportamenti ‘disumani’ durante la guerra, ma dall’altra ignorano del tutto il “crimine internazionale assoluto”, e cioè lo scatenamento di una guerra di aggressione.

Addirittura, l’occupazione di un territorio sulla base di una guerra di aggressione è considerata ‘legale’, a prescindere dal carattere criminale della guerra che la ha consentita. Proprio come nel caso dell’occupazione dei territori palestinesi da parte di Israele, o dell’occupazione dell’Afghanistan e dell’Iraq da parte di Stati Uniti & company.

In tutti questi casi gli occupanti, nonostante siano criminali internazionali, sono immuni da qualsiasi sanzione. Quando fu lanciato l’attacco contro l’Iraq, Amnesty International e Human Rights Watch inviarono moniti perentori a tutti i belligeranti richiamandoli al rispetto del  diritto internazionale. Nessuno disse nulla sulla radicale illegalità di quella guerra e sulla gravissima responsabilità criminale dei capi di Stato che l’avevano scatenata.

Insomma, è un grave paradosso che Bush e i capi di Stato delle maggiori potenze occidentali si siano nel tempo impunemente macchiati di crimini che comprendono i peggiori delitti previsti nei codici penali di tutto il mondo, ma nessuna corte ha competenza per giudicare questi supercriminali per i loro “crimini supremi”.

Se nel Kosovo del 1999 l’Europa disse “addio” al diritto internazionale, spettacolare è stata anche l’infrazione del diritto in Iraq: l’amministrazione statunitense inventò allora un nuovo pretesto per scatenare la guerra. Le bastò mostrare un’ignota polvere bianca dichiarandola arma chimica (irachena) per ingannare, consapevolmente, tutta la comunità internazionale e andare a violare la sovranità dell’Iraq nel 2003. Gli USA dimostrarono un disprezzo palese per il diritto internazionale, sostituendolo cinicamente col diritto del più forte.

Ma ancora oggi non solo l’Iraq, ma tutto il Medio Oriente non trova pace. Il ricorso alla guerra fa parte della normalità occidentale. E Intanto l’Ucraina continua a penare. E Israele continua a colpire.

Ormai trasgredire alle leggi internazionali non sorprende più nessuno: non esistono neanche dibattiti sull’opportunità di tante guerre. È letteralmente fuori discussione.

Dal Kosovo in poi, Europa e Stati Uniti ignorano e strumentalizzano senza scrupoli le norme fondamentali dello Statuto dell’ONU. Poi però, come elefanti in una cristalleria, accusano Mosca. O giustificano Israele. Allora in Kosovo non ci fu nessun referendum di annessione. E così pure Israele, Stato ‘occidentale’, ha annesso vasti territori altrui senza alcun voto specifico delle popolazioni confinanti.

Ma queste considerazioni, con i fatti che le confermano, non importano a nessuno.

Certamente molti le conoscono. Ma sono come le mosche: danno solo fastidio. Tutto ciò che si considera non conveniente è automaticamente ridotto a dettaglio inconsistente. Del resto, la ferrea convinzione di appartenere alla “democrazia occidentale” consente di evitare la sgradevole necessità di dover passare per l’angusta porta della logica.

Ovunque fioriscono contravvenzioni occidentali al diritto internazionale. Eppure siamo tutti sereni.

Folli, ma sereni.