di Alfredo Morganti – 23 gennaio 2017
I risultati delle primarie francesi fanno pensare. Due milioni di elettori non sono ancora bastati a dirimere la questione su chi sfiderà Fillon, il candidato dei Repubblicani. Il ballottaggio tra Hamon e Valls dirà l’ultima parola sul vincitore. Laurent Bouvet spiega al Corriere perché la sinistra resterà comunque divisa: se il candidato finale sarà Hamon, esponente della sinistra socialista, molti elettori preferiranno Macron (candidato indipendente ex Ps) – se vincerà Valls tanti socialisti si schiereranno per Mélenchon, dell’estrema sinistra. La divisione è nelle cose, insomma, e le primarie non sono servite a unificare un bel nulla. Il destino ‘divisivo’ è insomma nei geni della sinistra di questo inizio secolo, e forse la situazione francese è più illuminante di quanto offra il trumpismo oltreoceano, su cui pure ci stiamo sbellicando di analisi. La sinistra francese mostra anatomicamente, in diretta e nei dettagli, quale sia il risultato di politiche social liberali applicate in Europa al corpo sociale in questo periodo di crisi. L’effetto è quello della frammentazione. In Italia ci ha pensato Renzi ad allargare le ferite, peraltro già aperte dall’ideologia della vocazione maggioritaria, dei premi elettorali in nome della ‘governabilità’, delle coalizioni ‘forzose’, della politica come corsa per la vittoria e non per il governo, del Parlamento ridotto a cassa di risonanza dell’esecutivo. Una mera questione di marketing, agonistica, dove i referenti sociali sono ridotti a dei semplici ‘votanti’ distinti per età, provenienza geografica, reddito, quali mere categorie statistico-commerciali, e nulla più.
Io sono sempre più convinto che per cambiare questo andazzo servano, invece, un sistema dei partiti, una buona legge proporzionale, delle istituzioni rappresentative efficienti, e serva colmare il distacco che c’è tra chi ‘rappresenta’ e chi è rappresentato. Sono convinto che non vi sia oggi una ‘crisi di autorità’, quanto una crisi dei ‘fondamenti’ di questa autorità, e dunque delle basi della rappresentanza politica e sociale. Una crisi di legittimazione, insomma. È una verità banale, sciocca, elementare, quasi lapalissiana, che può pensare anche uno come me, di medie vedute e di media intelligenza. Perché allora insistere con questa storia della coalizioni a priori, delle coalizioni a ‘vincere’, e poi per governare vediamo? Prodi ha ragione, bisogna unire. Ma come? Rifacendo la processione delle sigle, promuovendo una polverizzazione in anticipo rispetto al voto? Ma non è bastata la lezione di questi ultimi venti anni, quando con le ‘coalizioni’ e i maggioritari abbiamo DISTRUTTO i partiti? Perché perseverare? In realtà si deve ripartire proprio dai partiti, consentirne la rinascita con il proporzionale, far decidere agli elettori quale sia la loro ‘forza’, aprire la battaglia parlamentare sulla base di questa forza, e avviare il gioco della alleanze stavolta a posteriori, PER IL GOVERNO DEL PAESE E NON PER ‘VINCERE’ un qualche scudetto elettorale e mettere sul trono il ‘capetto’ di turno. Il proporzionale fa invece rinascere i partiti sulla base di una loro identità, li costringe ad adottare una cultura politica, non regole statistiche o di comunicazione, li espone alla necessità di mediare in Parlamento, per poi convergere in modo trasparente su alleanze reali, che rispecchino la volontà popolare espressa nelle urne. Questo è politica. Non altro. Non le ammucchiate per ‘vincere’. Non le chiacchiere vanesie di qualche leader che da solo non cambia niente, come s’è visto, semmai peggiora la situazione, prima, purtroppo, che lo rimandino da dove è venuto.