La dittatura della legge elettorale (o no?)

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti
La dittatura della legge elettorale (o no?)
Magari fosse possibile spiegare l’attuale vuoto di politica e la richiesta costante di tecnicismi con la sola legge elettorale. Vorrebbe dire che, senza di essa, tutto quello che oggi appare frammento politico indigesto, sarebbe immediatamente e unitariamente digerito in una qualche coalizione costruita attorno a precisi contenuti. E non staremmo qui a sbatterci alla ricerca di alleanze tanto al chilo, con finalità puramente negative (contrastare la destra) piuttosto che positive (un programma comune). Temo, invece, che oggi manchino proprio le ragioni politiche, i contenuti su cui confrontarsi (soprattutto quelli di sinistra) e che lo stesso ceto politico si sia ormai adagiato nell’alibi del Rosatellum per ridursi a vivacchiare, a galleggiare nelle acque stagnanti, limitandosi a mercanteggiare sulle percentuali – e non cerchi nemmeno un po’ di tirarsene fuori.
Detto questo c’è un paradosso. Perché c’è sempre un paradosso. L’accordo più tecnico di tutti, quello presentato col marchio delle percentuali e della fredda spartizione dei collegi uninominali, quello in cui si resterebbe sostanzialmente divisi, quello tra Letta e Calenda, ci appare invece politicissimo. Un matrimonio d’amore, più che di interessi. D’altra parte, voltare la testa verso i neocentristi tutta tecnica e distintivo, invece che verso il Movimento 5stelle, qualcosa vorrà pur dire in termini politici. La politica è scelta, deliberazione, e qui Letta ha davvero deliberato. Ha scelto, altro che tecnicismo.
E non regge la solfa: Conte non ci vuole stare, va da solo, pensa solo per sé, è il solito traditore. Perché un’iniziativa politica vera, come quelle di una volta, avrebbe senz’altro attivato una discussione pubblica e mutato i termini del problema, in una direzione o nell’altra. Moro e Berlinguer in altri tempi spostarono montagne. Oggi la pasta dei leader è altra roba, certo, ma la politica è questo dibattito pubblico alla ricerca di punti comuni di contenuto – e poi nel conflitto trasparente che anticipa le scelte, non altro. Se si riduce tutto a tecnicismi si facciano avanti i ragionieri. E poi io, quando vedo qualcuno spartirsi percentuali e fare accordi in una riunione al riparo del’opinione pubblica, mi raggelo.
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