Se la ricchezza si concentra in poche mani la crisi è inevitabile, come negli anni Trenta. Il teorema del premio Nobel dimostra come diseguaglianza e polarizzazione dei redditi ostacolino la crescita e frenino il Pil
da Repubblica di Roberto Petrini 31 maggio 2013
E’ la diseguaglianza il vero killer del Pil. Nei paesi dove i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri il Prodotto interno lordo segna il passo e, a volte precipita. Nelle nazioni dove si estende una grande middle class si affaccia invece la prosperità. Il premio Nobel Joseph Stiglitz rompe gli indugi e formalizza in un vero e proprio teorema, come egli stesso lo definisce, la sintesi degli studi che conduce da anni.
Il teorema di Stiglitz dal fronte keynesiano getta una bomba oltre le trincee liberiste. Si fonda sul meccanismo di quella che gli economisti chiamano “propensione al consumo”: i ricchi ce l’hanno più bassa del ceto medio, dunque se la distribuzione del reddito li favorisce lo shopping, contrariamente a quanto si potrebbe pensare intuitivamente, si deprime. E’ invece il ceto medio a consumare quasi tutto quello che ha in tasca e a spingere Pil ed economia, quando la distribuzione del reddito lo favorisce.
La prova? Il grafico di Stiglitz è inattaccabile: quando i ricchi (ovvero l’1 per cento più ricco della popolazione) si è appropriano del 25 per cento del reddito scoppia la “bomba atomica economica”. E’ successo con la Grande Crisi degli Anni Trenta e con la Grande Recessione di questo secolo. Altro che teorie liberiste che hanno segnato gli ultimi trent’anni: “Gli apologeti della diseguaglianza sostengono che dare più soldi ai più ricchi – scrive Stiglitz nella sua relazione – sarà un vantaggio per tutti, perché porterebbe ad una maggiore crescita. Si tratta di una idea chiamata “trickle-down economics” (economia dell’effetto a cascata). Essa ha un lungo pedigree e da tempo è stata screditata”.
Così il mainstream va nell’angolo. Il teorema è chiaro e lucido come una formula chimica o una relazione fisica: se l’indice di Gini (ovvero l’indicatore di diseguaglianza inventato da un economista italiano, appunto Corrado Gini) aumenta, dunque aumenta la diseguaglianza, il “moltiplicatore” degli investimenti diminuisce e dunque il Pil frena.
L’equazione di Stiglitz rischia di essere il terzo colpo agli assunti della teoria economica dominante ormai vacillanti. Il primo è stato nei mesi scorsi quello che ha messo in crisi il “dogma” dell’austerità: l’Fmi ha infatti calcolato che il taglio del deficit di 1 può ridurre il Pil di 2 e non solo – come si credeva fino ad oggi – di mezzo punto. L’altro colpo mancino è stato quello che ha smontato, smascherando un errore “Excel”, la teoria del debito di Rogoff e Reinhard secondo la quale oltre il 90 per cento nel rapporto con il Pil porta inevitabilmente alla recessione.
Ma il nuovo assalto di Stiglitz rischia di essere ancora più pericoloso rispetto alle tesi dello status quo economico. La diseguaglianza infatti per il premio Nobel, fiacca fino ad uccidere il Pil, non solo per via della caduta dei consumi ma anche perché il sistema è “inefficiente” se prevalgono rendite e monopoli. “Spesso la caccia alla rendita – concludono Stiglitz e Gallegati – comporta un vero spreco di risorse che riduce la produttività e il benessere del paese”.