di Alfredo Morganti – 24 ottobre 2018
Quando non si fa politica, ma si grida al vento come fa la destra in questi giorni, è normale che i livelli di conflittualità si alzino in modo propagandistico, senza che se ne intuisca la vera prospettiva. Perché la politica, in fondo, è prospettiva, nient’altro: indicazione di un percorso, tracciamento di una direzione. Quale direzione indica la manovra del governo, il cui effetto principale e rivendicato è quello di produrre maggior debito (e dunque accrescere la nostra dipendenza dagli investitori e dagli speculatori)? Questa: le risorse pubbliche vanno ridistribuite individualmente, servono a soddisfare le esigenze di consumo, le soluzioni personali, l’uguaglianza della gente sul mercato. La ricchezza sociale non deve essere sviluppata, semmai estinta a vantaggio della capacità personale di acquistare beni e servizi sul mercato.
Perché questa manovra è una ciofega, dunque? Perché è di destra, perché risolve secondo le vecchie maniere di destra il tema dello sviluppo, così sintetizzabili: il pubblico è il male, il privato è bello. Per riproporre questo vecchio refrain, siccome non hanno avuto il coraggio, né l’interesse e prima ancora lo spirito democratico di fare una patrimoniale, di prendere tra i ricchissimi le risorse necessarie per sviluppare sicurezza e coesione sociale, allora hanno firmato alcune cambiali a babbo morto col mercato, indebitando ulteriormente una ‘nazione’ e un ‘popolo’ già indebitati e frammentati. Si trattava invece di ridistribuire, tutto qui: ma non dal privato (ricco) al privato (povero), bensì dal privato (ricco) al sociale e al pubblico. La povertà si cancella con il lavoro e i servizi, non con le generose e paternalistiche elargizioni individuali della destra. In quest’ultimo modo, al più, la si riproduce.
Le grida al vento ostacolano un concreto percorso politico di riforma delle istituzioni europee e del diritto comunitario. Producono il ‘martirio’ propagandistico italiano, invece di allargare le alleanze indispensabili a ‘fare’ politica. E alla fine offuscano pure gli obiettivi. Che sono, in realtà, quelli di cancellare l’Europa, di restituirci la ‘libertà’, di dare vita a un nuovo Tea Party all’italiana, e non quelli di ridare corpo, un corpo diverso, all’idea di Europa intesa come consesso di popoli e nazioni amiche e collaboranti. In assenza di questa prospettiva politica (ancora!) tutto tende a ridursi a pochi meccanismi economici, pochi meccanismi tecnici che si frapporrebbero tra noi e la giustizia nazionale, impedendoci di attuarla. E tutto si semplifica: un popolo, una nazione, da una parte – l’Europa cattiva dall’altra. Davanti, l’oggetto del desiderio, ossia la libertà economica. In mezzo, a ostacolare questa marcia vittoriosa, i meccanismi tecnico-giuridico-finanziari europei che produrrebbero la nostra totale prostrazione come ‘nazione’ e come ‘popolo’. Di qui l’eroe che si batte per sfasciare quei meccanismi e consegnare a tutti un tesoro che il cattivo ci occultava. Fine della narrazione.
Perché di questo si tratta, di narrazione (e di tecnicismi) al posto della politica. Un percorso di riforma, invece, punterebbe a individuare una prospettiva, delle tappe, delle alleanze, degli obiettivi anche di medio periodo, piuttosto che suscitare uno scontro a uso propagandistico e tattico, dal quale usciremo più deboli di prima. Un martirio inutile, insomma, del ‘popolo’ e della ‘nazione’, ma utilissimo agli alfieri della destra (a cui serve un po’ di chiacchiera elettorale) e a quelli che pensano di avviare con essi una dialettica. E che sono disposti a bere la ciofega che passa il convento d’emblée, piuttosto che un caffè nei tempi dovuti.