Fonte: La Stampa
La destra muta davanti alle bare
Davanti alle bare bianche dei bambini affogati a Crotone si è sgretolato il racconto cattivista della destra, e soprattutto quello del leghismo ultras che sul disprezzo per i “finti profughi” aveva costruito le sue fortune. La corsa a indicare responsabilità europee, il rimpallo sulle competenze, persino la scarsa chiarezza delle ricostruzioni fornite al Parlamento dal ministro Matteo Piantedosi, non tradiscono solo imbarazzo: dicono che nessun partito, nessuna forza politica, nessuna personalità, può permettersi quello che è stato possibile, ad esempio, alla destra trumpiana quando difese le immagini dei bambini separati dai loro genitori e ingabbiati alla frontiera messicana in nome della tolleranza zero.
Il principio di umanità, per nostra fortuna, resta radicato nelle coscienze italiane, comprese quelle di chi ha votato a destra. Un conto è irridere la disperazione quando sbarca, ammaccata ma viva, sui moli di Lampedusa. Un conto è segnalare i muscoli dei “finti naufraghi”, i loro cellulari, i fantomatici trentacinque euro al giorno incassati dallo Stato, come controprova di opportunismo e menzogna («Vi sembra che scappino da una guerra?»). Un altro conto è farsi carico delle conseguenze di quel tipo di racconto e del ginepraio burocratico inventato per dargli consistenza: un soccorso mancato per cause incomprensibili, un naufragio, decine di bare allineate dentro un palazzetto dello sport, i superstiti affranti arrivati da tutta Europa per riconoscere fratelli, figli, nipotini.
La destra ha scoperto quattro giorni fa che tutto questo non può permetterselo, non per i vincoli esterni che hanno animato altre silenziose conversioni politiche – sui bilanci da tenere in riga o sul rapporto con l’Europa – ma per una questione concreta, fatta di carne e sangue: l’Italia non è la Turchia, non è la Libia, e non è nemmeno il Texas. In Italia il pensiero di una madre che affoga insieme a suo figlio a cento metri dalla costa è intollerabile, per chiunque, comunque abbia votato, e non è “buonismo” ma il carattere profondo della nazione che certa retorica celebra ogni giorno: la molla che ci ha reso speciali in ogni emergenza interna e internazionale, e persino negli scenari di guerra più complessi affrontati dalle nostre missioni militari.
Quando Giorgia Meloni, nella sua lettera all’Europa, parla dovere di evitare altre stragi in mare come di un «dovere morale prima che politico» manda un segnale al suo mondo, forse troppo flebile per essere ascoltato ma comunque un segnale in controtendenza rispetto a certo riflessi condizionati del passato. Per valutarlo basta pensare a come, pochi anni fa, un’altra tragedia atroce – quella immortalata dalla foto del corpicino di Aylan Kurdi su una spiaggia turca – fu derubricata dal mondo sovranista a operazione mediatica, addirittura truffa giornalistica, con centinaia di testate online che rilanciavano il sospetto di una sceneggiata e molti dirigenti di primo piano (all’epoca soprattutto della Lega) impegnati a denunciare lo “sciacallaggio immigrazionista” di chi mostrava o commentava quell’immagine.
Certo, fra qualche giorno l’onda emotiva suscitata dal naufragio di Crotone si esaurirà, il ministro dell’Interno riceverà l’ovvia solidarietà e difesa della sua maggioranza nel previsto dibattito parlamentare, le bare saranno rimpatriate, i superstiti spariranno nel meccanismo dell’accoglienza o si ricongiungeranno ai loro parenti in Germania o in Belgio. Ma i fatti del 26 febbraio sono destinati a segnare un prima e un dopo nel discorso pubblico della destra, che dovrà trovare le parole per sostituire il vecchio cinismo con qualcosa di diverso. Dovrà farlo per motivi di opportunità politica, perché il cattivismo parolaio contro gli sbarchi non conviene dopo aver chiesto voti e potere proprio per stroncarli con le fantasiose ricette dei porti chiusi e dei blocchi navali. Ma dovrà farlo anche perché, dopo questa tragedia, risulta chiaro che l’Italia non è disumana come qualcuno credeva, che davanti a morti innocenti, morti evitabili, morti senza senso, la pietas e l’indignazione vincono su ogni appartenenza e costruzione ideologica.