L’emergenza dell’emergenza
La sanità privata interviene quando scatta l’emergenza dell’emergenza. Della prima emergenza loro non sanno che fare. Della seconda, invece, sì: è quando mancano i posti in terapia intensiva, ad esempio. Arriva allora l’imprenditore sanitario che dice: ecco i posti in terapia intensiva che vi mancano. Parliamone. Ovviamente, per il compenso, rivolgetevi alla mia segretaria. (Alfredo Morganti)
Leggeteli i giornali di destra, non fate gli schifiltosi, non contentatevi di chi ha le vostre opinioni o si differenzia solo per qualche sfumatura. Gli stessi che sino a ieri l’altro dicevano che era in corso una pandemia mortale e che il governo faceva prove tecniche di strage, quando hanno visto che questa linea che giocava vilmente sulla paura e che era da ‘disfattisti’ (come si diceva in tempo di guerra) non funzionava né verso le proprie figure sociali di riferimento (tra cui imprenditori che necessitano di relazioni economiche, dinamismo, contatti di affari), né verso l’elettorato, che cessa di seguirti se semini panico, hanno letteralmente ‘svoltato’ a 180° e oggi urlano ‘basta psicosi’. ‘Il Tempo’, per dire, scrive che il Covit-19 è un’altra scusa per fare deficit (ma come, non era Salvini che voleva sfondarlo sovranisticamente?), che non bisogna creare panico (appunto!) e che il coronavirus sarebbe una specie di arma di distrazione di massa per fare il Mes. Insomma: Covit-19 come oppio dei popoli. ‘Il Giornale’ si preoccupa persino del fatto che l’emergenza fermi il diritto: lo dicono quelli che sono per le frontiere chiuse, anzi per l’ostracismo, e per confinare gli immigrati su una nave a porti sbarrati alla pietà. Per non parlare dei più disagiati e dei poveri. È evidente che vivono dinanzi a uno specchio e che sono autoreferenziali. È il loro carattere strutturale, c’è poco da fare.
Ecco cos’è la destra. Il potere per il potere. E via la politica, ossia tutto ciò che si frappone alla conquista del posto di comando. Soltanto un Capo e un Trono. Ogni scelta, tragitto, percorso è immaginato per andare a pallino, costi quel che costi. I suoi alfieri sono abbacinati dal Palazzo, farebbero (fanno) qualsiasi cosa pur di sedersi sulla poltrona da sovrano. Un ‘sovranismo’ tutto personale, tutto per sé, non della nazione. Ogni posizione è lecita, ogni scelta è finalizzata, anche quelle più contraddittorie. Così pure le svolte improvvise, i ribaltoni, le rovesciate, e ogni tipo di calcolo nella speranza che non si abbia memoria di nulla, anzi sono sempre pronti a cancellarla, questa memoria, come se fosse un orpello. Anche gli amici di centro fanno così, anche i momentanei compagni di strada toscani, quelli che oggi dicono una cosa, domani un’altra, purché ciò li collochi in buona visibilità, in cima alla home page, nelle titolature di prima pagina o nelle anticipazioni dei tg.
Alla sinistra si può dire tutto: che sia frammentata, debole, incapace di tirare le fila, rissosa al proprio interno, senza carattere, persino ‘plagiata’ o egemonizzata dal pensiero neoliberale. Si può anche dire che sia incompiuta e abbia timore di essere unita, e tema quasi di essere un soggetto. Eppure non le si può dire di esser priva di una sensibilità verso il Paese, di non possedere antenne capaci di intercettare il senso a partire dai momenti difficili come questo attuale. Anzi, tanto più. C’è una differenza di fondo tra la destra e la sinistra: la prima, si sente sovrana quando decide lo stato d’eccezione, quando lo genera proprio per imporre il proprio bastone; la seconda, lo stato d’eccezione lo affronta ogni volta con cuore e mente, con passione e senso di responsabilità, anche se sono stati gli altri a produrlo ad arte o le vicende stesse. C’è una generosità di fondo verso il Paese che ci distingue da loro. Verso il Paese di chi lavora, soffre personalmente e socialmente, è subalterno, anonimo, dimenticato, sfruttato. È tutta qui la nostra speranza, quella che va sempre coltivata.