Fonte: micromega
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intervista a Paolo Maddalena di Giacomo Russo Spena, 17 ottobre 2016
“Macché semplificazione e tagli a sprechi, le ragioni della riforma vanno indagate altrove: Renzi si è piegato alla volontà dei poteri forti, Jp Morgan ci ha dettato le modifiche costituzionali”. Dalla voce non sembra stia parlando un ottantenne. Ragiona, analizza e spiega le motivazioni per le quali sta sostenendo la campagna del NO al referendum costituzionale del prossimo 4 dicembre. Paolo Maddalena, vice presidente Emerito della Corte Costituzionale, è uno dei massimi esperti in materia. Lo contattiamo telefonicamente, combattivo, ha desiderio di sviscerare nel dettaglio la riforma per convincere soprattutto gli indecisi al voto.
La riforma voluta dal presidente Matteo Renzi riduce il numero dei senatori, stabilisce nuovi rapporti tra Stato e Regioni, oltre a semplificare l’annosa questione della burocrazia e cancellare carrozzoni come il Cnel… Cosa non la convince?
Sono spot propagandistici, senza alcuna logica. La riduzione dei costi e la semplificazione non si raggiungono col soffocamento del Senato, uno degli organi massimi dell’espressione della sovranità popolare. Tra l’altro la Ragioneria di Stato ha smentito i numeri del governo e, con la riforma, si risparmierebbero soltanto 51 milioni. Ci sono altri modi per racimolare soldi. Anche la questione dello snellimento dell’iter legislativo è mendace. Agli esami degli atti i tempi si allungheranno.
Beh, però si pone fine alla “navetta” tra i due rami del Parlamento…
Su molte materie rimane obbligatorio l’esame di una e dell’altra Camera. In caso di divergenze di vedute tra Camera e Senato, il conflitto dovrà essere risolto dai due presidenti e, qualora non trovassero un accordo, la questione andrebbe fino alla Corte Costituzionale dove trascorrerà almeno un anno dalla sentenza. Un iter così, lo capisce chiunque, è lungo e assurdo.
Insisto, i fautori del Sì dicono che il Senato interverrà su poche leggi e soprattutto c’è l’occasione di superare il bicameralismo paritario, come già avviene in Francia e Germania. Lei è per difendere a priori il bicameralismo?
In dottrina il bicameralismo può essere imperfetto, alcune materie possono passare soltanto alla Camera e non al Senato. Il governo, invece, con tale riforma fa un pasticcio, il provvedimento è scritto male e pieno di incongruenze. Il Senato sarà formato da nominati, ovvero da sindaci e consiglieri regionali senza vincolo di mandato, tanto valeva eliminarlo del tutto e rimanere con una Camera Alta. Infine, la questione dei tempi di approvazione di una legge: è una questione di volontà politica, non di bicameralismo paritario. Quando la maggioranza ha deciso – si pensi all’introduzione del pareggio di Bilancio in Costituzione – ha modificato la Carta in poche settimane. Quando si vuole, le leggi vengono varate velocemente, anche adesso.
Quindi è falso che si sta ricalcando il modello del Senato tedesco?
La Camera dei Lander funziona diversamente. Nel testo della riforma si parla di “Senato delle Autonomie” ma nel dunque non ha competenze specifiche sui territori anzi schiaccia le autonomie locali.
Il pensiero di molti si può riassumere col giudizio: “Dopo anni di immobilismo, siamo di fronte a una riforma pasticciata ma sempre meglio di niente”. Come replica?
È una grande sciocchezza, meglio il niente al male. Questa riforma segna la fine della democrazia.
Veramente, come denuncia il costituzionalista Gustavo Zagrebelsky, siamo al rischio di una deriva oligarchica? Non le sembra di esagerare?
Renzi ha annientato i contrappesi creando un esecutivo forte. Ha tolto poteri al presidente della Repubblica il quale sarà, a conti fatti, eletto solo da 220 parlamentari, e ha ridotto le garanzie costituzionali alla Consulta. Nell’albero istituzionale ha tagliato le foglie facendo restare esclusivamente il tronco dell’esecutivo.
La legge elettorale – che prevede un rafforzamento dell’esecutivo – è uscita però dalla contesa referendaria e si ipotizza una modifica dell’Italicum.
Che si raggiunga una nuova legge elettorale entro il 4 dicembre è escluso da tutti, non c’è tempo. E l’Italicum è strettamente collegato con la modifica del titolo V: rischiamo un Senato esautorato di potere e una Camera con un premio di maggioranza “drogato”. Mi spiego meglio. Secondo l’Italicum, il ballottaggio si può vincere col 20/25 per cento del consenso degli elettori e ciò – considerando l’alto tasso di astensionismo – significa che il 10/15 per cento dei cittadini italiani vanno a costituire una maggioranza assoluta. Ribadisco, siamo alla distruzione della democrazia.
Ma la Costituzione si può modificare ed è migliorabile oppure dovrà rimanere così vita natural durante?
La nostra Carta è ottima e ha bisogno soltanto di piccoli ritocchi. Qui si fa una modifica che trasforma la forma di governo: passiamo da una democrazia parlamentare a un governo presidenziale. Sul piano giuridico è un grave errore perché oligarchia e democrazia sono forme di Stato diverse.
Scusi, governo presidenziale non è ben diverso dal dire oligarchia? Pensiamo agli Usa o la Francia, sono democrazie funzionanti…
Il problema è stabilire sempre il contrappeso al potere: negli Usa c’è il bilanciamento col Congresso se noi invece il Parlamento lo riduciamo ad un Senato di nominati ed esautorato di potere e ad una Camera che rappresenta una maggioranza del 10 per cento degli italiani, mi spiega dove sono i contrappesi?
Se vince il NO la situazione rimarrà così per anni, lo sa?
Non è vero, se vince il NO si mette in moto finalmente una forma di partecipazione popolare perché la gente sta capendo il quadro politico: siamo succubi di finanza, banche e multinazionali. E anche della Germania. Si capirà che l’Italia deve cambiare politica e riappropriarsi di se stessa. Noi stiamo svendendo il nostro territorio e la sovranità. Gli ultimi governi, dal 2011 in poi – i cosiddetti governi presidenziali – hanno perseguito le medesime politiche: al proprio interno il dominio dell’esecutivo e all’esterno l’assoggettamento ai diktat di Bce e Troika. Rischiamo di diventare come gli ebrei sotto la schiavitù di Babilonia.
La battaglia per la difesa della Costituzione si intreccia con l’Europa dell’austerity e per un ritorno alla sovranità popolare, sta dicendo questo?
Questa riforma, come tutte le leggi di Renzi, come il TTIP, come il CETA, e come molti regolamenti e direttive europee sono tutte a favore della finanza e contro gli interessi del popolo. E’ un passaggio di una storia che inizia negli anni ’80, si vuole capovolgere l’ordine sociale italiano. Non conta il valore della dignità umana, l’uomo diventa merce. Pensiamo allo Sblocca Italia: a favore della finanza, distrugge l’ambiente e regala i nostri territori ai profitti delle lobby.
Insomma, professor Maddalena, crede veramente che le Istituzioni europee, la Bce e le agenzie di rating abbiano fatto pressioni al governo Renzi per varare la riforma costituzionale?
JP Morgan l’ha chiesto esplicitamente con un documento del 2013, di 16 pagine: i governi del Sud Europa sono troppo antifascisti e democratici e vanno cambiati a vantaggio di un esecutivo forte col quale i mercati possono dialogare. Il Mercato è formato da un denaro fittizio – creato ad hoc da politici servitori – che ammonta a 1,2 quadrilioni di dollari, 20 volte il Pil di tutti gli Stati del mondo. Il processo di una finanza sana che passa per il percorso finanza-prodotto-occupazione-profitto-finanza, è sostituito da finanza-finanza. Qual è l’obiettivo finale?
Qual è?
Appropriarsi dei beni esistenti, soprattutto dei Paesi più deboli e periferici. E noi, ogni giorno, stiamo svendendo pezzi importanti del nostro territorio oltre a privatizzare beni comuni e diritti basilari. Ci impoveriamo. L’articolo I della nostra Costituzione dice che siamo una “Repubblica democratica fondata sul lavoro”, tra i recenti dati su disoccupazione e precarietà, possiamo affermare che stiamo spogliando il lavoro dalla sua funzione e sostituendolo col massimo profitto. E’ immorale e contro l’etica repubblicana.
Per difendere la nostra Costituzione bisogna rompere con l’Europa?
La tematica è controversa. Noi dobbiamo accettare la sfida europea ma non a prezzo della nostra miseria perché gli attuali manovratori di Bruxelles stanno privilegiando la Germania. L’Europa, a trazione tedesca, viaggia a due velocità: o si contrastano le disuguaglianze e si costruisce un’Europa più equa o andremo verso la nostra fine.