La data di un referendum da brivido

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti

di Alfredo Morganti – 5 settembre 2016

D’Alema ha detto oggi a Roma che la cavalcata costituzionale era stata pensata anche per ottenere un plebiscito che fosse un viatico per nuove e trionfali elezioni, in una specie di crescendo renziano. Il fatto che questa prospettiva sia in declino, che le difficoltà per il premier siano più grandi di quanto non si immaginasse all’inizio, sta riducendo la scelta della data a una specie di farsa o di psicodramma. Sembrava si dovesse votare in spiaggia, va a finire che voteremo quasi sotto l’albero. Più in là possibile, insomma, secondo la vecchia tattica del dilazionare i tempi, nella speranza che il clima cambi o accada magari qualcosa, non si sa quale di preciso, ma qualunque cosa. Se l’andazzo è questo, se anche scegliere la data è un problema, stiamo freschi. I dati dell’economia, peraltro, avranno ancor più disorientato i renziani, inducendoli a ulteriori tentennamenti. C’è tempo fino al 13 ottobre per scegliere la data del referendum, dice Renzi, lasciando intuire che lo psicodramma non si ferma qui, anzi darà presto il meglio di sé. E magari si ricorrerà all’anghingò o al ponte polente. Tipo sorteggio.

Insomma, all’inizio sembrava un voto per la vita e per la morte politica. C’erano di mezzo le dimissioni, anzi si era pronti ad appendere la politica al chiodo in caso di sconfitta. Più che un referendum somigliava a una battaglia campale. Al giorno dei giorni, direbbe Ligabue. Poi uno stop. I sondaggi, Jim Messina, la malasorte, il malocchio, la sfiga o cos’altro inducono a darsi una calmata. Adesso, se anche vincesse il No, pazienza, dice Renzi, che ci volete fare, c’est la vie. Anzi, vi dirò, continua il premier, se vince il No non è tutta sta caciara, la vita continua e pacche sulle spalle! Be’, questa di Palazzo Chigi non è una frenata. È una marcia indietro. Non è una marcia indietro, è un pit stop con il cambio dell’olio innestato e una controllatina ai freni. Se questa è l’immagine da condottiero che vien fuori da Palazzo Chigi, vuol dire che il momento è molto complesso. Delicato. E anche, estrema ipotesi, se un giorno vincessero i Sì, quelli nemmeno ci crederebbero, tanto sono visibilmente impanicati. Il fatto è che nessuno gli ha spiegato che bisogna davvero vincere le elezioni per governare, non è che basta un hashtag e un invito alla serenità al malcapitato. Non è che se ti portano in braccio a Palazzo Chigi poi ci resti per diritto divino. Prima o poi ti chiedono conto. E la battaglia campale invocata mesi fa, potrebbe diventare una Waterloo, potrebbe.

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