di Alfredo Morganti – 16 dicembre 2016
Devo dire che queste ore offrono uno spettacolo politico orribile. Partiti sfaldati, clima di spaccatura permanente, istituzioni messe alla prova. È una crisi per la soluzione della quale, vi dico la verità, vedo ben poche risorse disponibili. Ogni giorno sento amici e compagni che mi dicono: dobbiamo ricostruire la sinistra, ecco la soluzione. Giusto, lo dico e lo scrivo anch’io. Ma oggi ho come la tremenda impressione che il problema sia più di fondo, e riguardi i capisaldi del nostro vivere comune. Penso che sia persino in discussione la civiltà politica di fondo, ben prima e ben più delle istituzioni e dei partiti presi in sé. E che anzi la crisi politica sia sprofondata in crisi di civiltà, in crisi basilare, appunto.
Nel 1992 la tempesta giudiziaria provocò danni politici enormi. Ma erano degli effetti, per i quali certo montò un clima antipartitico dannosissimo. Oggi è diverso. Da alcuni anni c’è chi sulla frantumazione trasversale del sistema politico ci conta, così come sulla divaricazione e sulla rottura dell’unità (persino costituzionale). La crisi politica venticinque anni fa era un antecedente e una conseguenza di mani pulite, oggi è invece uno strumento strategico, quasi propedeutico, impugnato dai principali competitori politici. Prima fu un effetto, oggi è causa e strumento consapevole. Per di più ingigantita ad arte, così, tanto per gradire.
Che cosa pensare di un potere che tenta di installarsi sulla crisi stessa del potere? Che cosa pensare di chi vorrebbe governare nello stillicidio delle istituzioni, nello scialo dei partiti e delle organizzazioni, giocando con entrambi i piedi nel campo dell’antipolitica, ritenendo la crisi, le divisioni, le spaccature trasversali una risorsa invece che un problema? Perché questo è. Sto parlando di naufraghi che affondano la loro zattera. Già la condizione del naufrago è quella che è, già la zattera è ben poca cosa rispetto a una nave. Ma brigare per distruggere quell’unica scialuppa, ritenendo di cavarne vantaggi, è veramente da pazzi, da ultimi uomini. Lo spettacolo è quel che è dunque, sembra una commedia senza un soggetto e senza attori veri: comparse che balbettano, tutto qui, e che affogano.
E pensare che quattro anni fa l’occasione c’era di dare un senso alla vicenda politica. Un uomo degno, preparato, eticamente strutturato, di buonissima volontà, di poche parole e semplici, con le idee chiare, senza presunzioni, ben consapevole della zattera su cui si veleggiava, pronto a salvaguardarla, tentando di ricavarne almeno una barca su cui trasportare i più disagiati era a nostra disposizione. Era un uomo che pensava in termini di unità, e che aveva dietro di sé ancora una sembianza flebile flebile di partito, non l’attuale ectoplasma di parvenu a buffo. E nonostante ciò, fu accantonato, non calcolato, dileggiato, criticato per un presunto ‘grigiore’ (tutti allenatori della nazionale ed esperti di marketing, ormai). Nel vuoto ingenerato, alla fine, si intrufolò pure Renzi, e facemmo tombola. Ci sarebbe da mordersi i gomiti per gli anni persi, e per la malinconia di questi ultimi tre anni ridicoli, ma si sa, i rimpianti nella vita e in politica non valgono nulla. Rattristano soltanto.