La costituzione strumento piegato al governo

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Gaetano Azzariti
Fonte: Il Manifesto

Povera Costi­tu­zione. Tra­sci­nata nel gorgo dei tec­ni­ci­smi par­la­men­tari, sbal­lot­tata tra dik­tat e for­za­ture isti­tu­zio­nali, ogni equi­li­brio viene scon­volto. La costi­tu­zione – si dice – viene scritta in tempi sobri per­ché possa valere quando si è ubria­chi. Ma qui tutti appa­iono alco­liz­zati, facendo venir meno il senso del pro­prio agire. Alcuni – si dice dalle parti del governo — sareb­bero addi­rit­tura degli allu­ci­nati. Ma come si può pen­sare di cam­biare una Costi­tu­zione in que­sto clima? Basta riat­ti­vare la memo­ria per ren­dersi conto dello scarto tra ciò che sarebbe neces­sa­rio e ciò che è.

C’è qual­cuno che può imma­gi­nare Alcide De Gasperi o Pal­miro Togliatti in assem­blea costi­tuente che si con­fron­tano a norma di rego­la­mento, minac­ciando di con­tin­gen­tare i tempi («con­tin­gen­tare»: un’espressione inde­cente figlia di un tempo morto qual è il nostro). Biso­gne­rebbe lasciar discu­tere di Costi­tu­zione chi nella Costi­tu­zione crede. E qui non ci crede più nessuno.

La Costi­tu­zione sem­bra essere diven­tata solo uno stru­mento per imporre un’immagine e garan­tire una poli­tica di governo. Impo­sta al par­la­mento con la minac­cia del suo scio­gli­mento. Più della disci­plina di par­tito conta il timore di con­clu­dere anti­ci­pa­ta­mente la pro­pria car­riera poli­tica. D’altronde il nuovo ceto diri­gente sta celer­mente pro­ce­dendo alla “rot­ta­ma­zione” (altro ter­mine inde­cente) della vec­chia e col­pe­vole casta. Non limi­tan­dosi ad epu­rare gli espo­nenti della poli­tica, ma un’intera classe diri­gente del Paese. Quel che non fu fatto da Togliatti dopo la guerra è ora rea­liz­zato dai nuovi gio­vani e arro­ganti gover­nanti. In par­la­mento il ter­rore di essere messi da parte ha preso il sopravvento.

Così assi­stiamo ad una per­dita di dignità dell’istituzione par­la­men­tare. È stato rile­vato che – in fondo – i tempi di discus­sione sono stati ampi. Ma la qua­lità del con­fronto? In un par­la­mento com­mis­sa­riato dal governo la discus­sione è dro­gata. Si pensi alla irra­gio­ne­vo­lezza di quanto è avve­nuto in com­mis­sione e al lavoro dei rela­tori. Dopo un ampio con­fronto, che aveva fatto emer­gere una larga mag­gio­ranza con­tra­ria al dise­gno di legge pre­sen­tato dal governo, s’è fatto finta di nulla e, rimosso qual­che inco­modo, s’è adot­tato come testo base pro­prio quello del governo, mino­ranza in com­mis­sione. Desi­gnati i rela­tori, poi, que­sti – su loro stessa espli­cita ammis­sione – hanno lavo­rato facen­dosi “vistare” dal governo tutti gli emen­da­menti e con­cor­dando con il mini­stro per le riforme ogni pas­sag­gio. Che fine ha fatto l’autonomia dell’istituzione par­la­men­tare e quella dei nostri rappresentanti?

Ora, in aula, l’arma dell’ostruzionismo appare una con­se­guenza ine­vi­ta­bile. Ma nella lotta tra bloc­chi con­trap­po­sti chi ne uscirà mal­con­cia sarà la Costi­tu­zione. Impo­sta dalla forza dei numeri, ma pri­vata di una legit­ti­ma­zione discorsiva.

Fer­ma­tevi, ver­rebbe da dire. Ritor­nate a par­larvi. Senza con­fronto non ci sarà riforma costi­tu­zio­nale, ma solo squi­li­brio, fol­lia, irri­fles­si­vità. Rin­fo­de­rate il revol­ver e tor­nate al con­fronto paci­fico, tor­nate in com­mis­sione sti­pu­lando un accordo: nes­suno alzi i toni e si dia tempo al tempo. Rifor­mare una Costi­tu­zione non è que­stione da poco, né fatto per­so­nale. Si tratta di defi­nire un “ordine nuovo” che si pro­ietti verso il futuro. Oltre gli attuali gover­nanti: oltre a Mat­teo Renzi e a Gior­gio Napo­li­tano, anche al di là di Sil­vio Berlusconi.

È stato sba­gliato legare la riforma al rilan­cio eco­no­mico (che opera su tutt’altro piano), alla con­clu­sione dell’attuale pre­si­denza delle Repub­blica (che riguarda una scelta del tutto per­so­nale di chi attual­mente rico­pre la carica), alla rile­git­ti­ma­zione di un poli­tico scon­fitto (e afflitto da vicende giu­di­zia­rie del tutto estra­nee). La Costi­tu­zione non è nella dispo­ni­bi­lità dei sin­goli lea­der. Solo se si com­prende che in gioco c’è un bene più alto delle pro­prie ambi­zioni per­so­nali o delle pur legit­time pro­spet­tive poli­ti­che si può cam­biare la Costi­tu­zione. Il punto dram­ma­tico di caduta è che oggi que­sta con­sa­pe­vo­lezza non c’è.

25 luglio 2014

“Correggere una costituzione non è impresa minore del costruirla per la prima volta”.

La saggezza bi-millenaria di Aristotele non trova ascolto nell’Italia delle larghe intese. Dominato dall’ossessione del tempo, l’intero processo di riforma della nostra costituzione (da completarsi entro 18 mesi o cade il governo) appare destinato a sprofondare nel vuoto e mostra di non saper affrontare con un’adeguata cultura istituzionale la complessità di un’opera di revisione del testo che si pone alla base della convivenza sociale e politica del paese. Tutto ciò che può far perder tempo – il dialogo, il dubbio, la meditazione e il confronto delle idee – è considerato un ostacolo da evitare. Ma la fretta e l’improvvisazione è proprio ciò che i nostri costituenti hanno voluto scongiurare.

La pausa di tre mesi tra una deliberazione e l’altra per dar modo ai parlamentari di riflettere e approfondire i singoli temi, le maggioranze qualificate e lo sforzo di coinvolgere il più ampio numero di forze politiche oltre la maggioranza semplice del governo, il referendum di natura oppositiva come strumento ultimo di verifica dell’effettivo consenso alla revisione operata dai nostri rappresentanti sono il cuore delle garanzie costituzionali sulla revisione, scritte in modo chiaro all’articolo 138.

Non solo, anche la previsione (definita all’art. 72, nel combinato disposto tra 2˚ e 4˚ comma) che impone per i disegni di legge in materia costituzionale la «procedura normale» di esame e approvazione, escludendo che si possa adottare il procedimento abbreviato previsto per i casi in cui sia dichiarata l’urgenza, segnala come la discussione sulla costituzione e le sue modifiche non possa essere piegata alla contingenza del momento o alle necessità della politica. Eppure, il governo di larghe intese con il passo del bulldozer spiana la strada alla riforma, costringendo il parlamento ad approvare tutto e subito.

Ha iniziato presentando direttamente il ddl costituzionale che impone una procedura straordinaria per l’approvazione delle riforme costituzionali. Con una disinvoltura che lascia sgomenti, non solo si accinge a derogare alle garanzie procedurali previste dalla nostra costituzione (all’articolo 138), ma per di più impone i modi e le forme del dibattito parlamentare. Strozzandone i tempi. Ottenuta la procedura d’urgenza al Senato (in barba all’articolo 72 cost.) è riuscito, con il contributo attivo di tutti i partiti delle larghe intese, a smaltire la discussione e la votazione sugli emendamenti nello spazio di una giornata. Nel modo più semplice: non prendendoli in considerazione.

Alcune modifiche, strettamente concordate dalla maggioranza (e solo da questa) sono state introdotte. Ma non per migliorare il testo, semplicemente per irrigidire i lavori del Comitato parlamentare che dovrà esaminare i progetti di legge costituzionali o per ridistribuire i tempi dell’implacabile crono-programma prestabilito. Solo in un caso la modifica introdotta appare significativa, ed è indicativa dello stato di confusione nel quale versano gli affrettati fautori della riscrittura del testo della costituzione. In modo assai sprovveduto, inizialmente, il governo aveva indicato le materie su cui si sarebbe dovuti intervenire: forma di Stato, forma di governo, bicameralismo e, da ultimo, in coerenza con le revisioni adottate, la legge ordinaria di riforma dei sistemi elettorali. L’illusione era di poter così circoscrivere la portata delle modifiche costituzionali.

È stato sufficiente che qualcuno (Donato Bruno del Pdl) notasse come la materia della giustizia non potesse venire esclusa nel caso si giungesse al mutamento della forma di governo, che, d’improvviso, s’è aperto il vaso di pandora. La riscrittura di così ampie parti della costituzione non può, infatti, che comportare la ridefinizione di tutti gli equilibri tra i poteri. Ed ecco allora che si è ammesso quanto era già evidente agli occhi dei più attenti osservatori: questa riforma, se avrà successo, non si limiterà a riscrivere parti ma finirà per travolgere l’intera costituzione. Dal fondo degli abissi già si ode l’urlo terribile e drammatico (come lo definiva Carl Schmitt) del potere costituente. La breccia dalla quale riuscirà a imporsi è stata individuata: l’articolo 2, comma 1 bis.

Un «piccolo» emendamento – presentato come una sconfitta delle pretese del centrodestra sulla giustizia e una vittoria del centrosinistra – che ammette modifiche di ogni parte della costituzione purché «strettamente connesse» alle materie espressamente indicate. Se si fosse letto qualche libro e si avesse avuto il tempo per soffermarsi un poco a meditare sarebbe apparso evidente quel che va ripetendo dall’inizio del secolo scorso la dottrina costituzionale e che qualunque revisore della costituzione dovrebbe sapere. Tutta la nostra costituzione è «strettamente connessa», svolgendo un ruolo essenzialmente di integrazione sociale e politica, definendo un «sistema ordinato» di principi tra loro tutti collegati.

È questa, in fondo, la ragione per la quale si dovrebbero proporre solo modifiche puntuali su argomenti specifici. Ogni volta invece che si è passati dalla «revisione costituzionale» (art. 138) alla «grande riforma» in deroga s’è finito per stravolgere il sistema costituzionale costituito. Ma evidentemente nella fretta ci si è distratti. Ed eccoci ad un passo dal baratro del potere costituente. Grande appare, inoltre, la disattenzione per il complesso delle garanzie e delle regole che dovrebbe sovraintendere l’opera del revisore costituzionale. Tutto viene sacrificato in nome dell’unica norma fondamentale che deve essere osservata: la «legge» del rispetto dei tempi. Basta qui un solo esempio, ma che sembra assai eloquente.

La cavalcata che dovrebbe portare al nuovo assetto costituzionale non prevede nessuna possibilità di ripensamento, stravolgendo così l’intero impianto della revisione costituzionale indicata all’articolo 138. Vengono, infatti, mantenute le quattro deliberazioni formali dinanzi alle Camere, sebbene se ne accorcino drasticamente i tempi. Quel che è più grave, però, è che questi passaggi sono resi del tutto inutili. Infatti, dovendo rispettare i 18 mesi a disposizione, è evidente che non si potrà cambiar nulla di quanto deciso nella Camera che delibera per prima.

Se l’altro ramo del parlamento esercitasse i suoi poteri costituzionali e modificasse i progetti che gli vengono sottoposti si dovrebbe ricominciare da capo. E il crono-programma salterebbe. Per non dire della seconda lettura, la quale non potrà che limitarsi a una mera ratifica formale di quanto deciso 45 giorni prima. Un parlamento sotto ricatto: se esercita le sue prerogative salta il governo che – come ha minacciato il presidente del consiglio nel discorso di insediamento davanti alle Camere – non dovrebbe avere «esitazioni a trarne immediatamente le conseguenze».

C’è da sperare che il nostro parlamento alzi la testa e faccia valere la propria dignità, e con essa la superiore legalità costituzionale.

Povera Costi­tu­zione. Tra­sci­nata nel gorgo dei tec­ni­ci­smi par­la­men­tari, sbal­lot­tata tra dik­tat e for­za­ture isti­tu­zio­nali, ogni equi­li­brio viene scon­volto. La costi­tu­zione – si dice – viene scritta in tempi sobri per­ché possa valere quando si è ubria­chi. Ma qui tutti appa­iono alco­liz­zati, facendo venir meno il senso del pro­prio agire. Alcuni – si dice dalle parti del governo — sareb­bero addi­rit­tura degli allu­ci­nati. Ma come si può pen­sare di cam­biare una Costi­tu­zione in que­sto clima? Basta riat­ti­vare la memo­ria per ren­dersi conto dello scarto tra ciò che sarebbe neces­sa­rio e ciò che è.

C’è qual­cuno che può imma­gi­nare Alcide De Gasperi o Pal­miro Togliatti in assem­blea costi­tuente che si con­fron­tano a norma di rego­la­mento, minac­ciando di con­tin­gen­tare i tempi («con­tin­gen­tare»: un’espressione inde­cente figlia di un tempo morto qual è il nostro). Biso­gne­rebbe lasciar discu­tere di Costi­tu­zione chi nella Costi­tu­zione crede. E qui non ci crede più nessuno.

La Costi­tu­zione sem­bra essere diven­tata solo uno stru­mento per imporre un’immagine e garan­tire una poli­tica di governo. Impo­sta al par­la­mento con la minac­cia del suo scio­gli­mento. Più della disci­plina di par­tito conta il timore di con­clu­dere anti­ci­pa­ta­mente la pro­pria car­riera poli­tica. D’altronde il nuovo ceto diri­gente sta celer­mente pro­ce­dendo alla “rot­ta­ma­zione” (altro ter­mine inde­cente) della vec­chia e col­pe­vole casta. Non limi­tan­dosi ad epu­rare gli espo­nenti della poli­tica, ma un’intera classe diri­gente del Paese. Quel che non fu fatto da Togliatti dopo la guerra è ora rea­liz­zato dai nuovi gio­vani e arro­ganti gover­nanti. In par­la­mento il ter­rore di essere messi da parte ha preso il sopravvento.

Così assi­stiamo ad una per­dita di dignità dell’istituzione par­la­men­tare. È stato rile­vato che – in fondo – i tempi di discus­sione sono stati ampi. Ma la qua­lità del con­fronto? In un par­la­mento com­mis­sa­riato dal governo la discus­sione è dro­gata. Si pensi alla irra­gio­ne­vo­lezza di quanto è avve­nuto in com­mis­sione e al lavoro dei rela­tori. Dopo un ampio con­fronto, che aveva fatto emer­gere una larga mag­gio­ranza con­tra­ria al dise­gno di legge pre­sen­tato dal governo, s’è fatto finta di nulla e, rimosso qual­che inco­modo, s’è adot­tato come testo base pro­prio quello del governo, mino­ranza in com­mis­sione. Desi­gnati i rela­tori, poi, que­sti – su loro stessa espli­cita ammis­sione – hanno lavo­rato facen­dosi “vistare” dal governo tutti gli emen­da­menti e con­cor­dando con il mini­stro per le riforme ogni pas­sag­gio. Che fine ha fatto l’autonomia dell’istituzione par­la­men­tare e quella dei nostri rappresentanti?

Ora, in aula, l’arma dell’ostruzionismo appare una con­se­guenza ine­vi­ta­bile. Ma nella lotta tra bloc­chi con­trap­po­sti chi ne uscirà mal­con­cia sarà la Costi­tu­zione. Impo­sta dalla forza dei numeri, ma pri­vata di una legit­ti­ma­zione discorsiva.

Fer­ma­tevi, ver­rebbe da dire. Ritor­nate a par­larvi. Senza con­fronto non ci sarà riforma costi­tu­zio­nale, ma solo squi­li­brio, fol­lia, irri­fles­si­vità. Rin­fo­de­rate il revol­ver e tor­nate al con­fronto paci­fico, tor­nate in com­mis­sione sti­pu­lando un accordo: nes­suno alzi i toni e si dia tempo al tempo. Rifor­mare una Costi­tu­zione non è que­stione da poco, né fatto per­so­nale. Si tratta di defi­nire un “ordine nuovo” che si pro­ietti verso il futuro. Oltre gli attuali gover­nanti: oltre a Mat­teo Renzi e a Gior­gio Napo­li­tano, anche al di là di Sil­vio Berlusconi.

È stato sba­gliato legare la riforma al rilan­cio eco­no­mico (che opera su tutt’altro piano), alla con­clu­sione dell’attuale pre­si­denza delle Repub­blica (che riguarda una scelta del tutto per­so­nale di chi attual­mente rico­pre la carica), alla rile­git­ti­ma­zione di un poli­tico scon­fitto (e afflitto da vicende giu­di­zia­rie del tutto estra­nee). La Costi­tu­zione non è nella dispo­ni­bi­lità dei sin­goli lea­der. Solo se si com­prende che in gioco c’è un bene più alto delle pro­prie ambi­zioni per­so­nali o delle pur legit­time pro­spet­tive poli­ti­che si può cam­biare la Costi­tu­zione. Il punto dram­ma­tico di caduta è che oggi que­sta con­sa­pe­vo­lezza non c’è.

– See more at: http://fondazionepintor.net/costituzione/azzariti/piegata/#sthash.I5yYToMx.dpuf

Babelezon bookstore leggi che ti passa

Articoli correlati

Lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.