Fonte: facebook
di Alfredo Morganti – 16 febbraio 2015
“orfini @orfini • 14 feb
Presente quelli che spiegano che fare le riforme senza le opposizioni è brutto? Sono gli stessi che se la prendevano col patto del Nazareno”.
Matteo Orfini ha voluto punzecchiare in questo modo i critici del Patto del Nazareno. Sostenendo che ci sarebbe una contraddizione tra criticare il Patto, appunto, e chiedere che le riforme si facciano con l’opposizione. Come se fosse possibile mettere sullo stesso piano quel Patto con Berlusconi-Verdini e il lavoro parlamentare, i compagni di merenda coi partiti, la discussione alla luce del sole con le parole pronunciate chiusi in qualche sgabuzzino del Nazareno o di Palazzo Chigi. Insomma, dice Orfini, non avete voluto il Patto, e ora perché chiedete che le opposizioni siano coinvolte? Il Parlamento vuoto che approva la riforma costituzionale sarebbe responsabilità di chi si è opposto alla chiacchierate tra amici del Nazareno, e comunque costui non se ne dolga.
E badate bene, tutto a va a parare sempre dalla stessa parte: la colpa del Parlamento vuoto, delle riforme unilaterali, dei giri di vite e dei canguri sarebbe sempre degli stessi, di quelli che non amavano il metodo Nazareno. Della minoranza PD, dei Fassina, D’Attorre, ecc. Gli stessi che oggi si dolgono perché il Parlamento ‘riformista’ sembra l’Indocina. Sotto sotto, lascia intendere Orfini, la colpa è di Bersani. Sempre lui! Che vuole le riforme ma non vuole il Nazareno! E ci regala alla fine lo sciame sismico delle sedute fiume. Come no. Anche perché se c’è qualcuno che non ha mai colpe e può punzecchiare a suo piacimento tutti, è quello che si accoda sempre a tutte le svolte e a tutte le leadership. Quello che fa scalare il partito agli altri e poi gli sale in groppa (o vorrebbe), ovviamente mantenendo sempre una salutare distanze da tutti e tutto.Tale da poter dire: io non c’entro, io voglio solo il bene del partito. Perché questo è, e resta, il mio partito. E questo resta pure, dice, il mio segretario, tanto più se occupo una carica di vertice e da qui osservo le vicende interne.
Peccato che, come dice Scalfari, “tutti i partiti non sanno chi sono e procedono, perché c’è un boss che li comanda”. E poi si chiede: “Chi è a questo punto il Partito Democratico?”. Sicché torna vero, sempre, il verso del poeta: soltanto questo oggi possiamo dirti, ciò che non siamo, ciò che non vogliamo. In questo grigiore di identità sfumate e spesso ignote, ci si punzecchia ormai solo da tifosi di calcio. Tal che la metafora calcistica si è impossessata della lettera politica, ed ecco cosa succede a esagerare: la politica è divenuta una specie di torneo dei bar. Un’altra dimostrazione? È qui:
“Matteo Renzi @matteorenzi
Grazie alla tenacia dei deputati terminati i voti sulla seconda lettura della riforma costituzionale. Un abbraccio a #gufi e #sorciverdi“.
Roba da tifosi, insomma. La politica che resta è talmente poca, che ormai entra in un tweet. Diciamolo. E fuori di lì si sente spersa.