Fonte: Globalist/Il Fatto Quotidiano
La Corte dell’Aja non archivia le accuse contro Israele: “Almeno alcuni atti potrebbero essere genocidio”
(video) di Benedetta Piola Caselli
La Corte internazionale di Giustizia dell’Aja ritiene che esista una controversia tra Israele e Sudafrica e attribuisce alla Corte la giurisdizione per pronunciarsi sul caso.
Lo ha affermato la giudice americana Joan Donoghue, secondo cui “almeno alcuni atti sembrano in grado di rientrare nella convenzione sul genocidio”, e “la Corte ritiene di non poter accogliere la richiesta di Israele di archiviare il caso”.
Donoghue ha citato il coordinatore dei soccorsi d’emergenza delle Nazioni Unite Martin Griffiths che ha affermato che “Gaza è diventata un luogo di morte e disperazione”. Il giudice ha affermato che a Gaza sono state sfollate 1,7 milioni di persone e che l’enclave è diventata “inabitabile” ma osserva, tuttavia, che i numeri provenienti da Gaza non possono essere verificati in modo indipendente. Secondo Save The Children, “almeno 11.500 bambini sarebbero stati uccisi a Gaza dal 7 ottobre”. Le autorità sanitarie palestinesi parlano in tutto di oltre 26mila vittime civili.
“Israele prevenga atti di genocidio e conservi le prove”
La Corte ritiene che vi sia sufficiente urgenza per ordinare misure provvisorie contro Israele. Per questo la giudice ha chiesto al governo israeliano di “prendere tutte le misure per prevenire qualunque atto di genocidio a Gaza”. Israele deve garantire “con effetto immediato” che le sue forze non commettano nessuno degli atti previsti dalla convenzione. Inoltre, “deve prendere misure per punire coloro che incitano al genocidio” dei palestinesi. Secondo la Corte, Gerusalemme deve poi garantire la conservazione delle prove del presunto genocidio.
Israele riferisca in aula entro un mese
La presidente Donoghue ha infine ordinato a Israele di riferire alla Corte entro un mese e ha anche affermato che devono essere adottate misure per migliorare la situazione umanitaria nella Striscia.
Chiesto il rilascio degli ostaggi
La corte ha contestualmente chiesto il rilascio immediato e incondizionato degli ostaggi israeliani che sono ancora nelle mani di Hamas a Gaza.
Ramaphosa ha anche affermato che il suo Paese, che ha presentato il caso del genocidio contro Israele alla massima corte delle Nazioni Unite, è felice che «le grida di giustizia del popolo palestinese siano state ascoltate da un eminente organo».
Ramaphosa, in un discorso televisivo in diretta in Sud Africa poche ore dopo la sentenza, ha accusato Israele di aver inflitto «punizioni collettive» contro i palestinesi di Gaza in risposta agli attacchi del 7 ottobre da parte dei militanti di Hamas.
Il leader sudafricano ha affermato che l’offensiva militare israeliana è «ampiamente sproporzionata rispetto a qualsiasi affermazione da parte di Israele di aver agito per legittima difesa».
“Molto probabilmente, sono stati sistemi Patriot americani o europei, molto probabilmente francesi. Ma tra un paio di giorni verrà data la risposta esatta”.
Per la prima volta Putin interviene sul giallo politico-militare dell’aereo russo abbattuto sui cieli della regione di Belgorod. Giallo perché resta in dubbio il carico, la mano di chi ha determinato la caduta del grande aereo da trasporto, la presenza a bordo di prigionieri ucraini, come sostiene Mosca, di missili come replica l’Ucraina.
Per Putin – che parlava agli studenti – non può essere stato ‘fuoco amico’ in nessuna circostanza, perché l’aereo è stato colpito da missili di difesa aerea, non da mezzi militari. Per definizione – ha detto Putin – le nostre difese aeree non possono colpire i loro aerei. Ci sono sistemi amici o nemici lì, e non importa quanto l’operatore prema il pulsante, i nostri sistemi di difesa aerea non funzionerebbero. Tecnica. E le armi sequestrate sul posto indicano che si tratta di un missile di difesa aerea”, ha detto Putin nell’ incontro con gli studenti pronti a firmare per andare in guerra appena maggiorenni.
C’è un giudice a l’’Aja. E una giustizia che ridà speranza al martoriato popolo palestinese. Di cosa si tratti, Globalist ne ha dato notizia in tempo reale. Così come del fiume di commenti giunti da Tel Aviv, sdegnati, e dal resto del mondo.
Chi scrive ne rilancia due, che danno conto di un sentimento da condividere. «I giudici – ha rilevato in un intervento televisivo il ministro degli Esteri palestinese Riad al-Malki – hanno stabilito i fatti e la legge, si sono pronunciati in favore dell’umanità e del diritto internazionale».
La Palestina, ha aggiunto, fa appello a tutti gli Stati affinché sia garantita la realizzazione dei provvedimenti richiesti dalla Corte, «anche da parte di Israele, che è la potenza occupante».
L’altro commento da rilanciare è quello di Paolo Pezzati, portavoce per le crisi umanitarie di Oxfam Italia, persona equilibrata e profondo conoscitore della realtà palestinese: “L’ordinanza e le misure provvisorie emanate dalla Corte internazionale di giustizia – annota Pezzati – rappresentano un passo cruciale nel riconoscimento delle atrocità commesse a Gaza dallo Stato di Israele, per fermare lo spargimento di sangue e gli orrori inimmaginabili di cui stanno facendo le spese 2,3 milioni di palestinesi. Il Governo israeliano deve rispettare la sentenza, dopo che in oltre 100 giorni di bombardamenti indiscriminati ha già ucciso oltre 25 mila persone. L’azione militare israeliana ha causato lo sfollamento di massa di un intero popolo, usando la fame come arma di guerra e negandogli gli aiuti di cui ha un disperato bisogno. Allo stesso tempo tutti gli Stati – in particolare quelli che sostengono Israele attraverso la fornitura di armi, nonostante il chiaro rischio che vengano usate per commettere crimini di guerra – devono rispettare la sentenza della Corte e non essere complici di azioni che la disattendono. Esortiamo tutti i Paesi, compresa l’Italia, a fare tutto ciò che è in loro potere per garantire un immediato cessate il fuoco, assicurando che i responsabili delle violazioni da entrambe le parti siano chiamati a rispondere delle loro azioni e lavorando per porre fine all’occupazione decennale di Israele nei territori palestinesi.”
Un appello che facciamo nostro.
La richiesta di cessate il fuoco a Gaza non compare tra le misure provvisorie chieste dalla Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja a Israele, ma i giudici del tribunale Onu hanno deciso di respingere la richiesta di archiviazione di Tel Aviv rispetto all’accusa di genocidio mossa dal Sudafrica per l’operazione militare nella Striscia. La Corte procederà, quindi, e le motivazioni di questa decisione, pronunciate dalla giudice americana Joan Donoghue, sono chiare: “Almeno alcuni atti sembrano in grado di rientrare nella convenzione sul genocidio”. In sostanza, secondo i giudici dell’Aja, alcune azioni compiute da Israele potrebbero configurare l’atto di genocidio contro il popolo palestinese di Gaza.
La scelta dei giudici dell’Aja, che inizia ora il suo lavoro per arrivare a una sentenza definitiva, rappresenta comunque un punto di svolta del conflitto esploso dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre scorso, nel quale vennero uccisi 1.200 civili. Al di là dei pareri contrastanti, dei cambi di posizione della comunità internazionale, delle accuse e di alleanze che si fanno e si disfanno sulla pelle di, al momento, 25mila persone uccise dai raid israeliani, è la prima volta dall’inizio della guerra che un tribunale internazionale esprime un giudizio sull’operato dell’esercito e del governo israeliano a Gaza. La giudice entra anche nello specifico e sottolinea la gravità di alcune dichiarazioni di ministri del governo Netanyahu. Proprio queste verranno analizzate per stabilire se costituiscono un incitamento al genocidio. Il riferimento è, ad esempio, alle parole del ministro della Difesa, Yoav Gallant, quando promise che “non ci sarà elettricità, né cibo, né carburante” nella Striscia e che le forze israeliane stavano “combattendo animali umani“. Affermazioni che Donoghue ha ricordato affiancandole ad altre pronunciate dal presidente Isaac Herzog e dal ministro degli Esteri Israel Katz.
Ma soprattutto, ciò che deve essere verificato è se vi sia stata, nell’azione di Israele, la volontà di procedere con l’uccisione sistematica di un popolo in quanto tale, precondizione necessaria affinché si possa parlare di genocidio. Alcune delle azioni intraprese, dicono i giudici, fanno ipotizzare che ci sia effettivamente stata una violazione della convenzione sul genocidio.
In attesa della sentenza definitiva, ciò che la Corte poteva fare era disporre delle misure provvisorie alle quali Israele deve attenersi, anche se L’Aja non ha alcun potere che le permetta di vigilare sulla loro effettiva attuazione. Tra queste non compare però l’ordine di andare verso un rapido cessate il fuoco, come ci si attendeva, ma si trovano altre iniziative “per prevenire qualunque atto di genocidio a Gaza”. Si tratta nello specifico di “misure immediate ed efficaci per consentire la fornitura dei servizi di base e dell’assistenza umanitaria” necessari per affrontare le condizioni di vita dei palestinesi nella Striscia. Per fare ciò, a Tel Aviv viene dato un mese di tempo per riferire di fronte alla Corte sulle iniziative intraprese, senza, specificano, alterare o nascondere eventuali prove del presunto genocidio a Gaza. Inoltre, il governo deve “prendere misure per prevenire e punire coloro che incitano al genocidio” dei palestinesi. Dopo queste raccomandazioni, la Corte ha anche voluto lanciare un appello per il rilascio immediato e incondizionato degli ostaggi israeliani.
I giudici si sono basati, oltre che sul dossier presentato dal Sudafrica, anche sui rapporti delle Nazioni Unite che da mesi ormai, anche con il segretario generale Antonio Guterres, denunciano i raid nella Striscia e chiedono un cessate il fuoco che eviti ulteriore spargimento di sangue. Non a caso, Donoghue ha citato il coordinatore dei soccorsi d’emergenza delle Nazioni Unite, Martin Griffiths, secondo cui “Gaza è diventata un luogo di morte e disperazione“, dove sono state sfollate 1,7 milioni di persone in una striscia di terra diventata “inabitabile“.
Con questa prima decisione della Corte, aumenta la pressione sul governo d’Israele, chiamato a rispettare le disposizioni del principale organismo giuridico delle Nazioni Unite e pressato dagli alleati per arrivare a un cessate il fuoco. La tregua permanente, però, potrebbe mettere fine alla vita politica di Netanyahu e a trattative per la nascita di uno Stato palestinese. Tutto quello che Bibi vuole evitare.