Fonte: ItaliaOggi
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di Carlo Valentini – 14 settembre 2017
Giuliano Pisapia avrà pure fatto pace con Mdp ma intanto ha detto sì anche ad Andrea Orlando che il 16 settembre, dopodomani, terrà a battesimo (a Roma Eventi, via Alibert 5) la sua corrente (Dems, ovvero: democrazia Europa società) e ha scelto non a caso come titolo del summit: Un nuovo centrosinistra per unire l’Italia.
Tra gli ospiti di riguardo ci sarà Nicola Zingaretti, che alle primarie appoggiò Orlando e che deve decidere in questi giorni se tenterà la strada del parlamento o si ripresenterà a governatore del Lazio. Poi ci sarà il ministro Carlo Calenda. Pisapia farà parte di questo schieramento che cercherà di ricompattare la sinistra all’interno del Pd con quella esterna ma dialogante grazie ai buoni uffici dell’ex sindaco di Milano su due obiettivi: proporre i centristi di Calenda alternativi a quelli di Angelino Alfano e quindi respingere l’accusa di volere un centrosinistra monco al centro e perciò perdente. Non è un caso che Calenda salirà sul palco e che un altro centrista, Bruno Tabacci, braccio destro di Pisapia, tirerà le fila dietro le quinte. Il centrismo dal volto accettabile da Pierluigi Bersani & Co sarà sfornato sabato e in qualche misura si contrapporrà al patto tra Renzi e Alfano.
Il secondo obiettivo è puntare su Paolo Gentiloni come candidato alla presidenza del consiglio post-elezioni. I sondaggi lo danno fortemente in ascesa mentre Matteo Renzi, che deve però ancora incominciare il suo pressing mediatico, è fermo al palo. Un insuccesso delle elezioni in Sicilia e qualche intoppo in campagna elettorale potrebbero anche convincerlo a rimanere segretario del Pd lanciando un nuovo governo Gentiloni e quindi riproponendo l’attuale tandem tra i due, piuttosto che andare verso una sconfitta che lo farebbe sparire dalla scena politica.
Così Orlando prima sottolinea l’importanza dell’esito elettorale siciliano: «Tutte le elezioni sono un banco di prova, non un verdetto ma sicuramente un indizio. Quelle siciliane sono importanti perché votano 6 milioni di persone, ma anche perché ci aiutano a capire quale è il clima nel Paese». Poi chiede una legge elettorale che premi la coalizione e non i singoli partiti: «Dobbiamo costruire una legge elettorale che consenta la nascita di una coalizione, e soprattutto la governabilità il giorno dopo le elezioni. È un dato che interessa il Paese prima ancora che il Pd: non possiamo permetterci di avere mesi di ingovernabilità, perché brucerebbero i risultati positivi che stiamo riuscendo ad ottenere sul fronte economico».
Infine egli anticipa di essere disposto a fare le barricate per difendere il governo Gentiloni dagli attacchi di Massimo D’Alema. Non si tratta di una difesa qualsiasi, il significato è che proprio su Gentiloni egli propone di riannodare il dialogo a sinistra. Del resto Pisapia ha sulla strada della sua strategia politica il moloch dell’incomunicabilità tra Renzi e gli scissionisti e in Sicilia è apparso chiaro che si tratta di un muro invalicabile. Se potesse giocare la carta Gentiloni tutto sarebbe più facile. Zingaretti e Renzi non hanno mai avuto feeling e questo spiega, in parte, il clamoroso insuccesso alle elezioni comunali nella Capitale. Il governatore del Lazio, alla fine, ha deciso di non seguire il suo collega della Toscana, Enrico Rossi, e di rimanere nel Pd, seppure in posizione critica rispetto al segretario. Adesso si sta costruendo un ruolo di staffetta tra Orlando e Pisapia. Ma tiene i rapporti anche con Goffredo Bettini, Romano Prodi, Enrico Letta, Anna Finocchiaro tutt’altro che insensibili a un progetto neo-ulivista che cammini sulle gambe di Calenda, Pisapia e Gentiloni. La Finocchiaro è esplicita: «Renzi ha suscitato grandi aspettative ma Paolo Gentiloni con prudenza ed equilibrio mostra una capacità di dialogo che gli consente di evitare le personalizzazioni che hanno penalizzato Renzi. Al contrario Gentiloni opera con una meno esibita determinazione».
Quanto a Calenda, ex-Italia Futura di Luca Cordero di Montezemolo, ex-Scelta civica, ex Confindustria, chiamato al governo da Enrico Letta e rimasto sia con Renzi che con Gentiloni, lui è, appunto, già nell’esecutivo e con Marco Minniti e Pier Carlo Padoan fa parte del team di punta di Gentiloni, di cui dice un gran bene. Il circolo quindi si può chiudere e dall’assemblea emergerà, più o meno esplicitamente l’alternativa-Gentiloni alle ambizioni governative renziane (ma Cesare Damiano, orlandiano di ferro e presidente della commissione Lavoro lo ha già ipotizzato pubblicamente: «oggi vengono premiati leader come Gentiloni, capaci di unire più che dividere»).
Non è un caso che l’altro antagonista di Renzi alle primarie, Michele Emiliano (anche lui presidente di Regione, come Zingaretti) abbia detto di seguire con interesse l’iniziativa avviata da Orlando. Del resto pur rimanendo autonomi si può colpire uniti: «Se Gentiloni, come io mi auguro- dice Emiliano- assumerà la leadership del centrosinistra, immagino che il suo contributo al Paese, all’Italia, e anche al centrosinistra sarà ancora più importante».
Insomma tutti insieme, o quasi, i pidiessini non renziani, sabato a Roma. Con Pisapia che sa di essere un elefante nella cristalleria. Non deve rompere con Renzi (il quale gli ha fatto sapere: «Il centrosinistra lo vogliamo fare con chi ci sta, gli altri vadano per la loro strada») ma neppure lasciarsi sfuggire frasi che indispettiscano Bersani & Co. Dovrà calibrare le parole se vuole rilanciare, dopo l’embrasson nous dell’altro ieri con Mdp, il suo ruolo di mediatore. Un Henry Kissinger (con le dovute proporzioni) della politica italiana ma mediare tra i leader dei nostri partiti è più difficile che mettere d’accordo cinesi e americani.
1 commento
Quante elucubrazioni prive di realtà!!! E voi dovreste essere i conquistatori del popolo che si è stancato di votare il PD? Andrete nel Bosco con queste argomentazioni? Ma per favore!!!! Andate a fa un bagno