Fonte: La stampa
La Capitol Hill fallita del Capitano leghista e il populismo senza più popolo
Il raduno siciliano è finito con 95 tra parlamentari e ministri leghisti, senza folla. Ma soprattutto è stato un inutile atto di mortificazione delle istituzioni
«Possono arrestare me ma non possono arrestare un intero popolo»: bisogna partire dall’ultima frase di Matteo Salvini alla platea dell’ultimo raduno di Pontida per capire cosa è successo ieri a Palermo dove il popolo solidale, il popolo arrabbiato, il popolo della Santa Alleanza sovranista, si è visto pochissimo, quasi niente, nonostante la coincidenza tra il processo al Capitano e la mancata convalida giudiziaria del trasferimento a Gjader dei primi dodici migranti incappati nell’operazione Albania.
Processo Open Arms, a Palermo i militanti della Lega con maglietta pro-Salvini
L’escalation mediatica di Salvini per chiamare la mobilitazione No-Migranti era stata accurata e particolarmente cinematografica. C’era stato, subito dopo la richiesta di condanna della pubblica accusa, il filmino in black del 14 settembre, con la rivendicazione dell’Articolo 52 della Costituzione (“La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino”) e il racconto del braccio di ferro con la Open Arms come un eroico Piave degli anni Duemila, un uomo solo contro l’invasione del sacro suolo nazionale. Due giorni fa, alla vigilia dell’udienza, il Capitano era ricomparso sui social, sempre in nero-notte, per raccontare i suoi sentimenti prima del cimento d’aula: «Paura zero, e non ve lo dico per fare il fenomeno, mi avete chiesto di difendere i confini e ho fatto il mio lavoro». Poi, come sempre, il tam tam dei territori, tutti a Palermo. E la suggestione che il palcoscenico siciliano potesse controbilanciare il primo blitz albanese di Giorgia Meloni nella gara delle destre a chi è più severo, operativo, efficace contro i barbari in arrivo da Sud.
Processo Open Arms, Giulia Bongiorno: “Non ci fu nessun sequestro, Italia in ginocchio per far scendere i migranti”
È finita con 95 tra parlamentari e ministri leghisti in piazza, qualche decina di curiosi, più giornalisti che popolo, e soprattutto con un inutile atto di mortificazione delle istituzioni. Per la prima volta l’Italia ha visto un pezzo dei potere esecutivo – i ministri titolari di Scuola, Economia, Riforme e Disabilità – fronteggiare fisicamente il potere giudiziario e anche, implicitamente, il potere legislativo del Parlamento che ha autorizzato l’inchiesta e il processo a Salvini.
Ai vecchi tempi del Centrodestra, nel marzo 2013 del processo Ruby, Silvio Berlusconi era stato più furbo: finse di disapprovare la manifestazione convocata dai suoi sotto il tribunale di Milano e restò ricoverato al San Raffaele per risultarne del tutto estraneo. La fine del governo di Mario Monti era dietro l’angolo insieme a una probabile vittoria del centrodestra e al ritorno del Cavaliere a Palazzo Chigi (come poi successe): mica voleva farsi dare del sovversivo. I forzisti aderirono alla protesta dicendo: «una volta tanto, gli abbiamo disobbedito». Salvini ha rifiutato anche quel tipo di astuta cautela. Ha preferito, come sempre, il ruolo di capo-popolo a quello di uomo di governo. Ma senza il popolo, cosa se ne fa?
Il “no grazie” degli italiani alla chiamata alle armi del Capitano, la mancata Capitol Hill di Palermo, ridimensiona i (legittimi) allarmi democratici della vigilia e suona come un avvertimento anche rispetto all’altro evento di giornata, la decisione dei giudici di Roma di non convalidare il trattenimento in Albania del primo gruppo di immigrati spediti nel nuovo centro di Gjader. Il Viminale ha già annunciato ricorso. Giorgia Meloni è cauta: «Troverò una soluzione anche a questo». Gli altri se la prendono coi giudici politicizzati. La foga dei tempi d’oro sembra un po’ appassita e la parola popolo non figura in nessun testo, forse perché comincia a diffondersi il timore che il popolo italiano guardi da un’altra parte. Magari ai notevolissimi costi di un’iniziativa così estrema e in conflitto con le regole europee. Magari ai benefit economici del personale spedito a Tirana, che in epoca di salari al palo fanno una certa invidia. Magari alla modestia di quel primo trasferimento, dodici persone appena, un numero che fa a pugni con la grancassa dell’allerta invasione suonata per anni dal centrodestra.
Bisognerà approfondire. Bisognerà domandarsi quanto rende ancora la battaglia campale contro l’immigrazione, cosa ne pensa il popolo dell’Italia 2024, l’Italia dei bassi salari, della sanità in crisi, delle guerre. La giornata di ieri sembra dire che quel tipo di bandiera, sventolata con le maniere forti dei blocchi navali o della sfida alle regole europee, forse non scalda più i cuori neanche degli elettorati di riferimento del sovranismo, e figuriamoci del popolo italiano nella sua interezza.