Anna Lombroso per il Simplicissimus – 5 luglio 2014
Una nuova legge permetterà a bambini di soli 10 anni di essere legalmente assunti o di iniziare un’attività lavorativa: lo hanno deciso governo e Parlamento boliviano abbassando l’età minima dei bambini lavoratori da 14 a 10 anni, come misura ineludibile per combattere la miseria. Così, se saranno rispettati alcuni criteri giuridici, i bambini boliviani potranno iniziare a lavorare come dipendenti dai 12 anni e come lavoratori autonomi dai 10. In modo che un ragazzino manager o imprenditore in proprio possa esprimere le sue potenzialità all’età nella quale i nostri figli stanno per prendere la licenza elementare e le ostre preoccupazioni – per ora – riguardano gli zainetti troppo pesanti o l’apparecchio per raddrizzare i denti.
Evola, un altro che preferisce il maglioncino, anche se il suo sia chiama chompa e ha un significato simbolico superiore a quello del girocollo di Marchionne, el indio che si vanta di essere l’ultimo baluardo della lotta contro l’Asse del Male, il presidente tuttofare che ha diritto anche ad indossare una maglia della nazionale col numero 10, il portavoce delle “ragioni” della coltivazione di coca, altro omaggio alla secolare tradizione- come il chompa – di masticarne le foglie, che avrebbero sortito “effetti benefici all’interno della società boliviana, permettendo ai molti poveri del paese di produrre durante tutta la giornata lavorativa, che può durare anche quindici o diciotto ore”, il grande comunicatore che accompagna ogni misura del governo con spot martellanti che culminano della frase di chiusura:”Evo cumple”, Evo “fa”, mantiene le promesse, il sindacalista formatosi nella regione del Chapare, le cui foreste sono state incendiate o sradicate per sostituirle con le piantagioni di coca, finanziate dai programmi governativi, ha detto si al provvedimento “necessario”.
È una delle più perverse, infami, aberranti vittorie della necessità. Guardiamo ad essa come a un evento lontano, che sarà oggetto delle immancabili petizioni a fondo perduto, che mobiliterà qualche onlus, proietterà qualche sdegnata pubblicità progresso: in Europa non può succedere! che ci farà sussultare nel nostro sempre più instabile privilegio. Ma che dimenticheremo, come ormai succede sempre più di frequente, perché sembriamo aver intrapreso la strada della rimozione anche a fronte della messa in onda di “prossimamente sui nostri schermi” che anticipano l’horror già provato dalla Grecia, qui in Europa, che forse, silenziosamente per vergogna della miseria, si sta già sperimentando anche da noi.
Non ne siamo esenti, anzi, ci sono tutte le condizioni per un Terzo Mondo interno, per una Bolivia tra noi. Se Evola nel 2008 poteva proclamare di aver cancellato l’analfabetismo, noi, oltre ad alimentare quello di ritorno, preferendo l’ignoranza e la non consapevolezza delle scelte che vengono fatte a nostro nome, abbiamo permesso che l’istruzione pubblica fosse immiserita, che una categoria di educatori venisse umiliata riducendola a scontenta massa di burocrati frustrati, che venissero impoveriti la conoscenza e il sapere in favore di un’ideologia del profitto e delle sue gergalità, di una competitività fondata su ambizioni personali e istinto alla sopraffazione senza scrupoli. E el indio di Rignano fa finta di preoccuparsene promettendo il solito miliardo per il risanamento e la messa in sicurezza del patrimonio edilizio scolastico, come un signor Bonaventura che sventola il suo milione di carta straccia.
Se decine di milioni di lavoratori sono diventati esuberi molesti, eccedenze fastidiose, disoccupati di lungo corso, se milioni di immigrati, nuovi salariati premono per accaparrarsi mansioni manuali rimaste scoperte, se anche quelle diventeranno terreno di tremenda contesa nell’inasprimento inevitabile delle divisioni interne alla classe lavoratrice, se a questa gara famigerata partecipano anche i bambini di dieci anni, tutto questo è reso possibile appunto da governi assoggettati all’egemonia della finanza, quella dove il denaro va in cerca di altro denaro, dove il denaro è guadagnato solo tramite altro denaro, dove si sono proprio a questo fine lasciati morire settori tradizionali, trascurando quelli innovativi e tecnologici, nella totale inesistenza di politiche industriali, come rileva proprio oggi il Simplicissimus, e nell’annientamento del sistema dei servizi alle persone.
Servono a questo i leader senza opposizione, servono a questo i partiti unici, servono a questo le riforme elettorali intese a cancellare le elezioni, convertire in liturgie formali, servono a questo le pacificazioni, le riconciliazioni officiate intorno al nulla di riforme che dovrebbero essere denunciate prima di tutto per abuso del termine, servono a questo le smaniose offensive contro le regole per introdurre spericolate semplificazioni, per applicare sfrontate deroghe e sospensioni di leggi e sorveglianza. Che poi sono infine sospensioni dei diritti, delle certezze, della libertà perfino quella di giocare a 10 anni perché si è troppo stanchi, in totale eccezione di civiltà e umanità.