La Bestia e la Democrazia

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti

di Alfredo Morganti – 8 ottobre 2018

Fare politica con gli interessi dei cittadini, anzi del popolo. Direttamente, senza alcuna mediazione. Versare risorse pubbliche nelle tasche individuali della gente. Siamo oltre l’assistenzialismo dei decenni trascorsi – ben oltre l’interesse materiale di ceto o di classe. Qui siamo direttamente al bisogno vorace, alla cassa rapida, all’introiezione del valore economico. All’uguaglianza sì, ma di fronte al mercato. Da Palazzo Chigi ormai ci si industria a sfamare la ‘bestia’, che non si presenta più come comunità solidale di cittadini, come classe subalterna, come un ‘noi’ che lasci immaginare un senso largo della collettività. Si tratta solo di sfamare la bestia per un pugno di consensi in più. Uno scambio, insomma. La bestia oggi è una moltitudine di singoli che col tempo hanno imparato la lezione e adesso si sentono appieno ‘padroni a casa loro’, una folla di semplici individui (monadi, grumi di società incoesa) pronti persino a barattare diritti pur di incassare valori da spendere gaudenti sul mercato. Magari a chiudere un occhio sulla libertà di stampa, tanto i giornalisti sono un pezzo di odiata élite, e poi chi legge più i giornali: oggi ci informiamo in rete. E magari anche a rinunciare al diritto allo studio, tanto studiare non serve. O a quello alla sanità, tanto gli ospedali pubblici non funzionano e nelle cliniche private c’è l’aria condizionata.

Tempo fa Reagan si impegnò ad affamare lo Stato, tagliando le tasse, privatizzando, svuotando la pubblica amministrazione. Lo Stato era la bestia, in quella lettura. Oggi siamo oltre. Oggi la bestia è fuori dalle istituzioni, è tra la gente comune, tra chi punta ad avere un orto rigoglioso e ben cintato nel deserto sociale. Non mi riferisco ai soli i ricchi, ma anche ai poveri opportunamente educati ed egemonizzati da tre decenni almeno. Il liberismo ha reso bestiale il concetto di società, ha insegnato che l’interesse primario è quello dell’individuo che scambia beni sul mercato, e non il valore della ‘solidarietà’ e della cura con l’altro. Il popolo non è più quello che esercita la sovranità, limitato in ciò dalla Costituzione. È divenuto esso stesso Costituzione, non ha più limiti ed è finalmente padrone di tutto. E le istituzioni? Carta straccia, guide rosse su cui gli interessi sparsi e individuali sfilano superbi prima di andare all’incasso ed esigere il conquibus. Era ovvio, era naturale, che la sinistra sconfitta da questa lettura della società e dai ricchissimi poteri che l’hanno ingenerata, finisse in un angolo, nell’illusione iniziale di cavalcare un’onda avversa pronta a scalciarla via. Oggi la sinistra, buona parte, pensa anch’essa che per ‘vincere’ bisogna sfamare la bestia. Scimmiotta.

Mi chiedo: dopo questa nuova infornata di cibo definita ‘manovra del popolo’, la bestia si placherà? Oppure, dopo un’iniziale sazietà tornerà a ruggire? Io credo la seconda. Senza i limiti offerti della Costituzione, è dunque la stessa architettura istituzionale a essere in pericolo. I ministri dovranno rilanciare, finché l’indebitamento lo consentirà, ma poi saranno costretti a mollare la presa di Palazzo Chigi, e andare a elezioni, ma invocando ancora e sempre il popolo, come un disco rotto. E allora avremmo due strade di fronte. L’una prevede il ritorno della Costituzione, dei limiti che essa impone, delle sue istituzioni rappresentative, dei partiti che ogni giorno hanno a che fare con i cittadini reali, con il profilo sociologico del Paese, con le dimensioni sociali e non solo con quelle individuali di meri clienti del mercato. L’altra, invece, una brusca stretta dei limiti, una recinzione della bestia, ma stavolta in modo secco e autoritario, secondo moduli già visti nel secolo scorso in Italia, in Germania, in America Latina, nell’est europeo: la bestia in gabbia, il popolo in ginocchio, la democrazia calpestata.

Non è difficile capire che la politica democratica non ha scelta: deve riscoprire le regole del vivere assieme, la potenza della ricchezza sociale, il valore della solidarietà, la coesione come bene primario, l’ascolto delle sofferenze sociali come guida, la democrazia come humus entro cui, soltanto, sia possibile riscoprire equità ed eguaglianza. Non è trasferendo ricchezza pubblica in rivoli indirizzati ai clienti di un mercato tentacolare che si riscattano le esistenze, a partire proprio dalle ultime. Stendere un velo ‘popolare’ sui conflitti e le contraddizioni è solo un modo per sancire e confermare il potere dei più ricchi, facendoci “imbestialire” a loro esclusivo vantaggio. La democrazia non è quella cosa ‘liberale’ che non capisce il ‘popolo’. La democrazia è un’attenzione maniacale alla ricchezza sociale, al bene pubblico, all’idea che senza partiti e rappresentanza restano solo individui e mercato, mentre il potere resta chiuso nelle salde mani del Capo per esercitarsi in oscuri palazzi, lontano dagli occhi e dal cuore dei cittadini.

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