Kursk, smacco per l’immagine della Grande Madre Russia o operazione militare velleitaria di Zelens’kyj

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Mirko Musetti
Fonte: Limes

❝ Il 6 agosto 2024 le Forze armate dell’Ucraina hanno fatto irruzione nel territorio della Federazione Russa, penetrando fino a venti chilometri dal confine e occupando in breve tempo decine di insediamenti nell’oblast’ di Kursk. L’azione ha colto completamente alla sprovvista i vertici militari di Mosca, che non sono stati in grado di prevedere e osservare la concentrazione di truppe e mezzi militari nella confinante regione di Sumy. Dunque di organizzare una difesa e un eventuale contrattacco.

Lo smacco subìto è assai lacerante per l’immagine della Grande Madre Russia, che non combatteva sul proprio territorio dalla seconda guerra mondiale. Pur di non ammettere che un’altra fondamentale linea rossa è stata impunemente superata da Kiev e che il conflitto armato è ora in casa, il presidente russo Vladimir Putin ha etichettato il necessario invio di nuove truppe nella regione di Kursk come “operazione antiterrotismo”. Un modo forse per sottrarre il comando delle operazioni ai deludenti alti comandi militari di Chamovniki e assegarlo a uomini dell’Fsb (servizi segreti interni) a lui più vicini.

Entrando in territorio russo, gli uomini di Kiev hanno trovato soldati di leva impreparati al combattimento frontale e sguarniti del necessario equipaggiamento. Per i veterani ucraini è stato fin da subito semplice avanzare nel buio grazie a visori notturni, mentre per i coscritti russi è apparso logico arrendersi o fuggire. D’altronde, non ha senso ingaggiare il combattimento contro un nemico invisibile in grado di osservare ogni mossa. Un duro colpo per Putin, che aveva promesso alla nazione di non coinvolgere in alcun modo i giovani chiamati alla leva nella cosiddetta “operazione militare speciale”. Le centinaia di prigionieri russi andranno ora a costituire ciò che il presidente dell’Ucraina Volodymyr Zelenky chiama apertamente “exchange fund” (fondo di scambio), ammettendo indirettamente di intravvedere all’orizzonte la possibilità di un negoziato con la Russia. La retorica della “sconfitta strategica” dell’invasore e della riconquista di tutti i territori perduti – Crimea compresa – sta gradualmente cedendo il passo alla più pragmatica idea di giungere al cessate-il-fuoco mediante un compromesso territoriale e uno scambio di prigionieri.

Presso Sudža è situato un importante terminale del gasdotto Bratstvo (Fratellanza), attualmente unico punto di ingresso del gas russo in Ucraina prima di raggiungere Slovacchia, Ungheria, Repubblica Ceca e Austria. Ma la sua caduta in mano ucraina poco cambia agli occhi russi. Non solo l’azienda pietroburghese dell’energia Gazprom ha già annunciato l’intenzione di non rinnovare l’accordo per il transito del gas in Ucraina in scadenza a fine anno – tuttora Kiev riceve pagamenti per il pedaggio del gas russo – ma se l’obbiettivo fosse l’interruzione del transito di idrocarburi russi verso l’Europa occidentale, lo si otterrebbe più semplicemente sabotando il gasdotto su suolo ucraino piuttosto che operando una sofisticata incursione per mettere le mani sul rubinetto. In ogni caso, da Sudža transita solo il 3-5% delle importazioni di gas dell’Unione Europea. Una cifra davvero esigua. Inoltre, da tempo l’Ungheria si avvale principalmente del gasdotto russo-turco TurkStream per soddisfare il proprio fabbisogno di gas naturale e smistarlo nei paesi della Mitteleuropa.

L’irruzione su più direttrici nella regione di Kursk è ormai in fase di fisiologico esaurimento. Gli ucraini devono dotarsi di linee logistiche sicure per garantire i trasporti nel saliente di carburante e materiale bellico (munizioni in primis), mentre i russi sono impegnati a realizzare nuove linee difensive per contenere un’improbabile ulteriore spinta ucraina. Allo stato attuale, il nuovo fronte è assai lontano dall’importante città russa di Kursk, ma piuttosto vicino al capoluogo ucraino di Sumy. Un elemento di pensiero aggiuntivo per i vertici militari di Kiev.

Attualmente i soldati ucraini non sono in grado di raggiungere la città di Kurčatov sul fiume Sejm, dove ha sede un’importante centrale nucleare composta da ben quattro reattori. Se l’intenzione del capo delle Forze armate ucraine Oleksandr Syrs’kyj fosse stato di impossessarsi dell’impianto in modo fulmineo per favorire uno scambio simmetrico con la centrale atomica di Zaporižžja – ubicata a Enerhodar sul fiume Dnepr e saldamente in mano russa – l’obiettivo sarebbe stato mancato.

Su una cosa quasi tutti gli osservatori militari erano concordi: l’Ucraina doveva evitare a tutti i costi l’estensione della già lunghissima linea di contatto che si srotola dalla penisola di Kinburn sull’estuario del Dnepr fino al fiume Oskil nel Donbas settentrionale e che trova uno sbocco addizionale nella regione di Kharkiv. In pochi avrebbero immaginato che fosse proprio Kiev a provvedere in modo controintuitivo al suo allungamento, poiché un fronte ampio avvantaggia sempre il belligerante dotato di maggiori risorse (uomini e armamenti). Le incursioni ucraine nell’oblast’ di Belgorod volte a complicare la riorganizzazione delle truppe russe sul proprio territorio potrebbero comportare presto un nuovo ampliamento e un’ulteriore diluizione dei combattenti ucraini. Fatto sta che prima della costituzione di un nuovo saliente nel Kursk i vertici militari ucraini erano costretti a stazionare due battaglioni nella regione di Sumy per prevenire sconfinamenti russi. Ora si ritrovano a dispiegarne dai quattro ai sei. Soprattutto si tratta di militari esperti meglio spendibili a tamponare altri segmenti della linea di contatto, in particolare nel Donbas.

La Russia cerca di trasformare una sconfitta tattica in un vantaggio strategico. Invero senza far sfoggio di troppa fantasia. Consci della carenza di uomini combattenti di cui soffre Kiev, gli strateghi moscoviti hanno deciso di spingere con maggiore insistenza nell’oblast di Donec’k. Le truppe d’invasione russe stanno conquistando con sempre maggiore agiatezza i villaggi a ovest di Avdijivka, incontrando poca resistenza. In pochi giorni sono riuscite a catturare senza impiego di blindati il comune di Novohrodivka (14 mila abitanti, più del doppio di Sudža) ubicato a solo una dozzina di chilometri da Pokrovs’k. Segno questo che le Forze armete di Kiev sono davvero a corto di uomini e munizioni.

Le Forze armate ucraine hanno già cominciato l’evacuazione dei circa 60 mila abitanti della città-crocevia. Ci si attende dunque nelle prossime settimane un assalto russo volto a far crollare l’ultima linea difensiva dell’Ucraina realizzata qualche mese fa. A ovest del centro urbano non vi sono ulteriori sbarramenti (trincee, campi minati, casematte, denti di drago), ma solo una ampia strada (E50) che conduce a Pavlohrad nell’oblast’ di Dnipropetrovs’k, unico centro di rilievo (100 mila abitanti) tra il Donbas settentrionale e il fiume Dnepr. A causa della penuria di munizioni per l’artiglieria, non sarà semplice per l’esercito del paese aggredito rendere inservibile tale via. È comunque improbabile che l’esercito di Mosca punti a spingersi così lontano, ma è quasi certo che Pokrovs’k possa subire le infauste sorti di Avdijivka e Bakhmut.

Lo spostamento dei migliori battaglioni di Kiev nella regione di Sumy e in un ridotto saliente nell’oblast’ di Kursk compromette la resistenza ucraina nel Donbas, ovvero laddove si abbarbicano le sorti della nazione invasa dalla Federazione Russa. Ha però il potere di distogliere lo sguardo dai fallimenti bellici nel Sud-Est, di deviare l’attenzione dalle fratture interne (mobilitazione difficoltosa, messa al bando della più importante Chiesa ortodossa) e di rilanciare l’attivismo diplomatico di Kiev nonché la richiesta di ulteriori forniture militari (sostegno occidentale rinnovato). ❞

 

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