Fonte: Minima cardiniana
di Franco Cardini – 23 settembre 2018
Kofi Annan se n’è andato sabato 18 agosto 2018.
Confessiamolo: non ci aspettavamo di amarlo, non ce n’eravamo accorti. Sarà perché in fondo, purtroppo, la fiducia che nutriamo nei confronti dell’ONU è molto limitata, e negli ultimi decenni in particolare – con il coreano Ban Ki-Mon e il portoghese Gutierrez, che si sono dovuti misurare con crisi internazionali nelle quali il loro prestigio non ha avuto per nulla modo di brillare (pensiamo alla Libia e alla Siria, ma anche alla Corea e all’America latina) – il suo peso sembra essersi dissolto.
Kofi Annan, nato nel Ghana nel 1938, aveva ottant’anni: che oggi non sono più un’età particolarmente avanzata. Non ci aspettavamo che se ne andasse, e tanto meno lui che lavorava alacremente alla direzione della Fondazione da lui fondata e che portava il suo nome. Eletto segretario generale dell’ONU nel dicembre del 1997 al posto dell’egiziano Boutros Ghali, che avrebbe aspirato legittimamente a un secondo mandato (tale la prassi ordinaria) ma aveva dovuto incassare il “veto” statunitense, tutti si aspettavano che quel sessantenne africano avrebbe mosso passi quanto mai cauti per non incorrere nei guai del predecessore.
Nemmeno per sogno. Critico severissimo della maggior parte dei governi del suo continente e della loro arrendevolezza di fronte alle lobbies multinazionali, incrollabilmente convinto che l’Africa sarà il “continente del Terzo Millennio”, ammiratore di Gandhi e di Mandela, ad appena un anno dalla sua elezione si era portato a casa un risultato straordinario: la firma del “Protocollo di Kyoto”, l’11 dicembre del 1997, che definiva la riduzione su scala mondiale della produzione dei gas responsabili dell’”effetto serra” e del riscaldamento globale del pianeta. Di conseguenza, nel gennaio del 2000, si approvò il “Protocollo di Cartagena” sulla biosicurezza, per garantire un impegno sicuro delle biotecnologie moderne.
Ma non basta ancora. Grazie al suo impegno, e contro il parere statunitense, nel luglio del 1998 l’“Autorità Nazionale Palestinese” ottenne l’ammissione all’ONU, sia pure a semplice titolo di osservatore speciale. Nello stesso mese venne approvato a Roma lo statuto del Tribunale Speciale Internazionale con giurisdizione sui crimini di guerra, i genocidi e i crimini contro l’umanità: quello che era accaduto nell’Iraq della prima guerra del Golfo e nei Balcani non poteva esser lasciato impunito. Intanto lavorava alla pacificazione: grazie alla sua accorta opera di mediatore, nel febbraio del 1998 era partita la mediazione oil for food che permetteva all’Iraq di Saddam Hussein, nonostante l’embargo, di vendere una certa quantità di petrolio necessaria al sostentamento di base del paese; e grazie a ciò, il rais irakeno accettava in cambio il programma d’ispezioni ONU ai siti nei quali si sospettava un’attività di preparazione delle armi di distruzione di massa che l’Iraq era sospetto di star costruendo. Vero è che gli effetti della distensione durarono poco.
Ma fu proprio nella “sua” Africa che Annan volle sperimentare l’efficacia dei provvedimenti dell’organizzazione che egli presiedeva e della quale si criticava la fragilità che la rendeva inadeguata alle sue buone intenzioni. Nel 1999, l’intervento delle forze ONU in Congo e in Sierra Leone, con migliaia di “caschi blu”, valse ad arginare in quel settore le violenze ormai divenute intollerabili: e, per il secondo di questi paesi, il “Consiglio di Sicurezza” (supremo organismo di controllo dell’ONU) dovette avallare l’istituzione di un tribunale speciale incaricato di accertare i recenti crimini di guerra commessi.
Il fatto è che il segretario generale dell’ONU stava dimostrando di non essere solo un attento e tempestivo regista d’interventi tattici: aveva una strategia di effettivo governo del pianeta. Lo dimostrò in un’occasione che tutti avevano ragione di ritenere celebrativa e formale, tra il 6 e l’8 settembre del 2000, in occasione del “Vertice ONU del Millennio”. Fu quella l’occasione durante la quale egli presentò e varò un documento che molti giudicarono velleitario ma il contenuto del quale era sconvolgente: la “Dichiarazione del Millennio”, che stabiliva formalmente quelli che egli stesso denominò i Millennium Development Goals (MDG): gli “obiettivi dello sviluppo del Millennio”, primo dei quali era l’eliminazione della povertà estrema (vale a dire della vita al di sotto dei limiti socioeconomici di sopravvivenza) entro il 2015. Ciò gli valse la lode e l’appoggio esplicito ed entusiasta di papa Giovanni Paolo II; e quindi, a ruota, il Premio Nobel per la Pace, attribuitogli il 10 dicembre del 2001, che lo premiava anche per l’assidua, coraggiosa opera d’incitamento all’equilibrio dopo la crisi apertasi con gli attentati dell’11 settembre precedente negli Stati Uniti e la sua conferma per un secondo mendato quale segretario generale dell’ONU nell’anno successivo.
Non che questa serrata attività non gli avesse procurato degli avversari. Se la sua convivenza al vertice del potere mondiale con il presidente Clinton era stata delicata, quella con Bush jr. fu drammatica: fra il 12 e il 13 novembre 2000, la conferenza dell’Aja sul clima era fallita per i contrasti tra USA da una parte ed Europa ed alcuni paesi “in via di sviluppo” dall’altra. Era un formidabile siluro contro il “Protocollo di Kyoto” di tre anni prima e anche contro i MDG, ch’erano il “fiore all’occhiello” del segretario generale. Ma l’ONU, nella quale era entrata intanto finalmente la Svizzera, proseguì la sua opera.
Vero è che il secondo mandato di Annan fu meno energico del precedente. Ormai, specie dopo la guerra in Iraq del 2003, la situazione internazionale appariva molto compromessa se non prossima al precipitare. Dopo Annan, che lasciò il suo posto nel 2007, l’attività dell’ONU fu sempre più intralciata dall’uso del “diritto di veto” del quale dispongono i cinque paesi membri permanenti del Consiglio di Sicurezza: e oggi la diplomazia delle grandi potenze e dei loro alleati si svolge sempre più come se l’ONU nemmeno esistesse. Le crisi libica e siriana, non meno che i problemi della migrazione asiatica e africana, lo stanno dimostrando senz’ombra di dubbio.
La generosa, forse utopistica eppure irrinunziabile idea di una governance mondiale si va purtroppo allontanando: e risorgono, difatti, i fantasmi delle “guerre fredde”, che configurano, forse – in realtà –, un terzo conflitto mondiale già in corso, come molti osservatori internazionali sostengono. Anche per questo, l’opera di energica mediazione e la figura carismatica di un personaggio come Kofi Annan, ora che se n’è inaspettatamente e precocemente andato, ci manca tanto.