di Alfredo Morganti – 17 marzo 2016
Aspettando un tweet
Come volevasi dimostrare. Calano gli sgravi fiscali, da 8.060 a 3.250 euro, e calano percentualmente, di conseguenza, i (presunti) contratti a tempo indeterminato. I dati sono palmari, parlano da sé (e parliamo sempre di contratti, non di occupazione reale). A gennaio 2016 i nuovi rapporti di lavoro a tempo indeterminato sono stati 106.697; le cessazioni 119.075. Il saldo è dunque negativo: -12.378. Anche a volerci infilare le cosiddette ‘trasformazioni’ (apprendisti compresi) il saldo diventa positivo a + 37.719. Poca roba, se confrontata al saldo di gennaio 2015, ossia + 90.051! Un calo di quasi due terzi. Gli stessi nuovi rapporti di lavoro, se confrontati allo stesso mese del 2015, calano del 23%. Diminuiscono peraltro anche le trasformazioni, nonché la percentuale dei contratti a tempo indeterminato su quelli in generale, che a gennaio si è dimezzata rispetto a dicembre 2015.
È un quadro deprimente. Tutta l’operazione congiunta sgravi+jobs act è stata (ed è) solo uno sfavillìo, solo la possibilità di fare legna nei bilanci aziendali grazie a decine di miliardi di euro pubblici, e di alzare qualche numeretto buono alla propaganda dell’esecutivo: tanto il jobs act lascia sempre aperta la strada al licenziamento (previo scarno indennizzo) e quando entrerà davvero in azione saranno dolori per tutti. Stiamo, dunque, abbassando le tutele sociali sul lavoro. Stiamo spendendo un tesoro di decine di miliardi di euro per un controvalore, sì e no, di 186.000 nuovi contratti a tempo indeterminato in tutto il 2015 (a onta della propaganda del governo). I benefici sono andati soprattutto ai più anziani ed è comunque sempre pronta la mannaia del mitico jobs act. Questo è il quadro, il quadro reale, quello vero, sotto la crosta fastidiosa dei tweet di Palazzo Chigi e dei suoi replicanti, che stavolta hai voglia ad aspettarli. E poi dice che i gufi siamo noi.