Fonte: facebook
di Alfredo Morganti – 18 settembre 2014
“I titoli del jobs act sono condivisibili. Lo svolgimento meno: ne discuteremo in direzione, ma servono correzioni importanti al testo”. Così twittò Orfini. Che pare abbia apprezzato solo il titolo del tema (diciamo la narrazione) mentre non abbia condiviso del tutto lo svolgimento (ossia i provvedimenti, o meglio le loro anticipazioni). Di colpo, come fulmine a ciel sereno, si manifesta qui tutta la forza e la debolezza del PDR: una narrazione avvolgente che intriga molti, soprattutto quelli che si fermano alle enunciazioni generali e agli hashtag; un’attività legislativo-amministrativa carente in taluni casi, inesistente in altri, francamente di destra in altri ancora. Una forbice estenuante che da risorsa comunicativa potrebbe (può) trasformarsi in una gravissima pecca politica. Orfini rappresenta in modo impeccabile la scissione che taglia in due i dem renziani: si vive sui media di annunci e belle parole, si soffre in parlamento e a cospetto dell’amministrazione, ossia della pratica effettiva, l’unica che conta per i cittadini che non vivono di soli spot.
I tioli del jobs act sono, per quanto molto discutibili: basta coi lavoratori di serie A e di serie B, garanzie per tutti, abbattiamo i numeri della disoccupazione giovanile, no apartheid, i vecchi non tolgano risorse ai giovani. Poi però c’è lo svolgimento del tema. Il cui succo è: libertà di licenziamento anche se l’azienda non è in crisi; nessun reintegro e solo indennizzi legati alla carriera lavorativa; obbligo di accettare qualunque lavoro proposto ovunque sia; demansionamento ossia carriere professionali non solo corte, ma pure alla rovescio; il lavoro ridotto a meri numeri, buoni in futuro per l’Istat e per le comparsate del premier; le risorse per rilanciare l’occupazione prelevate di peso dal fondo salariale, senza intaccare i profitti; politiche attive del lavoro che, o si finanziano con lo spirito santo, o con i fondi per la cassa integrazione, oppure provocheranno nuova tassazione. Insomma, quello che doveva essere il mondo nuovo dei giovani, potrebbe tramutarsi in un incubo, con la frantumazione delle carriere, una mobilità del lavoro al limite della bora di Trieste, tanti lavoretti al posto del lavoro stesso, dequalificazione, mobilità all’estremo, precari che assumono la forma di lavoratori licenziabili 24 hours, ristrutturazioni aziendali poggiate in via ordinaria sulla estrema flessibilità del lavoro (pensate ai contratti di solidarietà non più sottoscritti per le aziende in crisi, ma previsti anche nelle fasi espansive: ‘assumiamo ma a saldo a zero, perché pagano i lavoratori coi loro stipendi’).
Chiedo a Orfini: da quand’è che la politica si fa coi titoli dei temi? Da quand’è che allo svolgimento si bada solo dopo? Da quand’è che un uomo di sinistra riesce a scindere le due fasi, e gioca la sua manovra politica sulla sola narrazione, quasi dimentico che a quella dovrà pur seguire un provvedimento legislativo? Da quando un segretario politico viene solo giudicato per i suoi discorsi, e quasi gli si abbuona il resto? Ma davvero Orfini conosce solo da ora i provvedimenti? Davvero si era fermato ai titoli? Ma si può essere più fuori dal mondo (o apparire tali, almeno)? Ecco, se penso che stiamo parlando del Presidente dell’Assemblea Nazionale del PD mi viene lo sconforto. D’altronde se la politica si fa sui quadernetti (cornicette, disegnini, pensierini), quando poi compare il librone non c’è scampo: prima si resta meravigliati, poi si tenta una scusa, infine a qualcuno toccherà pure di leggere le carte (lo svolgimento) e non solo sparare hashtag o ritenere furbamente che, alla fine, Renzi o non Renzi, noi ci prenderemo il partito. Ma intanto, amici e compagni, fate ammuina, occupate spazi vitali nel PD e nel governo, sgomitate, perché lui è paraculo ma noi turchi lo siamo molto, ma molto, più di lui e di tutti gli altri messi assieme. D’Alema compreso. E andiamo!