Fonte: facebook
di Alfredo Morganti – 17 marzo 2015
Ichino, Scelta Civica e NCD vogliono il Jobs act anche per gli statali. Immagino che lo spirito sia quello di poter licenziare i presunti ‘fannulloni’ che, nei tre anni di contratto a tutele crescenti, dimostrino tutta la loro inadeguatezza. Domanda: ma il Jobs act nel privato non era concepito quale strumento essenziale per assumere? E invece qui serve per licenziare? È un governo schizofrenico, questo? Una compagine che, con lo STESSO strumento, incentiva l’occupazione privata e consente il licenziamento pubblico? E se l’apparente contraddizione si sanasse nell’unico modo possibile, ossia considerando sempre e comunque il jobs act come uno strumento per poter licenziare dopo tre anni di sgravi fiscali molto onerosi per il bilancio pubblico e senza garanzia di lungo termine per i lavoratori? Senza contare che se il jobs act fosse stato davvero uno strumento per incentivare gli imprenditori ad assumere, perché mai lo Stato dovrebbe ‘imporlo’ a se stesso (perché questo vorrebbe dire applicarlo anche agli statali)? E quali vantaggi ne trarrebbe se non la sola libertà di licenziamento, visto che concedere a se stesso degli sgravi fiscali è una sciocchezza sesquipedale?
PS: Io e Giorgio abbiamo fatto due miseri conticini riguardo i 76.000 nuovi assunti (o meglio: le 76.000 prenotazioni di sgravi fiscali in vista di future assunzioni). Se è vera la tabella che riportava 8.000 euro di sgravio annuo per ogni contratto da 24.000 euro (all’incirca uno stipendio medio), fatta la dovuta moltiplicazione, a questo punto il bilancio dello Stato piangerebbe per circa 1.800.000.000 euro di mancate entrate fiscali in tre anni, che dovranno essere coperte in qualche modo. Una signora cifra, che in buona parte, con una certa probabilità, non copre effettive assunzioni ma la conversione di vecchio precariato in contratti a tutele crescenti, molto ma molto più vantaggiosi per gli imprenditori. Il lavoro più che crescere, cambierà a spese di tutti. Si chiama jobs act.