Jobs act: astenuti e inattivi. Ecco l’Italia dello zero virgola

per Gabriella
Autore originale del testo: Alfredo Morganti

di Alfredo Morganti – 8 gennaio 2016

Che cosa sta accadendo (cosa è già accaduto) nel mercato del lavoro in Italia? Questo: si sono distribuiti a pioggia degli incentivi che hanno ‘dopato’ la crescita (scarsa) delle assunzioni, ma senza che ne sussistessero le basi materiali effettive. La crisi è restata crisi, la crescita è rimasta zero virgola, ma si è preteso (e lo si è fatto gettando nel calderone alla rinfusa miliardi e miliardi di denaro pubblico) che l’occupazione crescesse. Ed è stato come tentare di vincere il Giro d’Italia allenandosi blandamente, senza impegno, ricorrendo invece ad ‘aiutini’ specifici (incentivi) che hanno messo birra aggiuntiva nei muscoli (poca peraltro). Perché il doping? Perché dava risultati immediati (ancorché scarsi), subito spendibili sul mercato politico e della comunicazione mediale, mentre gli investimenti pubblici e privati, una politica di ricerca e innovazione, un generale svecchiamento del management, avrebbero dato risultati di lungo termine, seppure più solidi e di migliore fortuna per il Paese. Ma si sa, l’attuale indirizzo politico prevede ‘tutto e subito’, come nel ’68. La politica smart vive di salti e impennate ma è incapace di correre, macinare chilometri, produrre degli obiettivi di lunga lena. È una politica dello zero virgola e tanto ottiene.

Dicevamo denaro pubblico. Guglielmo Loy della UIL ha fatto i conti. Questa crescita zero virgola dell’occupazione, soprattutto in termini di precarietà, ci è costata 25.000 euro annui per ogni nuovo occupato a tutele ridotte, non crescenti. Se ci pensate, questa cifra in taluni casi è equiparabile a un intero stipendio lordo. È come considerare i dipendenti assunti dalle aziende ‘private’ dei dipendenti ‘pubblici’ a tutti gli effetti, almeno sul piano della retribuzione, mentre su quello della produzione del reddito restano chiaramente privati. Renzi, paradossalmente, ha ampliato l’apparato pubblico invece di assottigliarlo come vorrebbero certi suoi sostenitori di destra. Ed è un bel dire. Senza contare che i dati sono veramente interessanti a interpretarli attentamente (mi rifaccio alla lettura che ne fa oggi ‘il manifesto’). Il dato degli inattivi, per dire, è molto inquietante. Tra gli under 24 (dice l’Istat) c’è stato un aumento di occupati (30.000) ma anche un aumento di inattivi (37.000!). Tra i 25-49enni in un anno l’occupazione è crollata di 98.000 unità. Nella fascia 25-34 ci sono stati 139.000 disoccupati in meno, ma 140.000 inattivi in più. Saldo negativo. L’unica fascia in cui cresce davvero l’occupazione è quella degli ultra50enni: pensate, in 10 anni l’occupazione è calata tra gli under 35 ma è cresciuta tra i più anziani della stessa quantità: 2,5 milioni di addetti! Il dato, insomma, oltre che dal doping dagli incentivi a pioggia, è contrassegnato dall’inerzia generazionale: se non si assume davvero, il lavoratore pian piano cresce d’età e passa di fascia, infoltendo l’ultima di esse, anche perché la soglia pensionabile si alza.

Lo schema è lo stesso, dunque. Sul mercato del lavoro crescono gli inattivi, gli sfiduciati, gli scorati. Il mercato politico, invece, è inflazionato dagli astensionisti. Il fenomeno è sempre quello dell’abbandono. La crisi (economica, politica) morde e chi ne è colpito si fa da parte, senza lottare più. La narrazione del governo questo non lo dice. A livello politico si pone rimedio alla sfiducia degli elettori con il premio di maggioranza, ossia acuendo il distacco (e dunque la sfiducia) tra elettori e forze politiche, il cui risultato è ‘drogato’ dal premio. A livello economico invece degli investimenti si ‘spinge’ il dato occupazionale con l’aiutino degli incentivi, nell’intento di ottenere risultati subito, oggi, ieri. La forza politica che prende il 30% con un forte tasso di astensione, non rappresenta di fatto nulla o quasi. Così come il dato occupazionale che parla di occupati zero virgola e tace degli inattivi è sostanzialmente bugiardo. Perché l’inattività cresce con la crisi, e la crisi cresce perché non ci sono investimenti, innovazione, formazione che la contrastino davvero, e non c’è crescita salariale. In quest’ultimo caso è normale che il profitto si costruisca a prezzo proprio del salario e degli incentivi pubblici, e gli imprenditori non tentino mai di innovare ed essere davvero competitivi. Questa è l’Italia di Renzi e Marchionne. Non altro.

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