Jeffrey Mankoff, Il punto di vista americano: Gli obiettivi degli Stati Uniti nella guerra Ucraina

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Federico Petroni
Fonte: Limes

Jeffrey Mankoff, Il punto di vista americano: Gli obiettivi degli Stati Uniti nella guerra Ucraina

a cura di Federico Petroni

LIMESGli Stati Uniti sono in vantaggio nella competizione strategica con Cina e Russia?

MANKOFFPer il momento, gli Stati Uniti sono in buona posizione. La guerra in Ucraina è un fiasco strategico per la Russia. Mosca ha perso 180 mila soldati, migliaia di carri armati e di altri sistemi sofisticati, la sua economia è colpita da sanzioni che alla lunga incideranno sulla capacità di rigenerare le risorse belliche: uscirà dal conflitto drammaticamente indebolita. Manterrà l’arma nucleare e mezzi per minacciare i vicini, ma quella minaccia sarà assai ridotta rispetto al preguerra. 

Anche la Cina si è indebolita nel corso degli ultimi anni. Il consolidamento del potere di Xi Jinping è avvenuto a spese del sistema di autoritarismo collettivo costruito dai suoi predecessori; così è più facile commettere errori, come la politica «zero Covid», che ha depresso la crescita e alimentato frustrazioni sociali. Ancora prima, la Repubblica Popolare stava già entrando nella trappola delle potenze a medio reddito, il difficile passaggio dallo sviluppo alla diffusione delle opportunità e delle capacità tecnologiche. Di fatto, per Pechino è finita l’èra degli obiettivi facili. Sono anche diminuiti gli investimenti infrastrutturali usati per incoraggiare o costringere altri paesi a seguire la volontà cinese. Il timore che Pechino usi risorse finanziarie per modificare importanti pilastri del sistema internazionale è oggi meno pressante. Tutto questo ha peggiorato l’equilibrio complessivo per la Repubblica Popolare.


LIMES La Cina in difficoltà potrebbe essere più pericolosa?

MANKOFFEsatto. Il divario tra Cina e Stati Uniti in questi anni era calato, ma credo si stia tornando ad allargare. Per questo la dirigenza cinese potrebbe essere spinta a fare qualcosa per compensare la perdita di iniziativa. Continua a investire pesantemente nelle Forze armate, in particolare nella Marina, con il proposito di riprendere Taiwan. A Washington c’è preoccupazione per questa prospettiva. Se si guarda all’equilibrio militare non è più chiaro se gli Stati Uniti, Taiwan e gli alleati siano in grado di sconfiggere un’offensiva cinese. 


LIMESQual è l’obiettivo degli Stati Uniti in questa competizione, se esiste?

MANKOFFSul fronte indo-pacifico, dissuadere i cinesi dall’attaccare Taiwan nel breve periodo e nel medio-lungo ridurre gli investimenti militari necessari a Forze armate in grado di costruire una sfera d’influenza. Sul fronte europeo, far fallire l’invasione russa e indebolire Mosca come avversario strategico, rendendola meno capace di porre minacce ai vicini. Se dovessi trovare il minimo comun denominatore, gli Stati Uniti vogliono impedire a russi e cinesi di avere i mezzi per costruirsi sfere d’influenza. Vogliono il fallimento delle aspirazioni neoimperiali della Russia di Putin e della Repubblica Popolare Cinese.


LIMES Avete i mezzi per conseguire questi obiettivi?

MANKOFFChiaramente li abbiamo nei confronti della Russia, che uscirà dalla guerra con minore influenza sui vicini, con la non irrilevante eccezione della Bielorussia. Il concetto di Mondo Russo (Russkij Mir) ne uscirà compromesso. Con la Cina è più difficile da dire. C’è un forte consenso interno negli Stati Uniti sulla necessità di impedire un attacco a Taiwan e nel caso di respingerlo. Ma se si arrivasse alla resa dei conti, non so se saremmo in grado di prevalere militarmente. Per esempio, per i cinesi è molto più facile ottenere il controllo delle acque che li separano dall’isola che per gli americani negarglielo. Per questo il nostro obiettivo primario è la dissuasione, spiegando che i costi di un’offensiva sarebbero troppo alti. Se i cinesi attaccassero, avremmo dunque fallito in partenza. Non vuol dire che avremmo automaticamente perso la guerra, ma che sarebbe molto più difficile combatterla rispetto a quella in Ucraina.


Carta di Laura Canali - 2023

Carta di Laura Canali – 2023


LIMES Nel suo ragionamento sullo stato di salute della Cina pesa molto il fattore della legittimazione popolare del governo. Anche gli Stati Uniti hanno i loro problemi di consenso.

MANKOFFSì, uno dei rischi più grandi che corrono gli Stati Uniti è sul fronte interno e riguarda la fragilità dell’ordine politico americano. Le forze che hanno scatenato l’insurrezione culminata nell’assalto al Congresso del 2021 si sono affievolite, non esaurite. Biden è l’ultimo presidente della generazione della guerra fredda. Ha un’idea degli Stati Uniti, del loro ruolo nel mondo, del rapporto con l’Europa, del posto del governo federale nel sistema interno che non è più ampiamente condivisa tra la popolazione come un tempo. Quando al potere salirà un altro presidente, di qualunque partito, questa idea sarà molto più contestata. 

La domanda più ampia riguarda la legittimazione delle istituzioni americane e del ruolo nel mondo che l’America ha giocato durante e dopo la guerra fredda. Le ali estreme di entrambi i partiti, sempre più affollate, hanno figure influenti che dicono che gli Stati Uniti dovrebbero fare di meno nel pianeta e preoccuparsi di più dei propri problemi domestici. E la discordia sulla struttura interna della politica americana rischia di generare tensioni che possono velocemente scatenare il caos. In caso di autentica instabilità, la nostra capacità di fare da garanti del sistema internazionale sarebbe intaccata.


LIMESSe gli americani contestano l’idea di un’egemonia statunitense sembrano comunque determinati a difendere il loro primato dai rivali.

MANKOFFSì ma primato per fare cosa? E con quale obiettivo? Questo è il dibattito. Non gradisco l’espressione «ordine liberale internazionale» perché non è necessariamente liberale né globale. Ma l’idea è che gli Stati Uniti dal 1945 hanno iniziato a costruire istituzioni e norme pensate per rafforzare il primato americano e per strutturare le relazioni tra le nazioni di modo che riflettessero i nostri interessi e i nostri valori. Nell’ultima generazione, quindi non solo sotto Trump, ci siamo concentrati sul mantenimento del primato, assicurandoci di disporre della forza militare più efficace e che la Cina non si costruisse una sfera economica per sfidarci. Tuttavia, la fede in quel sistema di norme e istituzioni è andata calando.

Con Biden si è assistito a un ritorno di quella tradizione, di cui il presidente è un prodotto. Ma è un ritorno al futuro, cioè a un mondo che nel frattempo è cambiato molto. E con esso è cambiata l’America. Biden è un atlantista di ferro, capisce che avere dalla propria parte un’Europa prospera è il più importante moltiplicatore di potenza che si possa sperare. Non so se le giovani generazioni, a prescindere dall’orientamento politico, condividano questa profonda convinzione. Spero che la guerra d’Ucraina possa cambiare qualcosa, mostrando che la Russia è una minaccia concreta per gli interessi nostri e degli europei e che dunque è importante avere un’Europa in grado di provvedere alla propria sicurezza. I segnali sono incoraggianti: esiste un supporto piuttosto trasversale in America per continuare a fornire all’Ucraina armi e denaro per respingere l’aggressione. Per la prima volta molte persone vedono che l’Europa e la Nato sono rilevanti per la sicurezza nazionale americana.


LIMES Al tempo stesso, molti in Europa dubitano della credibilità degli Stati Uniti. La vicenda dei carri armati è un buon esempio: i tedeschi hanno preteso che anche gli americani ne inviassero perché non ritengono sufficienti le garanzie di protezione di Washington?

MANKOFFSì. È innegabile che fino al 24 febbraio ci fossero dubbi sull’impegno americano verso la Nato. Ricordiamo le parole di Angela Merkel: gli europei devono abituarsi ad assumersi responsabilità perché l’America non sarà sempre lì per noi. La causa di questa posizione ha molto a che vedere con Trump e il suo atteggiamento verso l’Europa. Ma Trump è il sintomo di un distacco più profondo, che si può ripresentare in futuro con un’amministrazione non così legata alla Nato come quella attuale. Di morte cerebrale dell’Alleanza Atlantica non si parla più. Però gli anni scorsi hanno lasciato ferite che si saneranno solo col tempo e non è scontato che non vengano riaperte.


Carta di Laura Canali - 2022

Carta di Laura Canali – 2022


LIMES A proposito di carri armati: una decisione simbolica, ma segna un cambio di passo. La guerra russo-ucraina è sempre più una guerra russo-occidentale?

MANKOFFÈ sempre stata e continua a essere una guerra di prossimità tra la Russia e l’Occidente, come lo era quella in Afghanistan negli anni Ottanta. Mosca non minaccia soltanto Kiev, ma pure la sicurezza generale in Europa, dunque gli interessi fondamentali degli Stati Uniti. Il tipo di armamenti fornito altera i rapporti di forza sul terreno, non la natura di questo conflitto. Anzi, secondo me il ritmo con cui abbiamo inviato armi in Ucraina è stato più lento di quello che ci saremmo potuti permettere. L’approccio dell’aumento calibrato è fondamentalmente reattivo e non permette agli ucraini di riprendere l’iniziativa. Penso però che stia iniziando a cambiare, anche se il cambiamento non è ancora maturato. L’importanza della decisione sui carri sta nel fatto che ora appoggiamo apertamente il tentativo di Kiev di condurre prossimamente una controffensiva su larga scala.


LIMES Perché gli Stati Uniti hanno necessità di accelerare?

MANKOFFIn parte perché il governo ha superato l’iniziale paura di innescare un’escalation. In parte è un’ammissione che più la guerra va avanti e maggiori sono i costi non solo per l’Ucraina, ma pure per gli europei. In parte influisce anche la Cina e la consapevolezza di non potersi permettere il protrarsi della guerra vista la necessità di tenersi pronti nell’Indo-Pacifico. 


LIMES Qual è il dibattito interno all’amministrazione?

MANKOFFIl dibattito ruota attorno ai nostri obiettivi finali, alle risorse disponibili e ai rischi. Quanto agli obiettivi, ora la domanda è: aiutare gli ucraini a riprendere i territori persi dopo il 24 febbraio o quelli persi nel 2014? Oppure imporre soltanto costi altissimi ai russi senza legarsi a un preciso obiettivo geografico? Biden dice che la decisione spetta agli ucraini. E questa è la linea pubblica. È tutto da vedere se aiuteremo Kiev a riprendere la Crimea.

Diversi fattori informano questa reticenza. Anzitutto, una differenza di status importante tra la penisola e gli altri territori occupati: la Russia ha formalmente annesso la Crimea, quindi potrebbe percepire diversamente da altre operazioni un tentativo di riconquistarla; se così fosse, sulla base della sua dottrina nucleare, potrebbe ricorrere all’atomica. Poi, l’aspetto logistico: una cosa è fare grandi manovre militari nelle piane orientali, un’altra è entrare in una penisola montagnosa e connessa al continente da un istmo strettissimo. Infine, la questione demografica, ossia la maggioranza russa: è difficile capire che cosa preferisca visto che vive in regime di occupazione da nove anni, ma è possibile che in un libero referendum la maggioranza preferisca la Russia all’Ucraina. 

Per questo finora gli Stati Uniti non hanno permesso a Kiev di usare i loro armamenti per bersagliare la Crimea. Gli ucraini hanno già colpito la penisola un paio di volte e il ponte di Kerč’ con l’evidente obiettivo di dimostrare agli americani di avere le capacità per farlo e che i russi non reagiscono con rappresaglie massicce. Al punto che oggi il governo di Washington inizia a dibattere se autorizzare Kiev a colpire la Crimea, ma siamo soltanto all’inizio. E non vuol dire che sosterremo una riconquista militare della penisola.

L’altra componente del dibattito riguarda i rischi. Biden ha detto più volte che uno dei suoi obiettivi principali è impedire al conflitto di espandersi in territorio Nato, per tenere uniti gli alleati. Per esempio, la Spagna potrebbe non essere interessata a difendere la Polonia. Non è una strada che vogliamo testare. Anche per questo, all’inizio la percezione dell’amministrazione era che la Russia avrebbe potuto vedere qualunque fornitura d’arma agli ucraini come una provocazione. Oggi abbiamo visto che tutte queste linee rosse di Mosca non erano poi così rosse. Ma eccoci davanti a un altro rischio: abituarci troppo all’idea contraria, che nessuna nostra mossa sia intollerabile e che a un certo punto il Cremlino si senta obbligato ad alzare la posta. Il missile della contraerea ucraina caduto in territorio polacco è stato un episodio pericoloso, che il governo di Varsavia ha gestito bene, senza fretta, chiarendo l’accaduto. E la Russia per ora ha rispettato l’articolo V del Patto Atlantico, intuendo che siamo determinati a difenderlo. Ma ciò non vuol dire che non ci saranno altri momenti perigliosi.


LIMES Gli ucraini dicono che dopo i carri riceveranno qualunque tipo di arma. Concorda?

MANKOFFNon penso sia saggio dare loro tutto ciò che vogliono. Gli interessi ucraini non sono necessariamente gli stessi di quelli americani. Kiev deve capire di non essere l’unica preoccupazione degli Stati Uniti. La competizione con la Cina non sparirà perché l’Ucraina resiste. Washington deve calibrare ciò che può dare agli ucraini con una robusta posizione dissuasiva nell’Indo-Pacifico. E poi c’è la linea rossa fondamentale di non portare la guerra in Russia. Se la linea del fronte si sposta e si avvicina al confine della Federazione, anche l’artiglieria a raggio più corto che abbiamo già fornito potrebbe colpire il territorio russo. La questione quindi non è tecnica ma geopolitica: dobbiamo convincere gli ucraini a non bersagliare la Russia.


LIMES Se tra qualche tempo si arriva a uno stallo, agli Stati Uniti può andare bene che la Russia rinunci a sottomettere l’Ucraina e l’Ucraina rinunci, non formalmente ma nella sostanza, alla Crimea?

MANKOFFFinché c’è Biden presidente credo che la linea pubblica resterà: «Niente sull’Ucraina senza gli ucraini». Ma dietro le quinte continueranno le pressioni, già cominciate, affinché Kiev si dimostri più disponibile a negoziare, specie se si arriva a uno stallo dai costi insostenibili. Il problema è che una cessione di territori fissa un terribile precedente, non solo con la Russia ma pure con la Cina. E poi c’è la questione delle garanzie: come impedire che la guerra ricominci? Non mi piace questo approccio, ma se l’Europa, a differenza di quest’anno, non riuscisse a schivare la pallottola energetica nell’inverno 2024, potrebbero scatenarsi pressioni popolari tali da portare a cambiare politica in Ucraina.


Carta di Laura Canali - 2023

Carta di Laura Canali – 2023


LIMESA proposito di guerra economica. Le sanzioni mordono ma non stanno cambiando i calcoli di Putin. Sono un fallimento?

MANKOFFDa tempo critico l’approccio statunitense alle sanzioni: non riusciamo a spiegare a cosa servono, a parte a dire che stiamo facendo qualcosa, che siamo tutti dalla stessa parte e a far sostenere ad altri il grosso dei costi. Ma gli obiettivi strategici sono molto più vaghi. Sin dal 2014. Se lo scopo delle sanzioni era impedire una guerra, hanno chiaramente fallito. Se era far smettere l’aggressione dopo il 24 febbraio, hanno fallito. Se era innescare proteste contro il regime, hanno fallito e probabilmente continueranno a fallire. Se era indebolire le capacità russe di rigenerare risorse utili alla guerra, direi che hanno avuto successo e ne avranno ancora di più se resteranno in vigore.


LIMES Per ora però i russi compensano la riduzione della qualità delle risorse militari con la quantità.

MANKOFFÈ così e più avanti va la guerra più costi avrà, per tutti. Ma se la pensiamo in termini di competizione strategica, è ovviamente nel nostro interesse avere una Russia più debole. Se Mosca è costretta a prendere i microchip dei suoi missili dalle lavatrici è chiaro che le sanzioni stanno avendo un impatto che a un certo punto avrà costi insostenibili per la sua industria e la sua economia. Non è detto che ciò cambierà i piani di Putin o che provocherà la sua rimozione dal potere. Ma nel lungo periodo la posizione russa sarà nettamente indebolita. Quello per me è il vero obiettivo delle sanzioni. Non è molto d’aiuto per gli ucraini, lo è più per la Nato e gli Stati Uniti.


LIMES Vi conviene una Russia così dipendente dalla Cina?

MANKOFFFinché Putin è al potere non avremo molta influenza a Mosca. La nave sino-russa è salpata molto tempo fa, direi nel 2014. Putin ha riconosciuto che non si poteva tornare al ruolo di bilanciatore tra Stati Uniti e Cina. Almeno dal 2011, si è convinto che l’Occidente voglia abbattere il suo regime. Non ha un grande margine di manovra nei confronti di Pechino. Ma non avremo molto controllo sulle circostanze che porteranno alla sua fuoriuscita. Quindi non penso che in questo momento il nostro atteggiamento stia spingendo la Russia verso la Cina perché le due potenze sono già vicine. Quello che possiamo fare è diminuire il valore di Mosca come partner di Pechino. È una parte dei motivi dietro le sanzioni.


Carta di Laura Canali - 2021

Carta di Laura Canali – 2021


LIMES Più indebolite la Russia e più la Cina guadagna influenza nelle sue ex periferie imperiali, in particolare in Asia centrale. Vi conviene?

MANKOFFL’impero russo-sovietico è in graduale reflusso da fine anni Ottanta. Nelle ex periferie, Mosca ha mantenuto influenza politica, economica e sociale anche dopo la fine dell’Urss. Ma in Asia centrale la classi dirigenti stanno cambiando: prima erano madrelingua russe, erano un prodotto della scuola sovietica, guardavano a Mosca come risolutrice dei problemi; oggi sono meno legate alla Russia. Inoltre, la guerra ha accelerato l’erosione dell’effettiva sovranità imperiale di Mosca, con la non marginale eccezione della Bielorussia. È evidente nel Caucaso, dove gli scontri tra Armenia e Azerbaigian a differenza del passato non hanno visto un ruolo decisivo della Russia, sostituita da altre potenze. Tutto questo è il frutto di dinamiche che sfuggono al nostro controllo.

Inoltre, non è chiaro se la penetrazione cinese in Asia centrale sia completamente contro i nostri interessi. Pechino ha certo un’influenza predatoria, illiberale e nociva per le minoranze che sono scappate dalla Repubblica Popolare. Ma per i governi locali avere rapporti più diversificati con Cina, Turchia e Occidente li stabilizza e li protegge da minacce alla loro indipendenza. Gli Stati Uniti devono essere modesti in Asia centrale: non è una priorità e non riusciremo mai a pareggiare l’interesse e le risorse di Pechino per quest’area, così importante per la stabilità dei suoi confini occidentali. Il che non vuol dire che dobbiamo dimenticarcene: dobbiamo assicurarci che la regione non passi da un egemone all’altro. 


LIMES Eliminare l’identità imperiale della Russia è un obiettivo del governo degli Stati Uniti?

MANKOFFDovrebbe esserlo. È lì la genesi della sfida russa all’ordine a guida americana. Perché è la nostra mentalità a non ammettere altri imperi, nemmeno tra i nostri alleati. Basta vedere come abbiamo facilitato la dissoluzione dell’impero francese durante la decolonizzazione. 


LIMES Avete i mezzi per cambiare questa identità imperiale?

MANKOFFNo.


LIMES Allora perché dovrebbe essere un obiettivo qualcosa che non avete i mezzi per raggiungere?

MANKOFFNon possiamo necessariamente cambiare quel che accade in Russia e l’idea dei russi di sé stessi e del loro paese. Ma possiamo assicurarci di limitare i mezzi con cui Mosca conduce una politica imperiale all’estero. E nel tempo questa limitazione avrà effetti sugli sviluppi interni alla Russia. È un’influenza indiretta, che potrà produrre conseguenze nell’arco di alcune generazioni. Quindi non è un obiettivo di breve periodo.


LIMES Se non è possibile per gli Stati Uniti coesistere con altri imperi, non è nemmeno possibile un ordine mondiale?

MANKOFFNon penso sia possibile un concerto di potenze à la Kissinger. Finché Russia e Cina rifiutano i loro attuali confini, cercano di espandersi e di sottomettere i vicini, non possono stare in un sistema che rifiuta questo tipo di logica. Non vuol dire che ne stanno completamente fuori, visto che fanno parte di alcune istituzioni internazionali. Ma il sistema non sarà mai in armonia. Non è un caso che i nostri rapporti con la Turchia, un alleato difficile ma comunque un alleato, siano peggiorati proprio quando sono tornate a galla le tracce del suo passato imperiale. Ankara è una rivale di Mosca, gioca un ruolo importante nella guerra d’Ucraina, è meno minacciosa di russi e cinesi a causa di mezzi inferiori, sostiene in larga parte gli interessi americani in Medio Oriente – con l’importante eccezione della Siria. Ma le sue ambizioni imperiali generano inevitabilmente frizioni con gli Stati Uniti. E probabilmente nel tempo genereranno tensioni ancor più intense.


LIMES Nel suo recente libro Empires of Eurasia, ha scritto che un impero plasma le strutture sociali e le istituzioni politiche delle periferie. Quindi anche gli Stati Uniti sono impero?

MANKOFFSì, lo sono stati e in un certo senso lo sono ancora. Non ci piace come si comportano gli altri imperi perché quel diritto lo vogliamo per noi stessi. È ipocrita? Sì, ma a Washington è marginale chi crede davvero che l’America non debba dire agli altri come gestire i loro affari domestici. Nessuno che abbia una vera influenza politica pensa che gli Stati Uniti non debbano incoraggiare i paesi stranieri alla trasparenza, alla democrazia e a tutto il resto. Nemmeno l’amministrazione Trump ha cambiato questa logica: aveva valori diversi da diffondere, ma sempre di diffusione si trattava.*

* Le opinioni qui espresse non riflettono quelle del dipartimento della Difesa degli Stati Uniti d’America.


Carta di Laura Canali - 2022
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