Invece della catastrofe

per Gabriella

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INVECE DELLA CATASTROFE – DI GIULIETTO CHIESA – ed. PIEMME

 da www.megachip.info

Intervista a Giulietto Chiesa a cura di Paolo Bartolini – Megachip

 1) Colpisce, in questo tuo libro, il tentativo di prevedere come e quando il capitalismo globale ci condurrà al punto di rottura di tutti gli equilibri sociali, economici e naturali. Siamo dunque in un “passaggio di fase” che coinvolgerà l’intera umanità rendendo obsolete gran parte delle distinzioni politiche conosciute fino ad ora. Ti chiedo quindi se, esaurita la dicotomia tra destra e sinistra, tu intravvedi nuove e più utili categorie concettuali per descrivere la politica che verrà.
Circa la dicotomia destra/sinistra, che crea sempre, tra gli affezionati della “sinistra”, reazioni irritate quando si chiede loro di rifletterci sopra con un po’ di attenzione, voglio dire qui soltanto una cosa: la dicotomia è finita nel momento in cui l’una e l’altra si sono rivelate e si rivelano “cresciste” e nel momento in cui la sinistra continua a cullarsi nell’idea – contraddetta dei fatti – che progresso e crescita coincidano ancora. Non è più così. Per affrontare la politica che occorrerà, è necessario un salto concettuale gigantesco (come lo è la crisi che avanza): cioè il passaggio a un “pensiero complesso”. Le idee dominanti del XX secolo furono, e sono ancora, quelle della specializzazione, cioè della frantumazione, dei saperi. Non fu casuale. Fu il risultato non solo del dominio del principio economico sull’intera società. Fu ed è il prodotto della cultura razionalistico-illuminista. E’ questo che ci ha fatto perdere, insieme alla complessità dell’individuo, anche quella del cosmo.
Nel momento in cui la potenza dell’uomo prometeico ha raggiunto capacità di “turbamento dell’universo” tali da investire l’intero pianeta, o l’Uomo è in grado di riconquistare la visione complessa, oppure si avvierà verso la propria distruzione. Noi, al momento, stiamo ancora ragionando come dei “dinosauri sapienti”, che pensano di essere eterni. Se continuiamo ancora un po’ con questa illusione, finiremo come loro. Una nuova classe dirigente dovrà essere composta di persone sagge e illuminate; i popoli dovranno sapere a chi affidare il loro destino, e dovranno dotarsi degli strumenti democratici che consentano loro di verificare la saggezza dei loro dirigenti.

 2) Sei tra i pochi, in Italia, a ribadire costantemente l’importanza di una riforma radicale del sistema dell’informazione-comunicazione. Su questo tema registriamo il colpevole ritardo di gran parte delle forze cosiddette “antisistema”. Come te lo spieghi e, inoltre, quale battaglia credi bisognerebbe realizzare per limitare il potere pervasivo della televisione e degli altri apparati della società dello spettacolo?
Il ritardo di comprensione del problema da parte delle forze che tu chiami antisistema è stata la causa principale della loro irrimediabile sconfitta. Tornare indietro sarà molto difficile. Per giunta i detentori della comunicazione hanno già fatto passare nelle menti delle nuove generazioni una nuova ideologia, che è quella della Rete. Non sto parlando della Rete, ma della ideologia della Rete, che porta alla conclusione che sarà la Rete (tecnologia che appare, e non è affatto, libera e senza controlli, indovina da parte di chi?) a risolvere il problema della ormai defunta democrazia liberale. Questa ideologia è più pericolosa di quella del villaggio globale, che fu falsa fin dai suoi esordi. Credo che dobbiamo ora concentrare gli sforzi per demolire questa sciocchezza. E costruire uno schieramento di forze capace di imporre una radicale riorganizzazione dei sistemi della informazione-comunicazione, riportandoli in mani pubbliche e sottraendoli a quelle private, cioè democratizzandoli.

 3) Nel tuo “Invece della catastrofe” (Piemme, 2013) sostieni la necessità di immaginare un nuovo ruolo per l’Europa in questa drammatica fase storica. Potresti spiegare meglio perché ritieni che le proposte di fuoriuscita dall’euro e dall’Unione non offrano una soluzione efficace ai nostri problemi?
Io ragiono in termini di complessità. La moneta è un epifenomeno, a suo modo “giuridico”. E’ una soluzione tecnica a problemi pratici. Non è il luogo dello scontro tra forze reali che collidono tra di loro, ma è la sanzione finale di una battaglia, il patto – appunto giuridico – che sanziona l’esito dello scontro. Pensare che, stracciando il patto finale (sempre transitorio comunque), si modifica l’esito dello scontro è un’evidente illusione. C’è un secondo elemento da tenere in conto: tutti parlano del dito, di solito, e non guardano la Luna. L’intero sistema comunicativo parla del dito. Buona ragione per ignorarlo e guardare la Luna. Infine un aspetto propriamente connesso con la complessità. Un’analisi anche appena accennata della crisi attuale dice che l’Europa è ancora, e resterà, uno degli attori mondiali principali che giocheranno la grande partita dell’esistenza nei decenni a venire. Se c’è un modo per contare in questa partita è essere dentro l’Europa. Fuori dall’Europa l’Italia non conterebbe nulla. So bene che, anche stando in Europa, non è detto che si possa contare. Ma è certo che fuori dall’Europa non si conterà. Strozzati dall’euro lo siamo, anche questo è certo. Tuttavia uscirne – sempre che sia possibile – significa semplicemente entrare in un altro inferno, che è quello del dollaro. Non mi pare che staremmo meglio. Non c’è un solo indizio che ci dica che si sarebbe in un porto sicuro.

 4) Con una intuizione che condivido pienamente parli di “religione dell’infinito” per descrivere la fede cieca che anima la Cupola della finanza internazionale e i cosiddetti “proprietari universali”. Quanto pesa secondo te la componente del sacro nella cultura dominante della crescita infinita?
Noto che molti di questi potenti, in privato e qualche volta anche in pubblico, appaiono convinti dell’onnipotenza dell’esoterismo. Si sentono un’elite in funzione della forza del denaro, che essi hanno deciso infinito. Tendono a trasformare l’infinità potenziale del loro denaro in elemento caratteristico del proprio potere. Ma poiché l’infinito non è di questo mondo, questa identità si trasforma in delirio. E’ questo ciò che mi preoccupa: che i dominanti si sono trasformati in “mutanti” folli. Ovvio, mi sembra, che questi mutanti non possono produrre nulla di buono, o qualcosa che sia diverso dalla pulsione suicida in cui vivono.

 5) Infine vorrei chiederti di commentare un paragrafo del tuo libro che ha un titolo affascinante “Impossibilità della transizione in un paese solo”. Cosa intendi con questa frase? E soprattutto: l’Alternativa è per te una ripresa aggiornata del sogno comunista o qualcosa di totalmente nuovo?
La globalizzazione, come l’abbiamo subita negli ultimi 50 anni, è finita in molti sensi. Ma la connessione globale degli uni con tutti gli altri non solo non è finita, ma va crescendo. Pensare che qualcuno, qualche popolo, possa isolarsi dal resto del mondo e avviare la transizione verso un tipo di comunità umana del tutto diverso da questo è impossibile. In primo luogo perché non ci sono risorse per permetterlo. Il nostro pianeta non si può tagliare a spicchi, come un’arancia. L’atmosfera terrestre è una sola per tutti. Il ciclo dell’acqua è uno solo, anche se non tutti sono nelle stesse condizioni di fruirne. Io sono molto vicino alle riflessioni di Padre Balducci: l’Uomo, per uscire da questa crisi, senza precedenti nella storia dell'”ominizzazione”, ha bisogno di realizzare un vero e proprio “salto evoluzionistico”. Che è quello di un pensiero nuovo che ricostruisca l’unità dei saperi e l’unità del cosmo. E, dentro questa unità, ritrovi quella, complessa e irripetibile dell’individuo. Questo può avvenire solo in una transizione pacifica. Alternativa è “solo” un progetto di costruire le premesse per una transizione pacifica. Anche questo è un sogno, ma che ha poco a che vedere con quello comunista, anche se ne ricupera tutti gli aspetti di solidarietà e di giustizia. Alternativa non implica più il concetto di vittoria di qualcuno su qualcun altro. Poiché non prevede neppure l’esistenza di un vincitore. O vince quell’altro “Uomo” che dobbiamo costruire, o si perisce tutti insieme, come specie.

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