di Gabriele Pastrello – 16 luglio 2015
E adesso pover’uomo? Il Memorandum è un’iniquità senza pari. Lo sappiamo tutti. Ma nel momento in cui si sceglie di non andare all’uscita dall’euro, dopo aver battagliato sei mesi di fronte all’alternativa: o firmi o esci, cosa poteva fare Tsipras? E ci sono ragioni politiche durissime per cui un politico decide di non affrontare l’uscita, ragioni che purtroppo sfuggono non solo agli economisti nostrani saccenti col culo degli altri, ma anche all’impoliticità della grandeur intellettualistica di al¬cuni esponenti di punta della sinistra di Syriza, cominciando da Varoufakis.
L’uscita dall’euro e il quadro mondiale.
Tsipras ha detto quasi esplicitamente che se avesse deciso l’uscita dall’euro si sarebbe trovato isolato, senza alcun appoggio sostanziale da Usa, Russia e Cina. Strano. Eppure non erano stati i russi ad avergli proposto un prestito?
Sì, mesi fa però. Perché c’è un fatto nuovissimo che rimette in moto tutto. L’accordo Usa-Iran. il presidente Obama ha riconosciuto pubblicamente che di quest’accordo è debitore a Putin. Ma come? Non era la reincarnazione dell’Impero del Male? L’oppressore e l’invasore dell’Ucraina? La minaccia per la libertà dei paesi baltici? etc. etc.. ma a questo punto si impone la domanda: perché Putin ha aiutato Obama? Per sfiammare la crisi ucraina.
Quest’aiuto vale la ricompensa? Si. con l’accordo con l’Iran gli Usa rimettono in riga i sauditi, i mandanti ultimi dell’attentato alle Torri Gemelle, e il sostegno neppure tanto nascosto dell’Isis. Aiutando Obama, Putin gli consente di cominciare a sfangarla da una crisi mediorentale in cui gli Stati Uniti, ma anche l’Europa, stavano affondando. E senza dimenticare che la guerra petrolifera che l’Arabia Saudita sta combattendo danneggia sia la Russia che gli Usa. Anche questo conta. i sauditi andavano rimessi in riga.
E adesso vediamo cosa potrebbe ottenere in cambio. L’immagine convenzionale che abbiamo è che gli Usa abbiano creato la crisi ucraina, mentre gli europei, impotenti non potevano che allinearsi. Così all’inizio era vissuta anche in Russia. e se non fosse solo così? Il peso delle formazioni filo-naziste nella crisi ucraina suggerisce un attore nascosto.
E se fossimo al: vai avanti tu che a me scappa da ridere. E se gli Usa avessero fatto – certamente consenzienti con i loro obbiettivi – da rompighiaccio di un Drang nach Osten di pura marca germanica? E infatti adesso l’ala marciante ucraina vorrebbe il coinvolgimento militare diretto degli Usa, per sopravvivere. E forse a questo punto qualcuno in Usa ha capito di essere stato spinto in un vicolo cieco. Kissinger di sicuro l’ha detto. Mentre, secondo la televisione russa, la Vice-segretaria di Stato Nulan, quella che aveva attizzato Euro-Majdan, adesso sarebbe a Kiev per frenare gli ardori della dirigenza ucraina. Perché mai, sennò?
Sfiammare la crisi ucraina significa riaprire i negoziati, escludere l’escalation militare, usare il Fmi per tenere di peso in piedi il paese, facendone pagare però il prezzo all’attuale dirigenza, e magari coinvolgendo nel finanziamento l’Europa (soprattutto la Germania?) che è sempre stata in retrovia, aspettando di incassare l’Ucraina gratis dietro le armi Usa. Europa che abborre tirare fuori un euro. E se gli Usa si fossero stancati? Accordo per accordo.
Ma allora l’apertura della crisi nel lato est Nato non è più all’ordine del giorno, come non è più all’ordine del giorno l’appoggio a un’uscita della Grecia, dall’euro, dall’Europa e dalla Nato. Il che non significa abbandonare la Grecia. Ma condizionare l’appoggio (ad esempio con la pressione per la ristrutturazione del debito) al suo rimanere in Europa e nell’euro, con l’appoggio di entrambi, Russia e Usa, inevitabilmente in rotta di collisione con la Germania, il cui obbiettivo primario è, e con tutta probabilità, resta quello dell’espulsione della Grecia dall’Europa, creando un nucleo d’acciaio europeo, regolando di forza i rapporti con i Balcani (ricorda qualcosa?).
L’uscita dall’euro e il quadro interno.
Bisogna sfatare un equivoco. Che il no al referendum fosse un no all’euro. Interpretarlo così e procedere di conseguenza sarebbe stata una forzatura politica che avrebbe rotto l’unità nazionale raggiunta nel voto e avrebbe isolato Syriza nel paese, lasciandola davvero solo insieme ad Alba Dorata.
A parte le riserve che si possono avere sulle conseguenze immediate e a breve di un’uscita, il pericolo maggiore era probabilmente una rottura di Syriza dall’altra parte rispetto a quella in cui si è rotta oggi.
Senza dimenticare che la violentissima controffensiva di Schäuble al referendum aveva ottenuto risultati politici rilevanti. Ignorare le riserve Usa sul trattamento alla Grecia. Riserve di cui molto probabilmente Tsipras era al corrente e su cui, ragionevolmente, contava, costringendo alcuni timidi obbiettori alla soluzione germanica – vedi Hollande – ad allinearsi, facendo venir meno, per la seconda volt (la prima dopo il 23/2) quelle sponde europee di cui Tsipras aveva assolutamente bisogno per giocare la partita della minaccia dell’uscita.
Non solo l’uscita della Grecia dall’euro non era una minaccia per Schäuble, ma era un obbiettivo. E che poi creasse una situazione caotica dal punto di vista economico o, davvero non ci credeva, sostenuto dal suo consigliere economico, il prof. Sinn, o semplicemente non se ne curava; pensando che il maggior peso sarebbe caduto su altri. Laddove Tsipras non poteva ignorare l’immediata ritorsione a un no al Memorandum nella sospensione di tutti i finanziamenti alle banche greche col loro immediato fallimento. E si vede infatti che, al contrario, la Bce ha immediatamente dato ossigeno alle banche greche.
Perché un altro risultato rilevante della controffensiva di Schäuble è stato di paralizzare Draghi, costringendolo all’allineamento alla politica europea di guerra a Syriza e alla Grecia (aveva potuto solo rifiutare di chiudere i rubinetti prima che la trattativa saltasse. non avrebbe potuto rifiutarsi a trattativa fallita). Dico paralizzare nel senso che la linea seguita smentiva la recisa affermazione di Draghi del 2012: l’euro è irreversibile, senza che lui potesse intervenire. Non a caso, solo adesso, dopo gli interventi Fmi e Usa, Draghi si è pronunciato per la ristrutturazione del debito greco, su cui aveva taciuto finora.
Quindi, di fronte al rischio di essere isolato all’esterno e col paese nel caos immediato Tsipras non se la sentì di seguire la linea Varoufakis. Queste sono probabilmente le ragioni che hanno potuto convincere Tsipras a quella drammatica resa.
Chiusura degli spazi?
Con l’accettazione del diktat la partita è definitivamente chiusa? anche adesso i lati del problema sono due: uno interno e uno esterno.
Sicuramente il più grande risultato che Schauble ha raggiunto in Grecia è la divisione dentro Syriza. Difficilmente ricomponibile, date le parole di Varoufakis che Tsipras avrebbe firmato quello che ‘non aveva diritto di firmare’. in questo modo Schauble è riuscito a toglier a Tsipras la rappresentanza ’nazionale’ che era lo scudo stellare dietro cui Tsipras aveva sempre combattuto.
Dopo il voto del parlamento, che era abbastanza scontato, ci sarà un confronto nel Comitato Centrale. Ma il dissenso della lettera dei 109 sta rientrando. Ma ormai la Syriza uscita dalle elezioni e dalla vicenda politica degli ultima anni non c’è più, e ci sarà bisogno di una rilegittimazione elettorale; inevitabilmente, scontando una rottura a sinistra, che pone a Tsipras molti problemi, che può affrontare solo con una nuova legittimazione.
Ma alla fin dei conti il problema è: per fare cosa? e con quali spazi?
È chiaro che solo con una solida maggioranza parlamentare e di conseguenza un governo coeso, Tsipras potrebbe lanciare una sfida nella gestione quotidiana degli accordi in termini di guerriglia parlamentare e ministeriale nella loro attuazione. Ad esempio l’Europa vuole una riforma del sistema fiscale con una più incisiva lotta all’evasione. Ma al tempo stesso, l’approccio neo-liberista richiede una fiscalità in cui la progressività sia minimizzata. mentre la lotta all’evasione in Grecia, ancor più che altrove, richiede un incremento di progressività. Qui si apre un contenzioso.
E forse spiega perché i tempi imposti dall’Europa mirino anche a evitare elezioni in modo da rendere questo governo dipendente dalle opposizioni, come longa manus europea, non tanto per la sopravvivenza, quanto per impedire colpi di mano. Quando gli europei dicono che non si fidano di Syriza, probabilmente hanno in mente proprio questa eventualità, che hanno cercato di evitare con le pre-condizioni durissime da assolvere in via preliminare.
In realtà, prima ancora di preoccuparsi di come gestire un futuro terzo bailout, Tsipras si deve preoccupare delle prossime trattative. Questi voti parlamentari infatti servono infatti solo a sedersi al futuro tavolo negoziale. Il che evidentemente ha qualche rapporto con l’esito del diktat. Perché quella chiusura solleva una serie di interrogativi. Accettare il diktat aveva una compensazione implicita nella prossima trattativa? È questo il suolo di ‘mediazione’ di Hollande? ma la trattativa è davvero chiusa? Intendo, prima di riaprire la nuova.
Le cose sembrano molto più in movimento di quanto apparissero domenica notte.
Di nuovo il quadro internazionale.
Il segretario al tesoro Usa, Lew, si è scomodato a ripetere l’exploit di Geithner nel 2011 e 2012: è venuto di persona a parlare con gli europei. Dopo un’escalation: telefonate di Obama, lettera del Congresso di sconfessione della Lagarde, pubblicazione del rapporto del Fmi che di fatto rovescia l’accordo dichiarando l’insostenibilità del debito greco, e quindi l’inutilità dell’accettazione greca delle condizioni imposte, nonché dichiarazioni dello stesso segretario in questo senso.
Perché questo è un nervo scoperto da ben cinque anni. La Germania volle coinvolgere il Fmi nel primo bailout greco perché la Merkel non voleva, né forse era in grado di, presentare all’opinione pubblica tedesca la necessità di finanziare completamente il ‘salvataggio’ della Grecia. Bisogna ricordare che agli inizi del 2011 l’economista Issing, uno dei padri dei Trattati di Maastricht disse che un salvataggio era impensabile. e subito dopo il prof. Sinn parlò di Grexit come cosa bella e buona, e ci ritornò sopra nel 2012, suggerendo implicitamente di estenderlo a Italia e Spagna. Linea riproposta nel pieno di questa crisi da Schäuble. All’epoca la Germania accettò di malavoglia il salvataggio solo a patto di un fattivo ‘contributo’ del Fmi. Cioè impose di togliere le castagne greche dal fuoco con i soldi degli altri.
La situazione oggi è solo peggiorata.
La soluzione del diktat alla Grecia, dopo tutti gli inviti alla moderazione degli Usa, era un aperto schiaffo all’egemonia americana sui paesi occidentali. Della serie: in Europa decidiamo noi e delle conseguenze geo-strategiche (quelle che Lew aveva dichiarato un errore) non ci interessa un fico secco. I soldi che i nostri contribuenti dovrebbero tirar fuori (che sia vero o no in questo credono) per noi sono più importanti.
Ma oltre a destabilizzare i rapporti con gli Usa, che hanno immediatamente riaperto i giochi, facendo capire che non sono disposti a essere il gendarme a pagamento per conto della Germania, l’esito della vicenda ha destabilizzato anche la situazione politica tedesca.
Ponendosi come l’autentico interprete politico di un’opinione pubblica tedesca incarognita nel disprezzo della Grecia e nel rifiuto di oneri, veri o presunti, implicati nel ruolo egemone in Europa, Schäuble è apparso in questi giorni il vero Cancelliere, oscurando decisamente la Merkel, per troppo tempo incerta e silenziosa.
È vero che dopo il diktat i giornali tedeschi hanno messo la sordina ai loro editoriali infuocati, e il Presidente della Csu bavarese (il partito di Schäuble) ha parlato di inizio di ripresa di fiducia nella Grecia. Ma dopo essere arrivato alla soglia di una rottura con gli Usa, dopo aver rubato la scena alla Merkel nella politica tedesca, facendo ricordare a tutti che lui, Schäuble, era l’erede naturale di Kohl, è davvero pensabile che rientri nei ranghi del Ministro delle Finanze che abbaia ma che è tenuto saldamente al guinzaglio della Cancelliera? Del tutto improbabile. Non è chiaro quando e come verranno riaperte ostilità interne, ma questa crisi greca ha riaperto una partita sull’egemonia in Germania che è molto improbabile che Schäuble possa permettere che si richiuda con un po’ di malumori parlamentari.
Quali poteri lo sostengono? Non dimentichiamo l’indefessa guerra di Weidman, il governatore della Bundesbank, contro Draghi, che arrivò fino alla rottura delle forme obbligate nella governance bancaria , votando contro nel settembre 2012 al whatever it takes, anche contro il voto del rappresentante della Merkel nel board della Bce.
Ovviamente Weidman è a sua volta punto di riferimento di altri poteri in Germania. E vediamo di non dimenticare neppure che la lamentela costante di Weidman nei confronti di Draghi è che la Bundesbank è in minoranza nella Bce. Tradotto: nella Bce la Bundesbank ‘deve’ comandare e invece non le è permesso. Quindi qui c’è una frustrazione palese per un ruolo egemone in Europa che non sarebbe riconosciuto alla Bundesbank, e ovviamente non alla Germania.
Se questo è quello che si agita nelle viscere dei poteri tedeschi la crisi è appena cominciata: su lla permanenza della Grecia non solo nell’euro ma in Europa (e allora dovremmo rivalutare la scelta politica di Tsipras di restare nell’euro e in Europa a tutti, ripeto ‘tutti’ i costi, scelta che tiene aperta questa contraddizione; altrimenti chiusa). Crisi politica latente in Germania: quando e come Schauble renderà palese la sua sfida per il Cancellierato? Crisi con gli Stati Uniti: chi deve comandare in Europa (e non solo). E allora anche il ruolo di Putin assume un’altra fisionomia, e la non uscita della Grecia dall’euro una scelta tattica di grande momento sullo scacchiere strategico dei poteri in Europa.
Resta una domanda. Questo accordo dissimulato, la Yalta in maschera, tra Usa e Russia è la svolta di politica mondiale che Obama vuole lasciare come l’eredità politica della propria presidenza, o sono invece gli ultimi fuochi di un tentativo di bloccare un inedito quadrilatero emergente: Arabia Saudita, l’Israele di Netanyahu (indimenticabile il suo incredibile attacco al padrone di casa nel Congresso Usa) e Germania a fare da sponda a una prossima presidenza repubblicana che si ripromette apertamente di cancellare tutta la politica di Obama?