Vincenzo Musacchio, giurista e docente di diritto penale, associato della School of Public Affairs and Administration (SPAA) presso la Rutgers University di Newark (USA). Presidente dell’Osservatorio Antimafia del Molise e Direttore scientifico della Scuola di Legalità “don Peppe Diana” di Roma e del Molise.
Professore cosa ne pensa del conflitto in atto tra Bonafede e Di Matteo?
Non parlerei di conflitto poiché siamo di fronte a due persone tra loro amiche e che si stimavano fino a pochi giorni fa. Da spettatore e cittadino a me è parso sia stato un confronto sulla ricostruzione dei fatti. Mi è parso che Di Matteo abbia precisato i fatti essendo stato chiamato in causa e Bonafede non pare averli smentiti. Una cosa è certa la non nomina di Nino Di Matteo nelle circostanze in cui è stata raccontata, pretende verità e credo che ognuno di loro dovrebbe rispondere nelle sedi competenti.
Secondo lei perché Di Matteo ha rivangato una storia di circa due anni fa?
Ho avuto il privilegio di parlare due volte con Di Matteo e mi è parso subito una persona molto corretta per cui sono convinto che volesse soltanto fare chiarezza su alcune frasi che lo tiravano in ballo. È intervenuto perché si era fatto intendere che Di Matteo avesse cercato il Ministro per una sua eventuale nomina. A qual punto lui ha ritenuto di intervenire raccontare i fatti come sono andati poiché la questione aveva assunto notorietà. E’ stato chiamato in causa e ha precisato gli accadimenti: tutto qui.
Non le viene per nulla il sospetto che Di Matteo abbia voluto consumare una vendetta per la sua mancata nomina?
Per qual poco che abbia potuto conoscerlo io, non credo. Non mi è sembrata una persona che agisca per opportunismo. Di Matteo, vive sotto scorta perché è stato condannato a morte da Totò Riina, non dimentichiamolo. Siamo di fronte ad un uomo che da oltre vent’anni vive in strettissima sorveglianza senza avere più un briciolo vita normale come tutti noi. Vorrei fare un invito a riflettere su cosa significa non potere vivere anche i momenti più personali o familiari con la libertà e la normalità di tutti e costringere chi ti sta accanto a sopportare le preoccupazioni e le limitazioni della vita privata. Di Matteo mi è parso subito un magistrato che non si ferma davanti agli ostacoli, nel suo lavoro, nella ricerca della verità e della giustizia. Una persona così non consuma vendette ma, purtroppo per lui, le subisce ogni giorno!
L’ANM pur non facendo direttamente il suo nome ha scritto che è stata intaccata l’onorabilità del CSM e dei suoi membri, lei che ne pensa?
Rispondo ritenendo che l’onorabilità del CSM è stata lesa da ben altri comportamenti connessi agli ultimi scandali sulle nomine ai vertici degli uffici giudiziari. Perciò non credo che Di Matteo abbia leso in qualche modo la credibilità del CSM, precisando alcuni fatti che mettevano in discussione la sua rettitudine morale.
Secondo lei il ministro della Giustizia non ha diritto di scegliere il capo del Dap in piena autonomia e discrezionalità?
Assolutamente sì e ci mancherebbe anche il contrario. E’ sua una prerogativa ordinamentale. Di conseguenza, così come si assume la responsabilità della scelta, dovrebbe trarne le conseguenze se tale scelta risulti errata. Questo secondo aspetto, però nella politica italiana raramente accade. Non è accaduto in passato e non credo accadrà adesso. Ormai nel Belpaese si pensa solo al potere per il potere.
Lei crede che nel 2018 ci furono condizionamenti sul Ministro Bonafede per bloccare Di Matteo al Dap?
A questo può rispondere solo Bonafede. Io con grande onestà posso solo dire che non riesco a comprendere la scelta fatta dal Ministro verso una persona che era il simbolo proprio del suo partito e che poi all’improvviso è stato scaricato nel giro di poche ore. Un motivo ci deve essere. Certamente Antonino Di Matteo dà fastidio perché ha osato indagare su quella stagione di sangue e sulla trattativa che ci fu tra Stato e mafia affinché la verità giungesse finalmente fuori. Per alcuni versi questa situazione mi ricorda la mancata nomina di Gratteri a Ministro della Giustizia nel Governo Renzi.
Da esperto della materia, cosa pensa della gestione del DAP negli ultimi anni?
Guardi non conosco i dettagli della gestione di un dipartimento che ha a che fare con oltre centomila persone. Posso solo dire che se è vero che dal carcere sono usciti 376 mafiosi, c’è qualcosa che non va! Se nelle principali carceri d’Italia in contemporanea abbiamo assistito a delle rivolte violentissime con persone morte negli scontri, qualcosa non funziona. Sempre per onestà devo dire che alcuni di questi problemi già esistevano prima si sono acuiti negli ultimi anni probabilmente per una mancata e adeguata programmazione e per un monitoraggio delle situazioni più critiche mai attuato.
Un’ultima domanda, se fosse stato lei Ministro della Giustizia avrebbe nominato Di Matteo al DAP?
E’ la domanda più difficile tra quelle che sinora mi ha fatto. Le rispondo così. Credo che a ricoprire gli incarichi più rilevanti nelle istituzioni pubbliche debbano essere i più meritevoli e non quelli che hanno l’appoggio della politica. Emblematica in questo contesto è la frase di Giovanni Falcone: “dove comanda la mafia i posti nelle istituzioni vengono tendenzialmente affidati ai cretini”. Ovviamente, ogni riferimento a persone esistenti o a fatti realmente accaduti è puramente casuale.