Vincenzo Musacchio è professore di diritto penale. Associato al Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies (RIACS) di Newark (USA). Ricercatore dell’Alta Scuola di Studi Strategici sulla Criminalità Organizzata del Royal United Services Institute di Londra. Discepolo di Giuliano Vassalli, allievo e amico di Antonino Caponnetto. E’ uno tra i massimi esperti di mafia e autore di “Adesso tocca a te” (2018). Il suo libro narra della sua conoscenza con Antonino Caponnetto e delle storie che lui raccontò su Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Con lui ci siamo seduti e abbiamo parlato di mafie, di stupefacenti e di criminalità comune in Europa.
Il “modus agendi” delle mafie è diverso rispetto al passato?
Assolutamente diverso. Si è evoluto e modernizzato in special modo nel traffico illegale di stupefacenti in ambito internazionale. Le nuove mafie hanno creato mercati del commercio illegale transnazionale e gestiscono l’organizzazione molto complessa del traffico di droga illegale come si gestisce una vera multinazionale, con sedi centrali e succursali in ogni parte del globo. C’è sempre un capo che gestisce a livello centrale ma non come despota assoluto ma come mediatore per garantire la conformità e l’omogeneità ad ogni livello intermedio. Pur non essendo organizzazioni democratiche ormai usano sempre di meno la violenza e sempre di più il denaro a loro disposizione per corrompere.
In Italia, la nazione da cui lei proviene, come mai è proprio la Calabria il principale accesso della droga in Unione europea?
Molto semplice. Li c’è la ndrangheta una delle mafie più potenti in Europa la quale ha avuto la geniale idea di creare uno dei porti più grandi d’Europa a Gioia Tauro e lo ha dotato anche delle migliori tecnologie che gli consentono di essere molto efficiente, molto ben organizzato e modernissimo. Le alternative sarebbero Napoli o Palermo che sono più scomode e soprattutto meno moderne. Modernità, tecnologia ed efficienza permettono che grandi carichi di droga arrivino e si nascondano molto facilmente in Calabria per essere poi smistati in ogni parte d’Europa. La ndrangheta ha previsto con largo anticipo rispetto alle altre mafie i futuri sviluppi del traffico internazionale di stupefacenti in ambito internazionale.
Cosa ne pensa della legalizzazione delle droghe regolamentate e tassate dallo Stato? Cosa succederebbe alla criminalità organizzata se ci fosse una simile svolta?
Se domani tutte le droghe fossero legalizzate avremmo ancora le mafie questo è fuor d’ogni dubbio. Sono talmente forti che troverebbero nuovi business e creerebbero nuovi mercati criminali. Questo però non vuol dire che non sarebbero colpite mortalmente. Perderebbero il loro affare più lucroso in assoluto. Ma le mafie esistevano prima della droga e continueranno purtroppo ad esistere anche dopo la droga. Se vogliamo dirla tutta, credo che le mafie siano già pronte ai nuovi mercati delle droghe sintetiche costruite in laboratorio con meno rischi e maggiori guadagni.
Lei è favorevole o contrario alla legalizzazione delle droghe?
Sono a favore della legalizzazione, ma non a favore di un modello a scopo di lucro da parte dello Stato. Sono a favore di un modello di salute pubblica con i piccoli produttori ma non con la grande filiera agricola.
Secondo lei la droga è un problema penale o riguarda la salute?
Da penalista lo considero un problema di salute, non penale ma piuttosto di politica sociale o per alcuni aspetti al massimo di politica criminale. Di una cosa sono sicuro, non sarà col diritto penale che si risolverà il fenomeno della tossicodipendenza e della droga ma occorreranno nuove politiche sociali a favore della nostra gioventù.
Per chiudere, ci dice qual è la parte più affascinante del suo libro “Adesso tocca a te”?
Premetto che il libro è gratuito e fruibile da parte di tutti online in versione libero accesso. Parlo molto della conoscenza e del rapporto con il mio maestro Antonino Caponnetto. Una persona preparatissima, umile e davvero adorabile dal punto di vista umano. Parlammo tanto nei nostri incontri che onestamente non ricordo tutto. Ho memoria del fatto che rimarcò molte volte di non smettere di ricordare che Giovanni Falcone e Paolo Borsellino diventarono eroi nazionali soltanto dopo la loro morte. Mi sottolineò di continuo che furono oggetto di veleni, sospetti, maldicenze che, tutte insieme, rafforzarono l’intreccio che portò alla loro tragica fine. Ricordo che gli domandai della sua frase straziante alle telecamere subito dopo la strage di via d’Amelio: “È finito tutto!”. Mi rispose che in quel momento avrebbe voluto morire anche lui. Evidenziò il rammarico per quella frase detta in un momento di sconforto e mi disse che quelle parole da allora in poi dovevano essere un motivo in più per farsi coraggio, per riprendere le forze e la speranza, e lavorare sul cambiamento culturale e sulla lotta alla mafia.