Fonte: facebook
di Alfredo Morganti – 30 novembre 2015
Se è vero che per avere uomini di grande tempra morale, bisogna che i tempi siano grandi a loro volta, forse di uomini come Pietro Ingrao ne vedremmo ben pochi per molti e molti anni ancora. Ed è un male. Perché, se è giusto quel che dice Brecht (beati quei popoli che non hanno bisogno di eroi) è pur vero che donne e uomini di tale spessore umano, morale, politico servono come il pane quando si tratta di dare una svolta, curvare la storia, rompere un continuum di iniquità e ingiustizia che dura da troppo. Oggi la classe dirigente, nella sua quasi totalità, riflette tempi bizzarri, privi di valore, cinici nelle sue punte più estreme. I sogni venduti con la comunicazione-politica non bastano a migliorarne l’essenza, anzi. Proprio i sogni stessi, la loro costante offerta e disponibilità sul mercato, testimoniano dello squallore della realtà. Sono la cartina al tornasole di un mondo piattamente schiacciato su individui soli e infelici, prigionieri dei loro oggetti e delle loro costosissime cose.
Ciò accade quando la politica abdica alla tecnica, quando l’oggetto vince sul soggetto, quando la libertà non è concepita come una dialettica di socialità e persona, ma è soltanto la possibilità-obbligo di accedere al mercato, acquistare beni, poterli manipolare a proprio piacimento, consumarli affinché se ne possano acquistare dei nuovi. La politica sparisce, è cancellata, e ricompare sottoforma di urla mediatiche, di personalità carismatiche, di regole costantemente stracciate, di democrazie ridotte all’osso del potere esecutivo. Di qua lo Stato (sempre più accentrato in qualche stanza segreta), di là i cittadini (a cui è concessa l’apparenza mediatica del ‘Leader’ e poc’altro). Di qua i poter pubblici (asserragliati nelle casematte) di là i rappresentati che si sentono sempre più senza rappresentanza. In mezzo un abisso che si allarga, e che gli ultramaggioritari allargano ancor di più (e non è un errore, ma è quello che vogliono).
I vari Pietro Ingrao, negli anni della Repubblica (la prima, specialmente) hanno lavorato a cucire, a unire, a tirare le fila, senza per questo rinunciare alla idee, alle convinzioni, alle storie (le idee sono la fonte principale delle nostre azioni pubbliche, alle idee non si rinuncia, la politica non è una rinuncia!). I Matteo Renzi di oggi sembrano invece dei puri situazionisti, dei tecnici del potere, non portano con se stessi zavorre ideali, sberleffano chi lo fa, al più incamerano accordi segreti con l’avversario (o presunto tale) che spacciano per primato della politica. Solo accostare le due categorie (gli ‘Ingrao’ e i ‘Renzi’) appare una bestemmia. Eppure è un paragone che va fatto, per capire meglio la nostra deriva.
Oggi si tratta di fermarci e inchinarci a un uomo che rappresenta una parte molto consistente, un secolo, di sinistra italiana. E non si tratta solo di onorare il padre, com’è giusto che sia. Bensì di indicare ancora una volta una strada. Perché non vogliamo solo celebrare il centenario di un albero secolare, ma, fuori di retorica, vogliamo rifondare la sinistra, ripartendo però dalle sue basi: la giustizia sociale, la libertà di tutti, la fratellanza, la lotta contro lo sfruttamento. A fianco dei più disagiati, della miriade sterminata di donne e uomini che vivono di poco in una società che spreca tutto. E per noi Ingrao non è solo un centenario, non è un’occasione retorica che termina con l’esaurirsi dell’evento stesso, ma è un’ipotesi di lavoro, una strada da percorrere, una discorso di libertà da pronunciare ancora una volta.
AUGURI PIETRO!
AI TUOI CENTO ANNI PORTATI CON FIEREZZA!
ALLA SINISTRA CHE VUOLE RIPRENDERE IL VOLO!