Fonte: altreconomia.it
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Intervista ad Anna Donati di Luca Martinelli —
Ancora TAV e autostrade: infrastrutture, il cambio di passo che manca
Il governo ha approvato l’11 aprile il Documento di economia e finanza, con il relativo “Allegato infrastrutture”. Servono 35 miliardi di euro per realizzare 119 interventi. C’è qualche discontinuità con il passato: è prevista la revisione di alcuni progetti in corso, applicando anche i criteri dell’analisi costi-benefici. Alcune opere che presentano criticità, tuttavia, non vengono “toccate”.
Nel nuovo “Allegato infrastrutture” c’è un elenco di 119 interventi, e un conto finale di 35 miliardi di euro di spesa pubblica da aggiungere alle risorse già disponibili. Nel dossier, che fa parte del Documento di economia e finanza 2017, deliberato dal Consiglio dei ministri l’11 aprile scorso, “manca però chiarezza: non è riportato il costo complessivo degli investimenti, è indefinito il grado di copertura della spesa garantito dai finanziamenti pubblici già stanziati, e per quanto riguarda il fabbisogno non è specificato quale sia l’orizzonte temporale degli investimenti, né il ‘peso’ che avranno questi interventi nella prossima manovra finanziaria, quella per il 2018”. Anna Donati fa parte del Gruppo Mobilità sostenibile del Kyoto Club e di infrastrutture si è occupata a lungo anche in Parlamento, prima come deputata (dal 1987 al 1992) e quindi al Senato, dov’è stata eletta nel 2001 e nel 2006.
Nell’autunno del 2014 ha partecipato alla redazione del libro di Altreconomia “Rottama Italia!”, sul decreto Sblocca-Italia, e oggi la intervistiamo perché ci aiuti a leggere tra le righe del documento “Connettere l’Italia: fabbisogni e progetti di infrastrutture”, che descrive la dotazione di ferrovie, strade, porti e interporti, aeroporti, le politiche di mobilità urbana da realizzare nelle 14 città metropolitane e lo sviluppo di ciclovie turistiche.
L’”Allegato infrastrutture” è stato presentato dal presidente del Consiglio Paolo Gentiloni e dal ministro Pier Carlo Padoan, su proposta dal ministro delle Infrastrutture Graziano Delrio, ed è proprio questo aspetto a farne emergere – secondo Donati – una delle principali criticità: “Poiché accompagna un documento economico, qual è il DEF, che è alla base della programmazione delle spesa pubblica, troverei imprescindibile la definizione di fabbisogni realistici, da legare all’individuazione di priorità rispetto agli interventi” sottolinea Donati, che prima di parlare di singole opere preferisce toccare le novità più interessanti dell’allegato infrastrutture.
“Apprezzo che si cerchi finalmente di inserire gli investimenti pubblici all’interno di una strategia e di una politica dei trasporti -spiega-, che le città ed aree metropolitane siano individuate come una priorità, che la sostenibilità sia un riferimento, che si manifesti la volontà di sostenere porti ed interporti, che si parli di ‘cura del ferro’, in particolare in riferimento al trasporto locale. Ritengo positivo che sia prevista, per la prima volta, una revisione dei progetti, che riguarderà anche i cantieri già aperti, una project review che dovrebbe tener conto anche dell’analisi ‘costi-benefici’ di un’opera: spero, in ogni caso, che questo processo avvenga seguendo criteri di trasparenza, e coinvolgendo quei soggetti, dalle associazioni ambientaliste ai comitati, che ‘studiano’ il tema a livello locale e nazionale” spiega Donati. Secondo l’esperta, tuttavia, il documento approvato in consiglio dei ministri l’11 aprile scorso sconta un grave rischio: “Veniamo da un lungo passato che con la legge Obiettivo, in vigore per circa 15 anni, ha prodotto sterminate liste di ‘opere prioritarie’, al di fuori di ogni idea di programmazione e di politica dei trasporti. Oggi non ne siamo usciti: viviamo una fase transitoria, un percorso irto di ostacoli. Se l’iter di un’opera non più prioritaria è in corso, secondo le vecchie procedure della legge Obiettivo, la sua realizzazione verrà fermata? È di questi giorni, ad esempio, la notizia relativa all’assegnazione dei lavori per realizzare l’inutile autostrada della Val Trompia, nel bresciano”.
“Invarianti”. Così vengono definiti gli investimenti che non possono assolutamente essere rivisti. Come il Terzo Valico, la Pedemontana Veneta e la Pedemontana Lombarda
Una risposta compiuta a questa domanda non retorica potrebbe arrivare dal DPP, il Documento Pluriennale di Pianificazione che avrebbe dovuto essere approvato entro il 18 aprile 2017, ma ancora non c’è. “In base al nuovo Codice degli Appalti, il DPP avrà valenza normativa, definirà cioè che cosa si fa e che cosa non si fa, gli interventi non più prioritari, e dovrebbe indicare anche come intervenire sulla lista di opere, diverse centinaia, ereditate dalla legge Obiettivo. Un tema importante è, in particolare, quello relativo alle infrastrutture non prioritarie e ‘non OGV’, cioè che non presentano obbligazioni giuridicamente vincolanti, quelle non ancora progettate né appaltate: verranno cancellate definitivamente dall’elenco quando non esiste alcun rischio di contenzioso?” si chiede Donati.
Solo in quel momento, infatti, associazioni, comitati e (spesso) anche amministrazioni locali contrarie alle opere potranno dirsi davvero tranquilli. “È successo negli ultimi anni per l’autostrada Orte-Mestre -dice Donati-: oggi l’allegato infrastrutture al DEF 2017 parla solo di una riqualificazione della superstrada esistente, per la ‘risoluzione delle criticità esistenti’”, superando definitivamente l’insostenibile progetto autostradale.
Non è così definito, invece, il futuro di un’altra autostrada, quella della Maremma, tra Grosseto e Civitavecchia. “Finalmente, però, si parla di project review, e si menziona in modo palese l’esigenza di un confronto tra il progetto ‘a pedaggio’ della Società per l’autostrada tirrenica (SAT) e l’adeguamento della statale Aurelia, che è ciò che chiediamo da decenni. Quindi tutto dipenderà da come verrà attuata la revisione progettuale, e se l’obiettivo del governo resterà comunque quello di un’autostrada per ‘accorciare l’Italia’, come si decise negli anni Ottanta o si farà una revisione sulla base di obiettivi chiari, come l’accessibilità e la mobilità della Maremma, la sicurezza stradale, la tutela del paesaggio e contro il consumo di suolo, un’analisi costi benefici”.
“Guardate alla TIBRE (Tirreno-Brennero): è positivo che si punti a costruire solo 15 chilometri invece di 80, ma la logica è quella, antica, dell’asfalto che chiama asfalto”
Se passiamo ad analizzare la gerarchia delle opere dell’allegato infrastrutture, alcune fanno dire ad Anna Donati che “non ci sono segni sufficienti di ravvedimento operoso, anche se la strategia generale è condivisibile perché ci sono investimenti nelle città, nei porti, per l’adeguamento delle strade esistenti, per il trasporto ferroviario locale, ma restano ancora troppe autostrade e pezzi di alta velocità”.
Un elenco? “Guardate alla TIBRE”, cioè a quell’autostrada pomposamente definita Tirreno-Brennero, in realtà un raccordo di 80 chilometri tra la fine della Cisa, a Parma, e l’A22 a Verona “verrà realizzato un primo lotto di 15 km, i cui cantieri sono già aperti, e che si fermerà nel nulla, finché non verrà connessa alla CISPADANA, un’altra autostrada interamente in territorio emiliano che però ad oggi esiste solo sulla carta. È positivo che si punti a costruire solo 15 chilometri invece di 80, ma la logica è quella, antica, dell’asfalto che chiama asfalto”, e lo stesso vale -secondo Donati- anche per altre tre autostrade, cioè Pedemontana Veneta, Pedemontana Lombarda e Campogalliano-Sassuolo: “Speravo che tutte e 3 fossero soggette a project review: quella veneta e quella lombarda hanno infatti un problema legati al progetto, al costo ed all’esigenza di prevedere un ulteriore contributo pubblico, e ne andrebbe messa in discussione anche la reale utilità. Per quanto riguarda invece la bretella modenese tra l’A22 a Campogalliano e Sassuolo, Legambiente Modena ha ampiamente dimostrato che il traffico del distretto ceramico, che per l’80% è internazionale, è convertibile al ferro”.
Per ultimo, c’è il nodo Alta velocità: “Per quanto riguarda la Torino-Lione, è prevista la revisione del progetto della tratta italiana, ma non si ‘tocca’ il tunnel; il Terzo Valico tra Genova e Milano, invece, è una delle ‘invarianti’. Così vengono definiti gli investimenti che non possono assolutamente essere rivisti”. Quel fardello che l’Italia si porta dietro dai primi anni Novanta, quando i lavori per l’Av vennero affidati a general contractor senza gara.