Indietro ‘o popolo

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Fausto Anderlini

di Fausto Anderlini – 12 maggio 2019

Fine Agosto 1985. Festa de l’Unità al Parco Nord. La gente sciama (probabilmente) dall’ingresso sulla Stalingrado e passa davanti allo stand dell’Anpi dove due attivisti stanno distribuendo dei materiali. Ho trovato casualmente la foto infilata nella caotica catasta dei miei libri dopo che nella notte, cercando la Lingua salvata di Canetti era tracollato un intero comparto. La foto è bellissima e illustra una scena di comunità come l’avrebbero immortalata il Francia o Lorenzetti in un grande affresco murale. L’allegoria di un popolo. Ogni membro del gruppo ha una sua individualità e viene incontro ignaro all’osservatore. Solo due bambini sono avvertiti di quanto sta accadendo e consegnano il loro stupore all’obiettivo. E assieme a loro la moretta con i fascicoli dell’Anpi (probabile destinataria della foto) e una bella donna bionda coi capelli a turbante e i fianchi larghi che è ferma ai lati del corteo forse in attesa del suo amante. In quell’epoca, morto Berlinguer e Natta segretario, il Pci bolognese era ancora una metropoli con centomila iscritti e rotti. Ma era come un grande paese. Infatti ci conoscevamo tutti. Tante erano le occasioni d’incontro. Le feste, le manifestazioni, le ricorrenze, le riunioni, le case del popolo. Un popolo è essenzialmente un dato soggettivo, un’autocoscienza innervata in una consuetudine di vita. Così come aveva intuito Renan a proposito della Nazione: “un plebiscito di tutti i giorni” nutrito dalla volontà di stare insieme e irrorato, esattamente per questo, da proprie distinte tradizioni antropologiche, memorie spirituali, appartenenze politiche.
Anche se non ricordo i nomi, posso dire di aver conosciuto le persone ritratte nella foto una ad una. L’uomo con la barba sulla sinistra è probabilmente Floriano Buganè, un termotecnico grande seduttore che ha riscaldato con la sua perizia le case che ho abitato.
In quell’epoca Renzo Inbeni era da poco Sindaco della città mentre il segretario della federazione era Ugo Mazza, Zani gli sarebbe succeduto tre anni dopo, nel 1988 col XVIII Congresso, quando già maturavano alcuni degli elementi di quella svolta occhettiana che di lì a poco avrebbe accompagnato il crollo di quel mondo.
Segnalo a me stesso che nel 1988, cioè tre anni dopo quella festa, entrai anch’io, finalmente, nel Comitato Federale… e avevo trentanove anni. Fino a quel momento ogni mia candidatura era stata puntualmente ‘segata’ dalla commissione elettorale. E siccome con quel popolo ero anima e corpo ogni bocciatura era causa di grave turbamento. Più ero tenuto ai margini della gerarchia dirigente più mi legavo nevroticamente all’oggetto che mi giudicava (forse con qualche ragione) inaffidabile. Ma una volta entrato nel mitico Cf fui preso da una folata ascendente che mi portò alla segreteria del partito e poi al Consiglio nazionale del Pds. Con la compagnia malvagia e scempia ma antropologicamente intrigante dei ‘miglioristi’. A seguire, almeno trenta anni di sventure che potei assecondare dall’interno o dai bordi delle cerchie dirigenti affollate su una nave che non teneva più il mare. Mentre il popolo si disperdeva e decomponeva pezzo dopo pezzo. Fino ad Articolo Uno passando per la somma disgrazia del Pd. Iniziai il mio volo in età matura sul ‘far del crepuscolo’, come una celebrata nottola. Ma non divenni mai saggio, sino ad arenarmi in una nicchia come i piccioni che sostano nei buchi delle facciate delle cattedrali.

Morto un popolo non se ne trova un altro. Pura sfiga. Sebbene ancora mi punga di andare all’appuntamento con quella bionda sensuale coi capelli cotonati che sosta in attesa di chissà cosa sul viale di quella festa davanti alla Manifattura Tabacchi. Oggi base di puttane dell’est, erotomani scambisti, delinquenti e altra disperata umanità. Per convolare con lei (che a guardar bene la foto è un presagio, infatti sembra titubante, quasi attratta dalla direzione contraria) su qualche sperduto atollo d’amore corallino, un cottage a Sant’Alberto, una baracca nei pantani dell’Acadia, una casetta in canadà, comunque lontano da ogni popolo che ci passa adesso il convento.

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