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di Luca Billi, 7 ottobre 2017
Esattamente da quando noi di sinistra abbiamo cominciato a credere che rispettare le leggi sia un valore in sé? Posta così la domanda è volutamente provocatoria, eppure la questione mi ronza in mente da qualche giorno, perché in tanti, discutendo della vicenda catalana, hanno detto che i leader di quella regione hanno sbagliato perché le leggi spagnole non prevedono che si celebri un referendum avente come oggetto la secessione e sono sinceramente convinti che questo da solo basti ad argomentare la loro posizione. In sostanza se le leggi non ti consentono di farlo, non puoi farlo, al massimo puoi cercare di cambiare quelle leggi, sempre nel quadro di una legge superiore, come ad esempio una costituzione. Personalmente credo che i leader catalani abbiano commesso un gravissimo errore perché la secessione è la risposta politica sbagliata, ma non perché viola le leggi della Spagna.
Non mi interessa tornare sulla vicenda catalana, che ho usato solo come esempio, il tema che voglio affrontare è più complesso ed è proprio questo: il rapporto tra la politica e la legge. Riflettete: quando noi di sinistra pensiamo a persone che ci hanno ispirato, pensiamo a “criminali”, a persone che hanno sistematicamente violato le leggi. Antonio Gramsci e Carlo Rosselli hanno deliberatamente disobbedito alle leggi del loro paese, Nelson Mandela e José Mujica erano considerati terroristi, i partigiani erano “banditi”, il Che era un “bandito”. E l’elenco potrebbe continuare molto a lungo, perché in fondo la storia della sinistra è proprio questo: scardinare l’ordine costituito – e le leggi che ne garantiscono la sopravvivenza – in nome di un ideale più alto, in nome del progresso politico e sociale. E’ la storia di Antigone che viola le norme imposte dal re Creonte per rispettare leggi che per lei sono più importanti, che per lei hanno un valore superiore a quelle di volta in volta definite dall’autorità pubblica.
So che il tema è controverso. Io ovviamente non auspico che le persone scendano in piazza e inizino a commettere reati in nome di un ideale politico, di un qualsiasi ideale politico, soprattutto del mio, e so anche che le leggi nel corso del Novecento sono state spesso una conquista del movimento dei lavoratori. E infatti i padroni fanno di tutto per abolirle: pensate a cosa è stato fatto nel nostro paese contro lo Statuto dei lavoratori, una legge che noi dobbiamo difendere a ogni costo, o cosa hanno provato a fare – e proveranno ancora a fare – contro la nostra Costituzione. Io non sono contro le leggi, ma contro l’idea – che ho l’impressione stia prevalendo – che la lotta politica possa avvenire solo all’interno di un sistema di leggi definite.
In una partita di calcio è essenziale rispettare le regole: se una squadra scende in campo con ventidue giocatori vincerà certamente contro quella che ne schiererà solo undici, ma nella vita politica non dobbiamo per forza accettare di “giocare” con le regole che l’avversario ha scritto, magari per impedirci non solo di vincere, ma perfino di toccare palla. Invece ci stanno convincendo del contrario, tra l’altro creando una sorta di analogia tra la violenza e il non rispettare la legge. La nostra società rifiuta la violenza, anzi il rifiuto della violenza è una conquista della nostra società. I terroristi usano la violenza per cercare di cambiare leggi che loro considerano sbagliate e noi giustamente condanniamo il terrorismo, ma non dobbiamo condannare anche la disobbedienza e il conflitto che nasce da essa. Al potere costituito il terrorismo serve molto e lo vediamo proprio da questo: in questi anni ci hanno convinto che disobbedire al potere sia una forma di violenza e siccome la violenza è un male, ergo anche disobbedire è un male. No, i sillogismi non funzionano in politica. La violenza dei terroristi è una cosa, il rifiuto di obbedire a una legge che consideriamo ingiusta e la lotta per cambiarla, anche al di fuori delle norme, è un’altra cosa.
Perché la legge è importante non in sé, ma per quello che dice. L’etimologia della parola lex è complessa, ma probabilmente risale al verbo greco lèghein, che significa dire, parlare, è la stessa radice che troviamo in logos. La legge in sostanza è ciò che dice il potere, ne consegue quindi che ciò che interessa non è la legge, ma chi esercita il potere e quindi chi ha fatto quella legge. Se chi esercita il potere lo fa in maniera arbitraria, le sue leggi sono arbitrarie. E contro quelle leggi – e quel potere – abbiamo il dovere morale di opporci. La politica in fondo è questa cosa qui: la lotta per far prevalere un’idea di progresso, di crescita, di giustizia sociale. Almeno per la sinistra dovrebbe essere questo. E se per farlo è necessario violare le leggi, dovremo violarle, se per farlo è necessario il conflitto, non potremo sottrarci a combattere.