da il Post
Non sarà facile ottenere i domiciliari per Ilaria Salis
La richiesta presentata dagli avvocati è stata già respinta tre volte per “pericolo di fuga”: il governo sta considerando diverse opzioni
Negli ultimi giorni si sta discutendo della possibilità di ottenere gli arresti domiciliari per Ilaria Salis e permetterle quindi di uscire dal carcere ungherese in cui è detenuta in via preventiva da quasi un anno. Salis è un’insegnante milanese di 39 anni: nel febbraio del 2023 fu arrestata a Budapest, in Ungheria, e accusata di aver aggredito militanti neonazisti che stavano partecipando alle manifestazioni del “Giorno dell’onore”, un raduno che si tiene ogni anno per commemorare un battaglione nazista che nel 1945 tentò di impedire l’assedio di Budapest da parte dell’Armata Rossa.
Salis è detenuta in una prigione di massima sicurezza a Budapest, in condizioni che lei stessa ha descritto come «disumane». Per i primi sei mesi le erano stati impediti i contatti con la famiglia, che da settembre è riuscita a visitarla solo due volte. In una lettera che aveva fatto arrivare in Italia attraverso i propri avvocati all’inizio di ottobre, Salis aveva detto che nella sua cella c’erano topi, scarafaggi e cimici dei letti, che le avevano provocato una reazione allergica e che il personale del carcere non le aveva fornito né creme né farmaci. Durante la prima settimana inoltre le erano mancati carta igienica, sapone e assorbenti, e nei mesi successivi è accaduto più volte che non le fosse dato da mangiare per cena.
Nonostante le condizioni nelle quali si trova da quasi un anno, finora Salis non è riuscita a ottenere gli arresti domiciliari, ossia la possibilità di passare il periodo di detenzione preventiva fuori dal carcere. La detenzione preventiva può essere applicata alle persone in attesa di essere processate a determinate condizioni, per esempio se si pensa che possano ripetere il reato o inquinare le prove.
Nel caso di Salis, i suoi avvocati hanno fatto sapere che la richiesta dei domiciliari è stata rifiutata per tre volte con la motivazione del “pericolo di fuga”: la magistratura ungherese ritiene che Salis, uscendo dal carcere, possa scappare per evitare il processo. Secondo le autorità ungheresi questo sarebbe ancora più probabile poiché Salis non ha legami familiari in Ungheria né un posto sicuro in cui trascorrere i domiciliari, e quindi dovrebbe trovare una sistemazione apposita dove risiederebbe da sola.
Esiste però una norma europea relativa proprio a questa situazione, approvata nel 2009 e recepita, tra gli altri, sia dall’Italia sia dall’Ungheria. La regola riconosce che nel caso di custodia cautelare c’è il rischio che gli imputati stranieri vengano trattati in modo diverso rispetto ai cittadini di uno stato: per esempio, è possibile che una persona imputata in un paese diverso dal proprio venga detenuta, mentre se un cittadino di quello stato si trovasse nella stessa situazione potrebbe ricevere un trattamento più clemente (proprio come sembra essere successo nel caso di Salis).
La norma chiede espressamente di evitare queste disparità di trattamento: «In uno spazio comune europeo di giustizia senza frontiere interne è necessario adottare idonee misure affinché una persona sottoposta a procedimento penale non residente nello Stato del processo non riceva un trattamento diverso da quello riservato alla persona sottoposta a procedimento penale ivi residente», dice il testo.
– Leggi anche: In un anno la diplomazia italiana ha fatto molto poco per Ilaria Salis
Secondo alcuni giornali, tra cui La Stampa, gli avvocati italiani di Salis avrebbero intenzione di chiedere al governo italiano, e soprattutto ai ministeri della Giustizia e degli Esteri, di preparare un documento per chiedere ufficialmente l’applicazione della norma e garantire che, in ogni caso, i domiciliari in Italia verrebbero svolti con tutti i controlli e le garanzie del caso.
L’avvocato ungherese di Salis, György Magyar, si è però detto piuttosto scettico e crede che la magistratura sarà disposta a concedere i domiciliari solo dopo la sentenza, quindi per scontare un’eventuale condanna vera e propria, ma non per la carcerazione preventiva.
In questo caso, un’opzione sarebbe quella di accelerare i tempi del processo, con il rischio però di dover accettare una condanna molto alta: a Salis – che si dichiara non colpevole – era stato offerto un patteggiamento a 11 anni di carcere, che è stato rifiutato. Un’altra possibilità, che secondo vari giornali sarebbe stata avanzata anche dal ministro degli Esteri Antonio Tajani e dal sottosegretario alla Giustizia Andrea Ostellari, sarebbe quella di ottenere i domiciliari in Ungheria e poi chiedere il trasferimento in Italia. Al momento però non ci sono conferme.
Venerdì Ignazio La Russa, esponente di Fratelli d’Italia e presidente del Senato, ha parlato con Roberto Salis, il padre di Ilaria Salis. Tra le altre cose ha proposto che sconti i domiciliari non in Italia ma presso l’ambasciata italiana in Ungheria: «Ci può essere per esempio la disponibilità del luogo in Ungheria, in attesa di un’eventuale richiesta in Italia, e potrebbe essere l’ambasciata», ha detto. Secondo il Corriere della Sera sarebbe però una possibilità poco concreta, perché il territorio dell’ambasciata è comunque considerato italiano, quindi a livello di giurisdizione non sarebbe molto differente da un’effettiva permanenza in Italia.
Ilaria Salis: due attacchi a tre neonazi, ma soltanto ferite leggere
Mario Di Vito per Il Manifesto
Sono quattordici le pagine con cui il sostituto procuratore capo di Budapest Attila Jakubàsz ricostruisce gli scontri tra antifascisti e neonazisti avvenuti tra il 9 e l’11 febbraio del 2023, il periodo del Giorno dell’onore, quando la capitale ungherese si popola di nostalgici hitleriani che celebrano clandestinamente le azioni militari delle SS contro l’Armata rossa. Ilaria Salis è stata presa in custodia alle 16 e 25 di sabato 11 febbraio insieme a due cittadini tedeschi, Tobias Edelhoff e Anna Christina Mehwald. Inseguiti dalla polizia, i tre sono saliti su un taxi in piazza Ferenk Deak, nella zona centrale di Pest, e hanno fatto appena in tempo ad arrivare fino al poco distante viale Teréz prima di essere presi. Tre giorni dopo, martedì 14 febbraio, Salis, Edelhoff e Mehwald sono stati ufficialmente dichiarati in stato di arresto.
PER L’ITALIANA, accusata di associazione a delinquere e di lesioni potenzialmente mortali in relazione a due episodi distinti, la procura ha proposto 11 anni di reclusione nel caso in cui, in sede di udienza preliminare, si fosse dichiarata colpevole. Lei invece, davanti al giudice, si è detta innocente per entrambe le accuse. Il suo processo è cominciato lunedì scorso e riprenderà il prossimo 24 maggio con l’audizione di alcuni testimoni. Nelle carte degli investigatori i due episodi contestati a Salis non sembrano però «potenzialmente letali»: nel primo caso la vittima ha riportato lesioni agli occhi e alle costole guarite rispettivamente in 6-7 e 8 giorni; nel secondo, con due vittime, una ha subito ferite prive di prognosi e l’altra invece lesioni alla testa guarite in 8 giorni e al gomito guarite in 5-6 giorni. Il procuratore, tenendo conto degli strumenti utilizzati per le aggressioni (bastoni telescopici e martelli di gomma), parla di «realistica possibilità di lesioni gravi e pericolose». Da qui la gravità del reato contestato.
IL PRIMO episodio che vede coinvolta Ilaria Salis è avvenuto alle 12 e 25 di domenica 10 febbraio: un uomo, Zoltàn T., militante di una formazione neonazista, è stato aggredito da 11 persone mentre dall’ufficio postale andava al lavoro, in piazza Gazdagredi. Zoltàn T. prima è stato colpito in testa con un bastone telescopico e poi, nel tentativo di scappare, è inciampato e, a terra, è stato circondato e colpito «almeno 13 volte» in varie parti del corpo, per «tre volte» è stato «pugnalato al busto con una penna» e per finire gli è stato spruzzato dello spray al peperoncino addosso. In totale l’azione è durata lo spazio di 30 secondi. Le prove prodotte dalla polizia sono nelle registrazioni delle telecamere pubbliche di sicurezza (in cui gli aggressori appaiono tutti a volto coperto), nel riconoscimento di un giubbotto indossato proprio da Salis e nella testimonianza della stessa vittima.
A MEZZANOTTE E 16 minuti del giorno successivo, in viale Milkò sei persone hanno aggredito due neonazisti tedeschi, Sabine B. e Robert F., mentre stavano rientrando nell’appartamento che avevano preso in affitto. Gli investigatori definiscono i colpi inferti dagli aggressori come «di media forza». Anche in questo caso, il tempo dell’azione è di circa 30 secondi. Le prove risiedono nelle testimonianze delle vittime e nelle riprese delle telecamere di sicurezza del tram preso dagli assalitori mentre stavano pedinando le vittime. Queste sono le uniche due circostanze per cui Ilaria Salis è sotto processo a Budapest.
C’È POI L’ASSOCIAZIONE a delinquere. Secondo quanto ricostruito dalla procura della capitale ungherese, la donna sarebbe stata chiamata a far parte di un gruppo antifascista tedesco che l’avrebbe convocata a Budapest insieme ad altri «in quanto partecipanti a movimenti anarchici in Italia». L’organizzazione, anonima ma chiamata Hammerbande dai giornali, sarebbe nata nel 2017 a Lipsia su impulso di Lina Engel e Johann Guntermann (attualmente latitante). Engel è stata arrestata in Germania il 5 novembre del 2020. La giustizia tedesca ritiene il suo gruppo responsabile di cinque azioni contro militanti di estrema destra avvenute tra il 2018 e il 2020 in Sassonia e in Turingia: due di queste vennero effettuate contro il noto neonazista Leon Ringl, prima in un pub di Eisenach e poi, poche settimane dopo, nella stessa città, mentre era da solo nei pressi di casa sua. Il terzo fatto contestato riguarda l’esplosione, senza vittime né feriti, di una bomba carta davanti al locale di Eisenach. Infine abbiamo il pestaggio di Tobias N. a Lipsia e una rissa con i neonazisti a Dresda durante una commemorazione delle vittime del bombardamento alleato della Seconda guerra mondiale.
IL PROCESSO A LINA ENGEL, molto seguito in Germania, è finito il 31 maggio scorso a Dresda. Il giudice, Hans Schlüter-Staats, nel leggere il verdetto ha spiegato che «opporsi agli estremisti di destra è un motivo rispettabile» e che ci sono state «deplorevoli carenze» nelle indagini e nei processi contro i neonazisti. Nonostante questo, Engel ha «commesso dei crimini» e, visto che «il monopolio dell’uso legittimo della forza appartiene allo stato e non ai privati», è stata condannata a cinque anni e tre mesi. Subito dopo la sentenza, l’imputata è stata rilasciata in attesa dell’appello.
Ilaria Salis, l’ex-compagna di cella: “Cimici ovunque e legate come cani. Governo Orban mente” (Video)
Carmen Giorgio, originaria di Terno D’Isola in provincia di Bergamo, è stata per tre mesi compagna di cella di Ilaria Salis. “Ilaria si è raccomandata che una volta in Italia avrei dovuto raccontare cosa abbiamo subito. Ed è quello che sto facendo. Lei ha aiutato me, adesso io aiuto lei”. Durante la detenzione ha raccolto i suoi pensieri in due manoscritti e in alcuni disegni, che in un certo modo fotografano le celle ungheresi del carcere di Budapest. “C’erano cimici ovunque, il salame che ci davano sembrava cibo per cani, a chi non poteva comprare assorbenti per il ciclo davano dell’ovatta e, talvolta, ci costringevano a scegliere fra l’ora d’aria e la doccia”. La sua testimonianza è impietosa, così come il ricordo delle guardie penitenziarie: “Erano molto dure, ti urlavano dietro e – dice – una volta ho visto rientrare in stanza una ragazza evidentemente contusa”. Su Ilaria Salis, che le ha donato un paio di scarpe, Carmen Giorgio non ha dubbi: “Non ce la vedo proprio col manganello in mano. Studiava sempre in carcere, è una persona buona”. La donna, detenuta per una controversa vicenda di traffico d’esseri umani, racconta di essere stata legata in maniera analoga a Salis “così come tutte le detenute del carcere” e smentisce il governo di Budapest: “Io c’ero, io ho visto. Inutile che dicano il contrario”. Di Andrea Lattanzi
da Il Manifesto
La Lega tifa catene. Macchina del fango contro Ilaria Salis
Non basta la detenzione in un carcere terrificante. Non bastano nemmeno le catene e il guinzaglio con cui è stata portata in carcere. Per Ilaria Salis c’è anche la pena accessoria della macchina del fango della Lega, che ha scagliato contro la 39enne maestra elementare un’accusa clamorosamente falsa. Tutto è cominciato nella mattinata di ieri, con una nota in cui il Carroccio: «Il 18 febbraio 2017, a Monza, un gazebo della Lega veniva assaltato da decine di violenti dei centri sociali, e le due ragazze presenti attaccate con insulti e sputi da un nutrito gruppo di facinorosi. Per quei fatti Ilaria Salis è finita a processo, riconosciuta dalle militanti della Lega». Finita a processo sì, ma assoluta pure. Lo spiega bene il suo avvocato, Eugenio Losco. «Ilaria è stata assolta per non aver commesso il fatto e non è stata affatto individuata dalle due militanti della Lega ma solo individuata come partecipante al corteo che si svolgeva quel giorno a Monza da un video prodotto in atti – ha detto -. Il giudice nella sentenza ha specificato che risulta aver partecipato solo al corteo senza in alcun modo aver partecipato all’azione delittuosa di altre persone né di aver in qualche modo incoraggiato o supportato altri a farlo».
FU LA STESSA procura di Monza a chiedere l’assoluzione e il giudice nelle sue motivazioni arrivò a scrivere che Ilaria Salis mise «il braccio dietro la schiena ad un giovane che aveva appena buttato a terra la bandiera leghista, come ad invitarlo a proseguire nel corteo». Insomma, non solo non aveva assaltato alcun gazebo, ma si era anche adoperata perché non lo facessero nemmeno gli altri.Dalle parti della Lega, com’è noto ormai a chiunque, è prassi consueta prescindere dalla veridicità dei fatti e, infatti, nonostante la secca e circostanziata smentita, non è arrivata nemmeno mezza parola di scuse per l’illazione. Anzi, Matteo Salvini ha pure rilanciato: «Vi pare normale che una maestra elementare vada in giro per l’Europa – e adesso scopro anche in Italia – a picchiare e sputare alla gente? Io sono preoccupato che bambini di 6-7 anni stiano con un individuo del genere. Io non credo che possa lavorare come maestra». La risposta di Elly Schlein a questa uscita appare quantomai opportuna: «Salvini mette altre catene ai polsi e alle caviglie di Ilaria Salis, lo fa con una forte nostalgia del medioevo e richiamando delle accuse da cui è già stata assolta e con l’ipocrisia e il paternalismo di un ministro accusato di sequestro di persona». L’offensiva della Lega, comunque, ha carattere strumentale: viste le difficoltà nei sondaggi e le elezioni europee alle porte, il partito di Salvini sta disperatamente cercando di rosicchiare consensi andando a stimolare gli umori più turpi della destra. Sui social, del resto, è tutto un pullulare di utenti che ritengono del tutto normale quello che sta passando Ilaria Salis in Ungheria, dove rischia una condanna di almeno 11 anni perché accusata di aver aggredito, insieme ad altri, tre neonazisti in due circostanze diverse. Le vittime, scrive la procura di Budapest nel capo d’accusa hanno riportato tutte lesioni guarite in una settimana al massimo. Oltre allo scandaloso spettacolo delle catene e del guinzaglio, ciò che colpisce di tutta questa vicenda è la colossale sproporzione tra i fatti contestati e l’entità della pena prospettata.
INTANTO, A Budapest, ieri mattina Roberto Salis ha fatto visita a sua figlia in carcere e, all’uscita, si è detto «moderatamente ottimista» per il futuro. «Ilaria è ancora entusiasta per aver visto i suoi amici e qualche buon segnale sta arrivando anche dal carcere dove le sue condizioni sono migliorate», ha raccontato. La situazione, ad ogni modo, resta molto delicata: la strada per il ritorno in Italia è complicata da percorrere (lo ha spiegato nuovamente Tajani: «È impossibile perché lei non ha commesso reati in Italia, ma può essere espulsa dall’Ungheria in caso di condanna»), ma i tanti interventi degli ultimi giorni e anche la telefonata Meloni e Orbàn segnalano quantomeno un certo interessamento alla situazione. Se non si fossero accesi i riflettori dell’opinione pubblica è chiaro che Ilaria Salis avrebbe rischiato di scomparire in un buco nero come in tanti altri casi è accaduto. Il Garante nazionale dei detenuti, poi, ha avviato «un’interlocuzione formale» con il proprio parigrado ungherese e, allo stesso tempo, ha attivato alcune procedure di tutela anche al Comitato prevenzione tortura del Consiglio d’Europa. Il caso arriverà lunedì pomeriggi anche a Strasburgo, dove alla plenaria dell’Eurocamera si dovrebbe tenere un dibattito.
ZOLTAN KOVACS, il portavoce di Orbàn, in serata è andato all’attacco su X: «I reati in questione sono gravi, sia in Ungheria che a livello internazionale. Le misure adottate nel procedimento sono previste dalla legge e adeguate alla gravità dell’accusa del reato commesso. La credibilità di Ilaria Salis è altamente discutibile». Kovacs ha attaccato anche György Magyar, uno degli avvocati ungheresi dell’italiana. La sua colpa? «È dichiaratamente di sinistra».
ILARIA SALIS: LA VERSIONE UNGHERESE
Le dichiarazioni del Segretario di Stato ZOLTÁN KOVÁCS
I media di sinistra e i gruppi per i diritti umani hanno lanciato un attacco orchestrato contro l’Ungheria sul caso di tre cittadini stranieri accusati di aggressione organizzata di presunti simpatizzanti dell’estrema destra. Ecco i fatti che dovreste conoscere prima di saltare a conclusioni premature.
Tra il 9 e l’11 febbraio 2023, a Budapest si sono verificate cinque aggressioni in occasione dell’evento “Giorno dell’onore”, durante il quale un gruppo di uomini e donne ha attaccato alle spalle i passanti e li ha brutalmente aggrediti con vari oggetti. Tra le vittime vi erano cittadini ungheresi e stranieri. Delle nove persone aggredite, quattro hanno riportato ferite gravi e cinque ferite leggere, ma diversi attacchi potevano potenzialmente causare lesioni mortali.
Il 31 ottobre 2023, tre sospetti sono stati incriminati dall’Ufficio del Procuratore Capo di Budapest in relazione ad attacchi a Budapest motivati dall’ideologia estremista.
Ilaria Salis è stata accusata dei seguenti reati, secondo i paragrafi (1) e (8) della Sezione 164 del Codice Penale, commessi in qualità di membro di un’organizzazione criminale, come definito al punto 1 del paragrafo (1), Sezione 459 del Codice Penale:
Tentate lesioni personali che mettono in pericolo la vita, due capi d’accusa come complice e uno come complice prima del fatto.
(con lei) Tobias Edelhoff e Anna Christina Mehwald, per due capi d’accusa di partecipazione a un’organizzazione criminale, ai sensi del paragrafo (1) della sezione 321 del Codice penale. (Edelhoff si è dichiarato colpevole ed è stato condannato a 3 anni di carcere).
Il 29 gennaio 2024, durante il primo processo, Ilaria Salis è stata condotta in aula con la forza. I media di sinistra e le organizzazioni per i diritti umani hanno immediatamente perso la testa. Ilaria Salis deve essere stata tenuta in “condizioni disumane” che “vanno contro i diritti umani”, hanno dichiarato i commentatori di sinistra, marciando sulla vicenda.
Certo, è stata trattenuta in aula e sì, aveva già trascorso 11 mesi di detenzione. Ma “disumana”? Non proprio, no. Presa sul serio per la gravità del reato di cui è accusata? È più probabile.
(Tra l’altro, è più che sospetto che l’avvocato di Salis sia György Magyar, un avvocato apertamente di sinistra, coinvolto nell’organizzazione delle primarie della sinistra e che in passato ha guidato l’offensiva contro i tribunali in quello che è diventato noto come lo scandalo del “business carcerario”).
Ecco alcuni fatti sul caso di Salis e sulla sua detenzione di 11 mesi che dovreste conoscere prima di essere vittime di questo attacco orchestrato dalla sinistra e volto a distruggere le buone relazioni politiche Ungheria-Italia:
- I reati in questione sono gravi, sia in Ungheria che a livello internazionale. Le misure adottate nel procedimento sono previste dalla legge e adeguate alla gravità dell’accusa e del reato commesso.
- La credibilità di Ilaria Salis è molto discutibile, come dimostrato, tra l’altro, dalle false dichiarazioni che ha fatto sulla sua istruzione, sul suo stato di famiglia e sulle sue relazioni personali, che si sono poi rivelate false.
- Subito dopo il suo ingresso nel centro di detenzione, è stato registrato nei suoi dati personali che la sua istruzione non era andata oltre l’ottava classe della scuola primaria. Secondo quanto dichiarato durante il colloquio iniziale, invece, aveva conseguito una laurea magistrale in Lettere antiche presso l’Università di Milano ed era stata insegnante di scuola secondaria in Italia.
- Durante questo primo colloqui ha dichiarato di essere single, di non avere un partner, di non avere figli e di vivere da sola in un appartamento in Italia. Il 6 novembre 2023, tuttavia, il suo partner è stato registrato come persona di contatto. Il 17 gennaio 2024 ha incontrato il suo compagno nell’ambito di una visita di gruppo.
Le affermazioni fatte dai media italiani – e poi ungheresi – sulla detenuta straniera sono false; sono semplicemente menzogne e sono respinte con forza dal Servizio penitenziario ungherese.
Le condizioni di detenzione dell’indagato sono conformi a tutti gli standard dell’UE, sia in termini di salute che di assistenza fornita. In Ungheria, la legislazione in materia e i vari protocolli professionali prevedono norme rigorose per regolare le condizioni di detenzione, che vengono regolarmente monitorate dall’Ufficio del Procuratore – l’organo responsabile del controllo del rispetto della legge – e dal Commissario per i diritti fondamentali. I detenuti che ritengono che i loro diritti siano stati violati in qualche modo possono presentare un reclamo o una denuncia.
Nelle carceri ungheresi, i detenuti ricevono tre pasti al giorno, che soddisfano i requisiti di una dieta sana. Negli istituti penitenziari vengono effettuati continui controlli igienici e i detenuti ricevono un’adeguata assistenza medica.
L’affermazione della presenza di ratti è falsa e gli istituti penitenziari rispettano elevati standard igienici. Ciò è confermato dal fatto che, nonostante questi istituti siano comunità chiuse, durante la pandemia di Covid non si sono sviluppati focolai della malattia nelle carceri ungheresi.
Il trattamento negli istituti penitenziari è conforme alla legge e il servizio penitenziario svolge le proprie attività professionali nel rispetto della dignità umana. In caso di cattiva condotta o di violazione delle norme, sia da parte di un detenuto che di una guardia, i direttori delle carceri prenderanno senza eccezioni le misure necessarie.
Dopo l’ammissione, i cittadini stranieri ricevono un regolamento interno scritto nella loro lingua, in modo che possano familiarizzare con le regole dell’istituto nel modo più rapido e corretto possibile.
Il personale del carcere comunica quotidianamente con i detenuti stranieri in inglese e tedesco, ma per le questioni ufficiali si ricorre sempre a interpreti che parlano correntemente la lingua madre del detenuto.
I contatti con i genitori erano regolari e ordinati. In cinque giorni tra l’ottobre 2023 e il 17 gennaio 2024, la detenuta è stata visitata dai suoi familiari e dal suo avvocato per un totale di sette volte. La detenuta è stata visitata due volte anche da un funzionario consolare.
Tra il marzo 2023 e il 30 gennaio 2024, la donna ha effettuato un totale di 323 telefonate, di cui due su telefono fisso e 321 su cellulare. Tra il febbraio 2023 e il 26 gennaio 2024, le è stato concesso il permesso di effettuare un totale di tredici videochiamate monitorate, di cui tre non hanno avuto luogo e dieci sono state completate.