“Il vizio assurdo” – Lajolo e Pavese

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Enrica Bocchio
Fonte: Rai Cultura & Letteratura

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Restiamo in tema, visto che è oggi ricorre il genetliaco di Davide Lajolo, che con Pavese c’entra, eccome se c’entra!.
Lo scrittore langarolo amico (?) di Cesare Pavese ne scrisse una storia di grande successo, tradotta in più lingue, “Il vizio assurdo”
Ecco cosa dice Lajolo: “Lunedì mattino 28 agosto, ricevetti a Vinchio un espresso. Riconobbi subito la calligrafia di Pavese, ero sicuro che mi avrebbe comunicato il giorno nel quale sarebbe arrivato come mi aveva promesso. Ma non ebbi il tempo di aprirlo, perchè sulla “Stampa Sera” quello stesso lunedì mattino vidi la sua fotografia e la notizia. (della morte)
L’espresso che mi aveva indirizzato, datato Torino, 25 agosto sera, si chiudeva così:
“Visto che dei miei amori si parla dalle Alpi a Capo Passero, ti dirò soltanto che, come Cortez, mi sono bruciato dietro le navi. Non so se troverò il tesoro di Montezuma, ma so che nell’altipiano di Tenochtitlàn si fanno sacrifici umani. Da molti anni non pensavo più a queste cose, scrivevo. Ora non scriverò più. Con la stessa testardaggine, con la stessa stoica volontà delle Langhe, farò il mio viaggio nel regno dei morti. Se vuoi sapere chi sono adesso, rileggi La belva nei Dialoghi con Leucò: come sempre avevo previsto tutto cinque anni fa. Meno parlerai di questa faccenda con “gente” più te ne sarò grato: Ma lo potrò ancora? Sai tu cosa dovrai fare. Come sempre tuo Cesare ”
Davide Lajolo, Pavese, Rizzoli editore, 1984, pg 284 – 285

Facciamo un passo indietro: Pavese nell’ultimo periodo aveva bruciato ciò che non voleva cadesse sotto gli occhi di estranei, riordinato le sue carte e rinchiuso a chiave in un baule quelle che invece meritavano la conservazione, ma attenzione: solo due amici di cui fece il nome alla sorella, avrebbero potuto accedervi. Il baule rimase chiuso per 10 anni, poi Lajolo (che non era uno dei due) andò più volte a trovarla nel loro alloggio di via Lamarmora a Torino. Assicurò di voler tener fede all’ultima raccomandazione di Pavese, scritta sul frontespizio dei Dialoghi con Leucò: “Non fate troppi pettegolezzi” ma soprattutto di voler cercare di comprendere fino in fondo la frase dell’ultima lettera scritta dall’amico, aperta troppo tardi .
E alla fine, dopo tante visite, costruite con rispettose domande sulla famiglia, l’infanzia e l’adolescenza, sulle abitudini quotidiane di Cesare, quel benedetto (per Lajolo) baule rimasto perentoriamente chiuso per 10 anni, venne aperto: la grande fortuna di Lajolo fu appunto quella di essere stato il primo a maneggiare carte inedite.

L’emozione di Lajolo fu enorme: gli sembrò di avere la chiave di accesso al Pavese segreto, a quello vero e non a quello dell’autorappresentazione del Diario o delle descrizioni di amici e denigratori. E decise che l’interpretazione più attendibile di Pavese doveva prendere spunto dagli appunti, dalle lettere giovanili, dalle annotazioni per le traduzioni e da alcuni personaggi dei libri, in cui lo scrittore, in forme spesso non esplicite, descriveva parte della sua personalità. Qui trovò anche le risposte che le persone da lui interpellate non avevano voluto dare: la Pivano conservava un ricordo quasi sacrale del suo rapporto con Pavese e non volle incontrarlo, la Pizzardo scrisse un libro sul suo rapporto con Pavese, dove criticò l’immagine che di lei aveva costruito Lajolo; anche Einaudi ne prese le distanze e non pubblicò il libro.

Lajolo: “Ho voluto bene a Pavese e proprio per questo non avrei mai tentato di farlo rivivere attraverso il suo dramma umano e le pagine dei suoi libri. A dieci anni dalla morte – 27 agosto 1950 – ho maturato questa decisione, spinto da due considerazioni: la prima perché troppi hanno scritto di Pavese senza conoscenza né fede; la seconda per una conversazione avuta con lui, nel lontano 1945, che allora mi parve tanto straordinaria e assurda da poterla ricostruire.“
— Davide Lajolo Il “vizio assurdo”, Incipit
(Ultimo aggiornamento 22 Maggio 2020).

-Una conversazione avuta con lui, nel lontano 1945???

-L’originale dell’ultima lettera dell’amico scomparso è andata persa. Come si fa a perdere una simile “ultima lettera”??? Forse più probabilmente inventata, composta da prelievi pavesiani sconnessi, come ha dimostrato il filologo  Tibor Wlassic.



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