Il virus spinge anche a riformulare il pensiero, non solo a salvarsi dal morbo

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti

Siamo in una fase di emergenza nazionale, anzi mondiale, senza precedenti da decenni. Ci chiedono di rarefare la nostra socialità, di stare a casa, di leggere un libro, di cambiare le modalità attuative del nostro tempo libero. È un momento in cui la solidarietà si esprime per molti, paradossalmente, nella distanza, e la prossimità nella lontananza. Va bene tutto, quindi, anche attenuare i toni, anche silenziarsi un po’. È significativo che i filosofi siano momentaneamente scomparsi dalla scena e prevalgano i medici. Tempi di biopolitica, dunque. Eppure, nonostante questo, c’è una tipologia umana per cui sembra non cambiare mai nulla, quella dei sovranisti-nazionalisti. La Meloni evoca scenari da elezioni anticipate e governi di salute pubblica. Salvini fa pronostici sui decessi futuri, come se fossimo in una sala scommesse (a quale scopo, per addebitarne la responsabilità al governo?).

I sovranisti nostrani, per primi quelli di sinistra, parlano di una UE che non esiste, della necessità di uno Stato forte (ma questa parola associata a Stato evoca subito anche l’uomo forte) e chiedono di alzare le barriere non per combattere il virus, ma per isolare la nostra economia e fare debito in libertà, pure se stiamo entrando in un tunnel di crisi mondiale forse peggiore del 2008. C’è un mondo già diviso dal morbo, c’è una rete di relazioni e rapporti già strappata. Vi sembra corretto pensare che questa divisione debba persino accentuarsi? Scavare ancora i confini è saggio? Non mi meraviglio che siano i medici a tenere il banco, e non i filosofi, oggi. Forse il pensiero è in una fase di blocco, forse è il momento di riformulare qualche paradigma e uscire dal saputo e risaputo di questi decenni. Sarà come nel dopoguerra, quando sarà. Ci scrolleremo di dosso qualche idea e altre ne emergeranno. È un insegnamento valido per tutti, noi per primi.

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