di Alfredo Morganti – 31 maggio 2018
In una sempre più lunga campagna elettorale, due o tre mesi diventano paradossalmente un’eternità. Il Salvini sugli scudi di oggi, se continuerà a tirare la corda e fare il furbo, in un prossimo futuro potrebbe scivolare di brutto. Così Di Maio. Sono le leggi del populismo, bellezza. Per le quali il popolo (nella forma di chi risponde ai sondaggi, ma-anche in quella delle pulsioni sociali) ha sempre ragione di principio, ma con l’inconveniente che esso è volubile, impaziente, rabbioso per definizione. In questo catino ribollente di emotività incontrollata i destini politici si giocano in un lampo, ‘nello spazio di un mattino’ come si diceva una volta.
Prendete la parabola Renzi, in quattro-cinque anni ha bruciato tutto, ed è atterrato infine scompostamente su un terreno arido dopo aver sognato il Bengodi. Se pezzi di classe dirigente più esperta sono ancora in sella lo devono anche a una diversa esperienza della politica, meno divampante, meno disposta a concedere corda al populismo e all’antipolitica o al ghiribizzo mediale. Paradossalmente sono più rottamabili le nuove e focose leve, esposte alle burrasche dell’opinione pubblica irascibile e mediatica di questi anni, che le vecchie, la cui cultura politica agevola invece le mediazioni culturali, tenendole alla giusta distanza dalle grida sociali, conferendole la capacità di esprimere una più forte e dilatata autonomia di giudizio.
Una velocità testimoniata proprio dal tourbillon di questi giorni in Quirinale. Ipotesi di governi politici e di governi tecnici si rincorrono a velocità quantiche, spaesando persino i media. Le contraddizioni che vengono alla luce divampano e bruciano in poche ore e ardono tutto, anche il buon senso. La poca genialità spinge, a un certo punto, a riproporre il già proposto, come in una sorta di vizioso circuito psico-mediatico. Onore al Presidente Mattarella, che tiene bordone a questo casino populista. Ma lui appartiene alla classe dirigente più esperta, e dispone degli antidoti giusti verso il bordello politico-sociale che lo circonda e che tenta di tamponare con l’appropriata saggezza.
Certo, i nuovi politici vivono la vita pericolosamente, come su un tavolo da poker. Sfidano, scommettono, ci mettono la faccia, giocano la carta in modo avventato e spesso bluffano sfacciatamente. Non è questo il modo per tenere in rotta un Paese grande come l’Italia, piuttosto è facile che il treno alla fine deragli. Capitemi: non sto facendo l’uomo d’ordine, semmai il contrario. Il cambiamento necessita di progetti e intelligenza. Il casino e l’azzardo lo mortificano. Quando entra in campo l’arrischio giocato al fulmicotone, come in una diretta, come in un reality, o come quando sui mercati finanziari si specula persino sui decimi di secondo, la possibilità di cambiare diventa pressoché nulla. La fretta è davvero pessima consigliera. E si scambia per ‘cambiamento’ il semplice vorticare dell’uguale. Una specie di eterno ritorno dei giorni nostri. Una rivoluzione ma senza rivoluzione. Un orribile mostro. Un deja vu scambiato per nuovo. Spetterebbe alla sinistra rimettere finalmente il mutamento sociale sulle proprie gambe. Certo, ma quale sinistra? Ecco la domanda delle domande.