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Come la mancia da 80 €, il TFR in busta ha effetti nulli sui consumi, non sui voti. Il renzismo: una forma di laurismo di oggi, più truffaldina della precedente
di Aldo Giannuli, 7 ottobre 2014
Con il suo abituale garbo, Renzi ha annunciato che procederà “come un treno” sulla, questione del Tfr in busta paga. In teoria questo dovrebbe servire a rilanciare i consumi, sostenendo la domanda. Intenzione meritoria, ma stanno proprio così le cose? Stando a quel che si dice, i lavoratori che ne facciano richiesta, vedrebbero messi in busta paga circa 100 euro che, diversamente, dovrebbero essere accantonati per il Tfr. Facciamo due conti.
In primo luogo, il lavoratore si troverebbe in busta paga non 100 euro (che andrebbero nella retribuzione lorda) ma la parte che residua dal prelievo fiscale e dai versamenti contributivi. Calcolando una retribuzione media, direi che dei 100 euro 33 andrebbero al fisco, una ventina per i versamenti contributivi e poco meno di 50 in busta paga reale. In secondo luogo, quei 100 euro (circa 1.300 all’anno) farebbero scattare la retribuzione di una parte dei lavoratori all’aliquota superiore, per cui, questo significherebbe un ulteriore taglio di circa l’8-9%. Altri ancora supererebbero la soglia oltre la quale perderebbero il famoso bonus degli 80 euro.
A conti fatti, Renzi riuscirebbe in questo modo a ripagarsi per intero la mancia elettorale degli 80 euro facendo finta di mantenerla. E forse a racimolare qualche altra cosetta, facendo la parte di quello che sta operando per sostenere i redditi da lavoro dipendente. Ed è probabile che una parte degli italioti ci cascherà.
In effetti sarà un muovo spot pubblicitario in vista delle elezioni regionali della primavera prossima che, come per la precedente mancia, avrà effetti praticamente nulli sui consumi. Insomma, il renzismo è una forma di laurismo degli anni duemila, però un po’ più truffaldina della precedente.
Ma da dove vengono questi soldi? Come si sa, le aziende dovrebbero accantonare gradualmente le somme da corrispondere ai lavoratori al momento del loro collocamento a riposo. In realtà questo accade solo in parte e, per il resto, al momento dell’uscita del lavoratore dalla produzione, le aziende provvedono ad integrare la parte mancante con partite di giro. .Tutto si basa sul fatto che i lavoratori non vanno in pensione tutti insieme, per cui, con i versamenti parziali di tutti si copre il fabbisogno di quella parte che va in pensione in quell’anno. Poi ci sono momenti di affollamento, ma in quei casi si provvede stornando da altre voci di bilancio o con prestiti bancari e gli accantonamenti, in buona parte, vengono usati per le partite correnti.
Ora, si impone in questo modo alle aziende di anticipare una quota cospicua di versamenti che va a sommarsi alla pressione della quota annuale dei lavoratori che vanno in pensione. A conti fatti, si tratta di togliere dalla contabilità aziendale una massa di circa 10 miliardi di euro (stando ai conti della Confindustria) di cui circa metà andrebbe allo stato ed agli enti previdenziali. Dal punto di vista dei consumi l’esito sarà nullo e il vantaggio per i lavoratori sarà trascurabile, ma per le aziende si tratta di un prelievo piuttosto pensante ed in un momento in cui già sono sottoposte ad una pressione fiscale irragionevole, a tassi bancari da usura e con uno Stato che continua a non soddisfare i loro crediti.
Quante aziende reggeranno alla prova e quante chiuderanno i battenti? Questo sarà un altro dei capolavori di Renzi che riuscirà a far calare ulteriormente il Pil ed aumentare la disoccupazione.
Magari poi il decreto si modificherà, si provvederà ad attenuare gli effetti fiscali e contributivi, ma per ora la musica che si sente va nella direzione descritta.
Non avrei mai pensato di trovarmi dalla parte della Confindustria. Renzi riesce a fare anche di questi miracoli.