Il sacco di Roma e il partito largo e plurale di sinistra che non c’è

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti

di Alfredo Morganti – 9 maggio 2019

La Capitale sotto attacco. E il partito largo e plurale che ancora non c’è.

A Roma non c’è alcuna rivolta sociale anti rom. Tranquilli. Ci sono tanti problemi, taluni grandissimi, capaci di suscitare disagio se non addirittura risentimento, ma non c’è una popolazione pronta a scendere d’emblée in piazza per avviare una qualche soluzione finale ai danni di etnie o minoranze. Quel che c’è, invece, è un piano di attacco politico, che la destra sta portando avanti con lucidità e determinazione. Come? Aggredendo i punti di minore tenuta sociale, con messaggi di una ruvidezza e di una immediatezza esemplari. Roma non è una città razzista, quindi, ma è una città ‘agita’ dal razzismo politico, sottoposto ai tackle di gruppi organizzati che si muovono sul territorio a caccia di fenditure e faglie su cui fare leva. Pronti ovviamente a offrire la propria azione dimostrativa ai tanti riflettori mediatici puntati sulla scena. Quanto potrà resistere ancora la città? Quanto potrà rintuzzare questa azione avvolgente, che ha preso oggi la forma della manovra anti-rom e domani chissà? Ma, soprattutto, perché un terreno sociale come quello di Roma (ma potrei nominare una qualunque altra grande città) è così fragile e indifeso? Perché si presta a questi colpi che vengono inferti nei punti di maggiore debolezza sociale e urbana?

Non che la destra a Roma non sia mai esistita, tutt’altro. Oggi però manca (non solo qui ovviamente) un tessuto politico organizzato, capace di produrre una resistenza e capace di presidiare il territorio come accadeva nei decenni trascorsi. La città è più indifesa. Dinanzi ai problemi che si aggravano, dinanzi a una tenuta ‘popolare’ sempre più insufficiente, vengono a mancare le associazioni, le organizzazioni, i partiti in special modo, i cui presidi territoriali erano la garanzia di un monitoraggio costante dei problemi aperti e di una lotta e una partecipazione democratica alla loro soluzione. Nell’attuale tessuto urbano slabbrato e senza più presidi, le incursioni dei gruppi di destra affondano davvero il coltello nel burro o quasi. Perché una politica leaderistica non serve? Perché è orizzontale e autoreferenziale, e dunque non sa conficcarsi verticalmente nel corpo sofferente della società. Un corpo sempre più difficile da auscultare, che reagisce negativamente agli stimoli, che sembra sempre più distante da valori di solidarietà, di fratellanza, di cura altrui. È una società trasformata, terremotata, traversata dalla solitudine, incapace di sentimenti, rabbiosa, diversa nelle strutture che la sorreggono. Ma che, per questo, necessita di un lavoro politico adeguato, ineludibile, di prossimità, non solo affidato a post, messaggi, tweet, comparsate tv, odio mediatico.

Forse Zingaretti dovrebbe ripartire da questo dolore, invece di cercare improbabili equilibri. Forse la sinistra dovrebbe pensare più in grande, inquadrando meglio i suoi doveri e la sua base sociale. Forse le città (e Roma per prima) non dovrebbero essere lasciate sole a se stesse. Forse un Ministro dovrebbe fare meno propaganda e prendersi più cura dello sbriciolamento sociale. Forse servirebbe pietà invece di risentimento. Misericordia invece di odio. Forse siamo tutti più soli dinanzi a un futuro davvero complicato. Forse servirebbe un partito largo e plurale invece di tanti minuscoli raggruppamenti raccatta-consensi. Forse ci vorrebbe una classe dirigente più coraggiosa alla prova delle sfide terribili che abbiamo davanti. Forse non basta dire sinistra. Forse nemmeno basta dire ‘democratici’. Forse dopo Berlinguer c’è stato solo il delirio. Forse ripensare l’esperienza del PCI, oggi, sarebbe molto utile al da farsi. Forse c’è una cosa che ancora ci unisce, ed è la nostra cultura politica, che sovrasta e oltrepassa i piccoli confini dei piccoli ceti politici che ci ritroviamo. Forse non amiamo a sufficienza gli altri per prendercene davvero cura. Forse gli ultimi sono troppo distanti per essere inquadrati dai nostri interessi. Forse pensiamo che il popolo abbia sempre ragione, dimenticando che la Costituzione per prima ne limita la sovranità. Forse diciamo troppo spesso cose di destra, pensando che basti pronunciarle per renderle di sinistra, ma non è così. Forse a un partito largo e plurale ispirato alle ragioni del socialismo non abbiamo nemmeno iniziato a pensare. Ma è tardi. E non si fa prima imboccando scorciatoie. Attorno intanto, lo vedete tutti, è un casino vero.

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