Autore originale del testo: Alfredo Morganti
Il tempo stringe. Serve un nuovo soggetto per fare politica e fare cultura, non le chiacchiere da salotto.
Forse bisognerebbe evitare che la crisi del PD ora muti in folklore, oppure in una roba da talk show e opinionisti in carrozza. Rispetto tutti, le sardine e non, ma qui è in gioco qualcosa in più di uno schema comunicativo, e anche qualcosa in più di un’implosione – quella oggi che si rischia al Nazareno. Sarebbe stato bello che Zingaretti avesse dato indicazioni per il congresso, piuttosto che dimettersi, ma va bene così, il segnale c’è stato tutto, il disagio politico è più che palese. Il vero rischio è che il partito adesso si avviti su se stesso, e si offra nudo al gioco dell’informazione e della comunicazione, invece di avviare una poderosa riflessione al suo interno. D’altra parte, se tutto finisse in caciara, se lo sfaldamento diventasse una vera valanga, non si può dire che non fossero stati avvertiti, peraltro già anni or sono.
Diciamolo. Un partito senza anima non può reggere il confronto con un mondo che chiede invece passione e partecipazione, con cittadini che invocano cambiamenti. Che alla fine fossero i fragili equilibri interni a diventare dominanti rispetto alla proiezione esterna, era persino prevedibile. Zingaretti ha provato a rianimare un corpo politico malato, ma non ha retto l’impegno. Eppure si era messa anche bene, con un governo che aveva lavorato adeguatamente e ottenuto una buona popolarità tra i cittadini. Il ribaltone-Draghi, evidentemente, non è stato solo responsabilità di noti e loschi figuri, ma di una debolezza interna alle gambe politiche che reggevano l’esecutivo. La defenestrazione di Conte la dice lunga non solo riguardo al mars attack portato all’esecutivo, ma anche sulla sua debolezza politico-istituzionale e sulla sconfitta epocale subita.
Il PD, in particolare, è un partito ‘scavato’ all’interno da un male oscuro, originario, genetico, cresciuto grazie a uno statuto suicida, a primarie autolesioniste e a modalità congressuali che lo hanno reso attaccabile da agenti esterni desiderosi di prenderne possesso, come poi è stato. Con la crisi del PD va in crisi anche il modello liquido, leggero, cartavelina di partito, e con esso un modo di fare politica puramente ridotto all’accoppiata “caminetto” delle correnti più capibastone locali. Un partito che non fa cultura, che è sdraiato supino sul venticello comunicativo che spira ogni giorno e che vive in una specie di etere astratto, lontano come un drone dalla realtà italiana. Un partito che si affida alle relazioni tra le correnti, alle paci interne, ai patti, agli equilibri, e li tesse con infaticabile attenzione, piuttosto che affrontare spavaldo le grandi contraddizioni di cui il mondo attuale è stracarico.
Dall’esistenza di questo tipo di partito, e dal fatto che fuori di esso vi sia comunque poca massa critica, anche perché militanti, elettori, cittadini di sinistra si sono ritirati da tempo nel bosco oppure hanno fatto altre scelte, da una situazione come questa, a voi, non viene in mente che sia NECESSARIO azzerare tutto e tentare la strada di un partito nuovo, che passi magari per il congresso del PD, ma anche per qualunque altra strada possibile? Mi chiedo, allora, le sardine oggi vanno al Nazareno per questo, per rilanciare la politica, per spingere verso un congresso e un partito nuovo, oppure solo per raccogliere un po’ di visibilità che, alla fin fine, non guasta mai? Io spero per la prima ragione, non la seconda. E, comunque, sapevatelo, il tempo stringe.