Autore originale del testo: Alfredo Morganti
La tenaglia
Il tema, dice Orlando secondo quanto riporta la Stampa, “è capire qual è l’assetto migliore dal punto di vista organizzativo per gestire il Recovery”. Non lo chiamiamo rimpasto? Lo vogliamo chiamare “assetto migliore”? Oppure Pasquale? Il senso non cambia. Il punto, su cui insiste il vice segretario PD, è “che entriamo in una fase molto nuova, impegnativa, diversa da quelle che abbiamo alle nostre spalle e questa domanda [ossia il l’esigenza di un rimpasto-“assetto migliore”-Pasquale, ndr] credo che sia giusto farsela”. Diciamo la verità, dunque. Non c’è solo la destra, non ci sono soltanto Lor Signori e il “mondo delle imprese” (media compresi) ad ambire al gruzzolo europeo.
Le mire sono tante, diffuse, e si collocano anche all’interno della stessa maggioranza, con gente che ambirebbe a sostituire i ministri della fase “Covid” per inaugurare la nuova stagione del “Recovery Fund”. E già che ci siamo, mettere nel piatto del rimpasto anche la segreteria PD, occupandola finalmente con gente rude e massiccia che viene dai territori. Che ci riescano è un altro paio di maniche, che ci stiano provando è comunque certo, e il tentativo esula persino dalle dinamiche elettorali, ma si muove di per sé, per puro magnetismo legato al tesorone dei fondi UE (che esistono comunque e producono acquolina in bocca, sia che vinca il Sì, sia che vinca il No). Questa è allora la battaglia politica da intraprendere per salvare il soldato Conte e il governo che presiede (sempre che lo si voglia salvare). Non altro. Opporsi al rimpasto, scommettere su un governo che ha ben operato e tenere unita la maggioranza.
La tenaglia si completa sul fronte destro, dove si lavora per far saltare la leadership di Salvini. Fate caso a come la vicenda 49 milioni abbia preso un’impennata e il cerchio si stia stringendo attorno al capo. Se la manovra riuscisse, allora prevarrebbe un’ala più moderata, liberale, governista, disposta a dialogare sui soldi europei e, magari, a entrare (o appoggiare) un governo di salute pubblica legato alla fase del Recovery, assieme ai post-berlusconiani. Se da un lato, quindi, andasse a pallino il rimpasto e, dall’altra, prevalesse una destra “pulita” conservatrice ma liberale, e aperta al dialogo, il piano sarebbe realtà. Con l’effetto di tagliare le ali e concentrarsi sull’accordo tra liberali di destra e di sinistra per la destinazione dei fondi UE (Lor Signori compresi). Il “blocco” che ne nascerebbe vedrebbe al suo interno le imprese, finalmente libere di dettare le regole di approvvigionamento pubblico dei loro bilanci.
PS. Se cadrà il governo (o verrà rimpastato) non ci saranno alibi referendari. Si tratterà di giochi più grandi, di voti che saranno mancati, di ricatti politici che prendono corpo, di componenti che si stanno disimpegnando, di mire e ambizioni anche personali. Spero solo che in questo grande bailamme non tocchino Speranza e Gualtieri. E non entrino nell’esecutivo pezzi forti renziani come la Boschi e Marcucci (per dirne alcuni). Sarebbe davvero l’onta finale
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Complicanze
Temo che, coloro che oggi ci ricordano instancabilmente che il voto referendario e il governo sono una cosa sola, domani, quando gli esiti del voto regionale non saranno probabilmente una riscossa democratica, ci diranno che quel voto non riguarda il governo e che, anzi, l’esecutivo deve continuare a lavorare nel supremo interesse della Nazione. Ciò, mentre altri anche appartenenti alla stessa coalizione, profittando proprio del voto regionale (ove fosse dannatamente brutto ma anche meno), inizieranno a rimpastare i ministeri e a farsi largo a Palazzo Chigi. All’opposto (vittoria del No ma tenuta delle sinistre alle regionali), quali sarebbero le ragioni perché il governo si faccia da parte?