Fonte: huffingtonpost
di Marco Follini – 2 maggio 2018
Risulta difficile negare a Renzi il diritto di dire la sua. Da questo punto di vista, lo sconcerto dei suoi avversari nelle file del Pd lascia un po’ perplessi. Tanto più che viene manifestato, con una singolare indignazione, da molti di coloro che hanno fatto per tanto tempo la “ola” ogni volta che il loro (ex?) leader si esibiva tra applausi e consensi.
Oppure invece vuole cercare di offrire un approdo all’elettorato centrista, orfano dei suoi partitini di una volta e ormai anche di quello che resta del Cav. La pretesa che la parola magica del “riformismo” possa conciliare liberaldemocrazia e socialdemocrazia appare infatti piuttosto illusoria -e tanto più alla luce dei numeri non proprio confortanti delle ultime elezioni.
E qui si ritorna a Renzi. Il quale sembra voler stare, armato e parato, a guardia delle macerie che la sua stessa guida ha prodotto. E da un lato accenna a proporsi come leader di una sorta di “partito della nazione” in versione bonsai, e dall’altro è pur sempre il segretario che ha condotto il suo esercito a schierarsi a pieno titolo sotto le bandiere del socialismo europeo.
C’è di più. Il centrismo per sua natura mal sopporta l’uomo solo al comando. E dunque c’è qualcosa di profondamente contraddittorio tra il modello di leadership baldanzosa e un po’ cesaristica che tanto piace a Renzi e la possibilità di sfondare presso ceti sociali e ambienti d’opinione a cui il retaggio democristiano, chiamiamolo così, suggerisce un approccio assai meno personalistico. A ben vedere, è su questi scogli che è naufragata l’epopea di Berlusconi. E tanto più è naufragata, vent’anni dopo, quella di Renzi.
Insomma, ci sono mille ragioni per dare sulla voce all’ex segretario del Pd. Esercizio fin troppo facile, all’indomani della sua sconfitta. Ma temo che il problema del Pd non sia tanto la loquacità del suo ex segretario. Semmai è il silenzio degli altri dirigenti. Pronti adesso a farsi sentire, in una ridda di pronunciamenti un po’ cacofonici. Quando ormai è troppo tardi per farsi ascoltare.
1 commento
A un partito plurale non s’addice il cesarismo o la tirannia della maggioranza.
E ai D’Alema e Renzi mai lo scettro.
Sono i due che hanno affossato il Partito Democratico e la sua vocazione.
Chi dal comando e chi dall’opposizione hanno distrutto la creatura.
Un Partito Democratico, come lo stesso nome definisce, necessita di uomini maturi e consapevoli e non in cerca d’autore.
La combinazione di due insufficienze e il disastro.
Prima del proprio bene e della parte gli interessi del Paese.
Dove?