Il Presidente e lo spartito

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Michele Prospero
Fonte: Il Manifesto

di Michele Prospero – 5 febbraio 2015

Da qual­che tempo nep­pure le dichia­ra­zioni pro­gram­ma­ti­che del pre­si­dente del con­si­glio for­ni­scono delle indi­ca­zioni pun­tuali sugli indirizzi poli­tici della mag­gio­ranza. A mag­gior ragione, non è certo dal volo pano­ra­mico su tutti i grandi pro­blemi che il capo dello Stato fa nel suo atto di inse­dia­mento dinanzi alle camere che si pos­sono rica­vare i carat­teri spe­ci­fici del suo settennato.

A pre­scin­dere da Per­tini, che lasciò una trac­cia sfac­cia­ta­mente di parte nel suo memo­ra­bile esor­dio, ogni pre­si­dente segue il solito reperto­rio della reto­rica qui­ri­na­li­zia, appor­tan­dovi certo dei pecu­liari aggiu­sta­menti dovuti al suo stile ma senza tra­dire uno spar­tito rigido, che si ripete nel tempo.

E Mat­ta­rella ha obbe­dito alla regola clas­sica della reto­rica che impo­neva a un politico-giurista poco noto al grande pub­blico di evi­tare pro­clami solenni, tempi biblici, imma­gini forti e troppo mar­cati affondi. Il pre­si­dente ha pro­spet­tato il ven­ta­glio dei suoi valori di riferimento (spi­rito di comu­nità, resi­stenza, pace, soli­da­rietà, lega­lità, lotta alla cor­ru­zione e alla mafia). Però, su que­sto campo, oltre la nobile testi­mo­nianza morale, il capo dello Stato non può spin­gersi, per­ché è disar­mato nei poteri di intervento.

E’ invece nella let­tura dei gua­sti accu­mu­la­tisi nella con­giun­tura politico-istituzionale, domi­nata da una esten­siva idea dell’emergenza che tutto auto­riz­zava a sospen­dere e ad anni­chi­lire, che il con­tri­buto del Colle potrebbe rive­larsi più inci­sivo. E qual­che accenno all’eccesso di decre­ta­zione, che ha detur­pato il volto del par­la­mento, Mat­ta­rella l’ha fatto, nel qua­dro però di un rico­no­sci­mento del lavoro com­piuto per le neces­sa­rie riforme isti­tu­zio­nali. Ma è pro­prio la meta­fi­sica della riforme strut­tu­rali, come impe­ra­tivo cate­go­rico da per­se­guire a costo di qual­siasi rot­tura for­male e sostan­ziale (dele­ghe, decreti, can­guri, con­ti­nui voti di fidu­cia), ad aver gene­rato ulte­riori scom­pensi nell’ordinamento, che andreb­bero sanati da una nuova poli­tica delle istituzioni.

Con quali cate­go­rie inter­preta Mat­ta­rella que­sto ciclo poli­tico? La sua imma­gine dell’arbitro, che chiede anche ai gio­ca­tori di con­tri­buire ad una par­tita rego­lare, non sem­bra la più ade­guata alla com­pren­sione e quindi alla gestione della fase attuale. Non esi­ste più un bipo­la­ri­smo musco­lare cui porre argini con la mode­ra­zione di un arbi­tro che distri­bui­sce torti e ragioni e frena le intem­pe­ranze di un qual­che lea­der eccen­trico. Anche per que­sto l’invito di Ber­lu­sconi al Qui­ri­nale, in nome dell’agibilità poli­tica del lea­der che va comun­que rico­no­sciuta al di là delle pre­oc­cu­pa­zioni for­mali, sol­leva dei pro­blemi per­ché svela la per­si­stenza ormai mec­ca­nica di timori sorti entro un antico schema bipo­lare che in realtà si è dile­guato da un pezzo.

Nel tempo del par­tito unico della nazione, al capo dello Stato spetta un ruolo ben diverso da quella osses­sione, che fu anche del suo pre­de­ces­sore, di invo­care un per­ma­nente clima di grandi intese rite­nute indi­spen­sa­bili per pla­care i timori destati dalla con­ti­nua simu­la­zione di una guerra civile incom­bente. Forse un qual­che tratto inci­sivo di inclu­sione costi­tu­zio­nale andrebbe riser­vato all’opposizione gril­lina che, a pre­scin­dere dalla scarsa qua­lità del suo ope­rato, rap­pre­senta comun­que la più rile­vante com­po­nente di opi­nione che agi­sce al di fuori del peri­me­tro del par­tito unico della nazione ed è stata nel com­plesso poco tute­lata nelle sue attri­bu­zioni parlamentari.

Il pro­blema nuovo che il capo dello Stato dovrà affron­tare è quello della neces­sità di costruire, se non dei con­tro­po­teri, almeno dei pre­sidi di resi­stenza e con­te­ni­mento rispetto al dogma della velo­cità che sfi­gura le isti­tu­zioni. Non c’è più un par­la­mento che fun­zioni e evo­chi la dignità di un ruolo cru­ciale nella demo­cra­zia rap­pre­sen­ta­tiva. Le camere, così piene di inca­pienti osses­sio­nati dallo spet­tro del ritorno al voto, accet­tano tutto, decreti, dele­ghe, can­guri. E già in 180 hanno cam­biato casacca per­ché attratti dal pro­fumo mat­tu­tino di Renzi, come dichiara uno dei tran­sfu­ghi di Sel. Que­sto par­la­mento di nomi­nati non eser­cita alcuna azione con­flit­tuale con­tro il governo. La durata vale più di ogni altra cosa.

Il capo dello Stato dovrebbe riflet­tere sul carat­tere evo­ca­tivo dei modi della sua ele­zione. Mai nella sto­ria repub­bli­cana il capo del governo (che peral­tro non è un par­la­men­tare, come pure il con­traente del patto asim­me­trico del Naza­reno) ha diretto in maniera così espli­cita i lavori per la desi­gna­zione della più alta carica dello Stato. Anche De Gasperi aveva una sua pre­fe­renza per il conte Sforza ma non riu­scì ad imporlo e venne pre­scelto Einaudi.

La tra­mu­ta­zione della ele­zione del capo dello Stato in una que­stione di governo (con la leg­genda per cui un mini­stro non può non votare per il pre­si­dente che auto­rizza Palazzo Chigi a tra­mu­tarsi in sede di incon­tri di dele­ga­zioni) indica, per chi intenda coglierli, segnali inquie­tanti di sci­vo­la­mento verso forme di pre­mie­rato totale senza argini e con­trolli effi­caci. Per la prima volta il Por­cel­lum (non a caso dichia­rato inco­sti­tu­zio­nale) dispiega in maniera tra­spa­rente i suoi effetti asso­lu­ti­stici. In un par­la­mento di nomi­nati, che spe­rano nella rie­le­zione, e nella destrut­tu­ra­zione delle fun­zioni dell’opposizione (disgre­gata, addor­men­tata), il capo di un par­tito con il 25 per cento può fare ciò che crede.

Men­tre in Ita­lia il con­for­mi­smo dei media rac­conta la sto­riella secondo cui pro­prio con il metodo Qui­ri­nale (quando pro­prio il pirata con­qui­sta il con­trollo della nave, è chiaro che il suo ordine non avrà tra­sgres­sori) sarebbe da cele­brare una bella meta­mor­fosi ormai avve­nuta del ragazzo ambi­zioso di Rignano in uno sta­ti­sta o in un puro ani­male poli­tico come dice Mas­simo Cac­ciari, in Europa le tv ridono di Renzi. E mostrano il pre­mier che arriva in ritardo da Mar­tin Schulz, che aspetta con insof­fe­renza e infa­sti­dito va a pren­dere un caffè. Sem­bra la rie­di­zione della sce­netta di Ber­lu­sconi che si pre­senta in ritardo dalla Mer­kel. E le tv fran­cesi rica­mano pro­prio sulla frat­tura cari­ca­tu­rale tra la sobrietà tede­sca e la improv­vi­sa­zione ita­liana di un capo di governo che inter­rompe la con­ver­sa­zione per fare un sel­fie, sba­di­glia in con­fe­renza stampa, dà segnali di noia e di insof­fe­renza, con il cel­lu­lare sem­pre in mano.

Tra lo stile sobrio di Mat­ta­rella e le smor­fie del royal baby esi­ste un abisso. Non sono affatto com­ple­men­tari i due mondi, come dicono gli adu­la­tori. Sono oppo­sti e lo scon­tro tra le loro due cul­ture delle isti­tu­zioni sarà ine­vi­ta­bile. Nella carenza di oppo­si­zione e nel domi­nio asso­luto, che le alchi­mie del mag­gio­ri­ta­rio in salsa Por­cel­lum prima e ora Ita­li­cum con­se­gnano al pre­mier unto dai gazebo, pro­prio al Qui­ri­nale toc­cherà difen­dere dei pre­ziosi equi­li­bri minac­ciati. Se resterà fedele a quel solido costi­tu­zio­na­li­smo demo­cra­tico, che lo avvi­cina molto alla lim­pida cul­tura isti­tu­zio­nale di Leo­poldo Elia, il nuovo pre­si­dente saprà tenere testa alle sem­pli­fi­ca­zioni del sin­daco d’Italia. Certo è che nella sua opera di custode non dovrà lasciarsi inti­mo­rire dalla ine­vi­ta­bile soli­tu­dine del capo dello Stato fedele alla costi­tu­zione. Il peso della soli­tu­dine lo toc­cherà con mano per­ché que­sto è un cupo tempo di sla­vina costituzionale.

Michele Prospero (Dal Manifesto del 05/02/2015)

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