di Alfredo Morganti – 27 febbraio 2019
Il populismo è come un vortice che sta ingoiando tutto: la divisione in classi e ceti, le istituzioni e la democrazia rappresentativa, il sistema dei partiti, la destra, la sinistra, le visioni intellettuali, la funzione delle élite. Rimane sul tavolo una concezione politica rozza e schematica, ridotta a un leader che si appella direttamente al popolo, che non è più quello della Costituzione che ne limita la sovranità, ma una folla rigonfia di impulsi e rabbia, dove non sai più chi sia lo sfruttato e chi lo sfruttatore, chi sia il povero e chi invece il padroncino. Oggi il populismo di destra e quello di sinistra si mischiano e si sovrappongono, e diventano quasi indistinguibili. Perché la differenza la fa la collocazione parlamentare, il sistema dei partiti dove si rappresentano le tendenze politiche, la partecipazione organizzata, il lavoro culturale, la dialettica tra le classi. E tutto questo non c’è più o quasi, anche perché ci si muove in una direzione ostinata e contraria a quella indicata dalla democrazia dei partiti e delle istituzioni rappresentative.
Uomini di destra e uomini di sinistra sono unanimi nel dire che a fondo di tutto c’è il disastro sociale e la fine del ceto medio. Nessuna spiega che lo stato della società non denota di per sé una necessaria fuoriuscita in direzione populista. La politica non si fa invocando le leggi della fisica e il determinismo sociale, non è un meccanismo tecnico, né economicistico. La direzione politica è una direzione appunto, è volontà, è progetto, non un rapporto di causa-effetto da assumere di per sé. Sono le ideologie a indurci a credere che un fatto storico sia naturale e incontrovertibile. In realtà, una fetta consistente del ceto politico sta dirigendo consapevolmente verso una semplificazione delle articolazioni culturali tale che presto saremmo tutti più poveri di strumenti analitici e di esperienze interpretative. Ma, soprattutto, saremo più poveri di differenze, prima tra tutte quella tra destra e sinistra, la cui cancellazione, si sa, è un obiettivo storico della destra.
Io dico che se la crisi morde, se le disuguaglianze crescono, se la rabbia sociale esplode, la soluzione non è quella di gettare benzina sul fuoco solo perché sembra vantaggioso politicamente, come farebbe un fascista qualsiasi, ma trovare soluzioni che ripristinino le condizioni necessarie a ridare corpo alla democrazia e alla sua crisi. Solo regolando il conflitto se ne può trarre un vero vantaggio: il conflitto lasciato a se stesso e alimentato ad arte da un Capo Mediatico presto va fuori controllo e invoca, di per sé, soluzioni finali o autoritarie. Non c’è scampo. Se la sinistra vuol fare la sinistra, e non cantarne il de profundis in coro con la destra, lavori a ripristinare la cornice democratica e istituzionale necessaria a rendere produttivo il conflitto sociale. Crei le condizioni di un cambiamento democratico. Non resti impaludata nella crisi, non la coccoli, non la renda un mostro ingovernabile. Finché siamo stati alla testa del movimento democratico, l’Italia ha dato prova di grande forza politica. Ridotti a cavalcare l’onda populista, invece, diventeremmo presto i primi responsabili del disastro annunciato.