Fonte: Il Fatto Quotidiano
Il popolo di sinistra è disorientato e molti non sanno cosa votare alle prossime elezioni. Un terzo degli elettori che votarono Pd alle Europee del 2019, oggi non lo rivoterebbe. Questo partito si è spostato al centro e in modo così maldestro proprio mentre l’elettorato si andava polarizzando a destra e a sinistra.
Al Pd si rimprovera il consenso esageratamente incondizionato a Draghi, la carenza di un modello di società decisamente mirato alla riduzione delle disuguaglianze, la mancanza di radicalità nella conduzione delle sue battaglie, l’eccessiva inclinazione al compromesso, la disponibilità ad accogliere voti provenienti da elettori aderenti a qualunque ideologia. Basti pensare che solo il 24% di coloro che dichiarano di votare questo partito si autodefinisce “di sinistra”.
Per il solo fatto di essersi rincantucciati nel Pd, “La Sinistra” e “Articolo 1” hanno perso la nettezza dei loro connotati politici. Del resto, Calenda ha esibito un vero ribrezzo di fronte all’eventualità di accompagnarsi a Fratoianni mentre Fratoianni non ha battuto ciglio di fronte all’eventualità di procedere in simbiosi con Calenda.
Alcuni ex elettori del Pd sono tentati di astenersi dal voto; molti stanno pensando di passare ai 5Stelle, ormai collocato più a sinistra. Certo è che nelle ultime settimane i consensi al Movimento sono cresciuti e molto probabilmente continueranno a crescere. Per questo successo, Conte deve essere grato oltre che a se stesso e alla sua squadra, anche a Di Maio, alle politiche economiche neo liberiste e a Enrico Letta.
Luigi Di Maio, uscendo dal Movimento, portando con sé la zavorra di una sessantina di dissidenti e trattando sguaiatamente quei 5Stelle di cui è stato leader, ha spianato la strada al primato ora indiscusso di Conte. La politica economica neoliberista ha gonfiato, portandola a 14 milioni, la massa di poveri assoluti e relativi che Conte ha avuto la sensibilità politica di considerare come proprio elettorato prioritario. Letta ha fornito a Conte un duplice aiuto: spostando il Pd sempre più al centro, ha consentito al Movimento 5 Stelle di accreditarsi come unico partito difensore di quella massa e, dunque, collocato a sinistra; poi, escludendolo senza appello dal “patto largo”, gli ha evitato l’adesione all’ammucchiata raccolta intorno alla fantomatica agenda e all’incombente figura di Draghi.
Secondo Ipsos, coloro che definiscono la propria condizione economica come alta o medio-alta sono circa il 25% di quelli che voterebbero Pd (contro il 10% dell’elettorato 5Stelle); il 28% degli elettori Pd è laureato (contro il 10% dei 5Stelle); il 19% è composto da imprenditori, liberi professionisti e dirigenti (contro l’8% dei 5Stelle); il 12% è composto da operai (contro il 20% dei 5Stelle). Semplificando al massimo, potremmo dire che l’elettorato del Pd è prevalentemente borghese mentre quello dei 5Stelle è prevalentemente proletario; il Pd è un partito che si sente e si dice di sinistra senza esserlo, mentre i 5Stelle sono oggettivamente a sinistra, ma non si sentono tali e si guardano bene dal dirlo.
La contrapposizione frontale alla Meloni, che Letta porta avanti con l’appello al voto utile e l’esclusione di Fratelli d’Italia dall’arco democratico, sta restituendo senso e vigore alle categorie di “destra” e di “sinistra”. La questione fu discussa vivacemente una quarantina d’anni fa in convegni e saggi a cui contribuirono studiosi come Norberto Bobbio, Massimo Cacciari, Paolo Flores d’Arcais, Marco Revelli e Marcello Veneziani.
Nella misura in cui alla sinistra viene tuttora attribuita come obiettivo primario, come “stella polare”, il perseguimento dell’uguaglianza, sarebbe assurdo che la sinistra perdesse mordente proprio quando il neoliberismo spinge al massimo le disuguaglianze. Tanto più che l’eventuale vittoria della destra contribuisce a rendere più conflittuali i rapporti e a riportare la politica in primo piano rispetto all’economia.
Oggi più che mai è chiaro che destra e sinistra non sono concetti complementari, ma antitetici: o si è da una parte o dall’altra. La nuova guerra fredda, provocata dalla guerra calda in Ucraina, rafforza questa dicotomia. L’identikit di chi si colloca “a sinistra” è ben delineato: egli considera come punto di riferimento sempre e solo la parte oppressa della società; si batte in modo radicale per l’uguaglianza, la socialdemocrazia e lo Stato, contro i privilegi e la precarizzazione provocati dal neoliberismo; vive la storia come sviluppo e opportunità; lotta per i beni comuni, il welfare, il reddito di cittadinanza, il salario minimo, la riduzione dell’orario di lavoro, la salvezza del pianeta, la qualità del lavoro, del tempo libero e della vita.
È solo su questa base che il popolo di sinistra può uscire dal disorientamento. E ha pochi giorni per farlo.