IL POPOLO CHE MANCA – DI NUTO REVELLI – ed. EINAUDI
da www.einaudi.it
In un’inedita narrazione corale Il popolo che manca riunisce in un nuovo montaggio le testimonianze piú suggestive della antica vita agropastorale raccolte da Nuto Revelli. Sono racconti stranianti che ricostruiscono il mondo del lavoro, la medicina popolare, il gioco d’azzardo, il regime alimentare, il parto e le pratiche matrimoniali consegnandoci, insieme, un universo di valori e convinzioni etiche popolato non meno di visioni ultraterrene, sacre e profane. A presentarceli è Antonella Tarpino, curatrice del volume, nell’introduzione che regaliamo ai nostri lettori.
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È possibile che da due classici del catalogo Einaudi come Il mondo dei vinti e L’anello forte di Nuto Revelli si generi (pur con il concorso di numerosi testi mai pubblicati) un volume a sé stante? Non una raccolta antologica, insomma, né un testo di sintesi, ma un’opera che suona, alla fine di un complesso rimontaggio, come un «inedito»?
Forse. Se sí, è certamente perché quelle storie vere e insieme piú fantastiche di un romanzo (per rubare le parole a Mario Rigoni Stern) riescono a prendere le distanze anche da se stesse, e dalle rispettive biografie, per confluire grazie alla loro forza – antropologica e letteraria insieme – in un coro potente che testimonia di un’imminente tragica fine. Fine del mondo, quello della montagna povera e della campagna cuneese negli anni del boom, ma che è anche di tanto Veneto, Lombardia, Abruzzo…
Non mi nascondo però quanto i testi di Nuto Revelli, rimontati, come si è scelto, per temi (il lavoro, l’alimentazione, la guerra, la magia…), pur senza aggiungere una sola parola ex novo siano risultati, a lavoro ultimato, sovvertiti nell’impianto.
Certo la dimensione biografica delle testimonianze che presiede l’intero ciclo della Spoon River contadina di Nuto Revelli, come l’ha definita Corrado Stajano, qui è stata volutamente revocata. Cosí come la stessa griglia spaziale in cui trovavano ordine i racconti (Montagna, Collina, Pianura) è stata azzerata.
Ciò che è balzato invece in primo piano, a uno sguardo ancor piú distante su quel mondo (forte e insieme vinto), è la sintassi profonda, l’insieme di codici e convenzioni capaci di orientare una cultura arcaica e tenace insieme: maestra di sopravvivenza nelle condizioni estreme della vita. «Cultura», Revelli insiste su quella parola in un’intervista a Lorenzo Mondo, «voleva dire far camminare con quaranta gradi sotto zero un mulo che trascinava una slitta», quella dei suoi soldati montanari sul Don, «e il mulo sembrava di gesso tanto era bianco e incrostato di ghiaccio». «Cultura voleva dire, – continua, – buttar via le scarpe di cartone che stringevano i piedi come morse e portavano al congelamento» fasciandoli «con delle strisce di coperte, con la paglia strappata ai tetti delle isbe».
Le storie raccolte da Nuto Revelli nei lunghi anni della ricerca danno forma a un unico grande racconto, ancor piú evidente forse nei frammenti spezzati de Il popolo che manca. Invisibili ma cruciali nel mettere in comunicazione i mondi non contigui di chi osserva e di chi è osservato (quasi una favola antropologica) sono le figure dei mediatori: coloro che fanno da tramite fra Revelli e la rete via via piú estesa dei testimoni. I piú autentici testimoni, confessa l’autore, li incontra proprio nell’ambiente in cui sono sempre vissuti, nelle case antiche o nelle baite di montagna, dove i mobili sono un tavolo rugoso, le quattro sedie impagliate, le stufe di ghisa; e dove l’oggetto piú elegante è in genere la fotografia di un congiunto «disperso» in Russia. È importante anche, come avverte Laurana Lajolo, arrivare al momento giusto: spesso in inverno, quando il tempo trascorre lento nelle stalle e nelle cucine mal riscaldate, assecondando il ritmo delle veglie; aspettando che la memoria dei testimoni (per lo piú già anziani) si riorganizzi, aprendosi con fatica agli altri. Cosí da raccogliere le ultime tracce di una cultura, quella contadina, dotata di una sua koinè fatta di parole (e immagini) a noi ormai solo superficialmente consuete ma che hanno un significato radicalmente altro se le si considera nella loro connessione.
nel video Marco Revelli e Beppe Rosso presentano il libro “Il popolo che manca” di Nuto Revelli (da www.lastampa.it)