La cosa bizzarra, stupefacente era che la creatività artistica sembrava essersi fermata nel mondo. Sembrava essere collassata. Ogni scrittore che voleva scrivere un racconto o un romanzo non faceva altro che ripetere la stessa trama, gli stessi ambienti e gli stessi personaggi. All’inizio migliaia di libri facsimile erano stati pubblicati dalle case editrici di tutto il mondo. Quando poi gli editori si erano accorti dell’inghippo avevano deciso di sospendere la pubblicazione della narrativa. Era come se fosse avvenuto un enorme plagio collettivo, ma nessuno sapeva chi era davvero il primo creatore di quella storia perché la storia aveva iniziato a comparire simultaneamente in tutti i paesi del mondo. Tutti imitavano tutti. La somiglianza era sbalorditiva. La cosa più importante non era certo risalire a chi fosse l’autore, ma riuscire a sapere la ragione per cui tutto ciò accadesse. La stessa cosa accadeva a pittori e scultori. Tutti disegnavano scene della stessa storia: la stessa identica storia degli scrittori. Nessuno sapeva dare una spiegazione di questa standardizzazione della creatività artistica. A dire il vero potremmo definirla fissazione, ossessione degli artisti per la stessa storia. Qualcuno aveva pensato che l’inconscio di tutti gli artisti era diventato uguale, ma nessuno sapeva il motivo esatto per cui era successo. Era come se gli artisti facessero tutti lo stesso sogno o volessero tutti produrre lo stesso archetipo. La realtà era che tutti gli artisti erano assoggettati allo stesso archetipo. Ad onor del vero la storia a cui erano tutti ancorati era folle almeno quanto questo fenomeno collettivo di creatività stereotipata. La storia consisteva in un uomo scapolo di mezza età che ammazzava il fratello, scapolo anche esso, con cui viveva. Dissolveva il cadavere nell’acido in un casolare abbandonato a qualche centinaio di chilometri di distanza, in una zona che conosceva bene perché da bambino per qualche anno ci aveva passato le vacanze. L’assassino era destinato alla solitudine più tetra. Nessuno aveva sospettato di lui per la scomparsa del fratello. Non poteva però convivere con nessuna donna perché non poteva fare a meno di pensare a voce alta e poi parlava nel sonno. Sarebbe stato scoperto. Non poteva rischiare. Era perciò condannato alla solitudine. La storia finiva malamente perché l’assassino si uccideva per il rimorso, mentre amici e conoscenti pensavano che l’estremo gesto era causato dal trauma e dal vuoto incolmabile per la scomparsa del fratello. Questa era la trama che tutti riproducevano all’infinito. Cambiava solo lo stile. Cambiava l’approccio. Cambiavano di volta in volta le parole con cui veniva descritta la stessa identica storia. I lettori leggevano solo i libri di molti anni addietro quando ogni scrittore aveva una trama diversa da raccontare. Raccontare in fondo fino ad allora era stato un modo per trascendere, per vincere la morte come era riuscito a Sherazade. Nel passato le storie più celebri erano le seguenti: Cristo che redimeva tutta l’umanità, Ulisse che ritornava ad Itaca dopo mille peripezie, le rivelazioni di Maometto, il principe Siddhartha che diventava Buddha, la catabasi di Dante. Ma ora? Ora non importava più la trama. Ora per gli scrittori era solo questione di scegliere parole: niente più variazioni, digressioni, flashback, aneddoti, inventiva, immaginazione. Niente più escamotage nella narrazione. Nessuno aveva più fantasia: neanche chi conosceva tutti i trucchi del mestiere. Non potevano discostarsi da quella storia. Ognuno si atteneva alla stessa sostanza. Cambiava solo il modo di narrare e di descrivere le stesse identiche cose e gli stessi identici personaggi. I più bravi riuscivano a creare dei piccoli shock verbali e niente di più. La creatività era solo linguistica. Ma ormai- come ho già scritto- le opere d’arte non avevano più fruitori. Inoltre nessuno si spiegava quale fosse la morale di quella storia. Alcuni teologi avevano dichiarato a tal riguardo che simboleggiasse la lotta fratricida in cui era impegnata da secoli l’umanità. Altri si spingevano oltre e scrivevano fiumi di inchiostro per spiegare che erano prossimi all’apocalisse e che tutto ciò era colpa esclusivamente degli uomini. C’era chi diceva che quella storia fosse un sogno premonitore, un sintomo comune del malessere, una punizione divina, un segno funesto, l’inizio della fine. Tutti erano preoccupati. Il mondo continuava ad andare male come al solito e tutto continuava a procedere per inerzia. L’umanità si stava gradualmente avvicinando all’abisso. Tutto era già stato scritto e tutti non facevano altro che scrivere la stessa storia.
Il plagio collettivo
Autore originale del testo: Davide morelli
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